ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 19 giugno 2021

Voglio uscire dall’incubo?

Miocarditi da vaccino a mRna: ecco i casi ignorati sui giovani

Assenza di malattia prima del vaccino, anticorpi formati e tampone negativo sono tutte prove della dipendenza della miocardite direttamente dal vaccino nei 283 casi segnalati dalla vaccinovigilanza americana e in quella israeliana, tutti su vaccini a mRna. L'incidenza di miocarditi post vaccino è di 4-5 volte più del solito dopo il I mese di osservazione. La somministrazione dei vaccini ai giovani non offre un diretto beneficio a coloro che lo ricevono perché la miocardite è un effetto collaterale non trascurabile sia per effetti immediati che a distanza. E i numeri attuali potrebbero essere solamente la punta dell’iceberg che sottende in realtà una casistica molto più ampia. 

Pubblichiamo l’intervento del professore Alessandro Capucci nel corso della conferenza tenutasi presso la Sala Caduti di Nassiriya del Senato su iniziativa del senatore Armando Siri “Bambini e vaccini anti COVID: pro e contro”. QUI l'intervento integrale video.

Molte sindromi influenzale, compreso il COVID 19 possono causare pericardio/miocarditi le quali si manifestano con un range che varia da completa asintomaticità fino a causare drammatici quadri di bassa portata secondari ad improvvisa e globale insorgenza di deficit contrattile bi-ventricolare.

Prima di addentarci nella problematica della miocardite associata a malattia da COVID-19 o invece conseguenza dei vaccini a mRNA, ricordiamo che l’età è molto significativa nel condizionare l’espressione di questa malattia. Infatti, risulta che solamente il 7% dei giovani da 18 anni in giù, pur con malattia da COVID severa, hanno richiesto la terapia Intensiva vs il 53% degli adulti per quadri analoghi di malattia (Castagnoli et al JAMA pediatric 2020; 174:882-9)

Inoltre, nei ragazzi la malattia multi-infiammatoria (tempesta citochinica) si presenta tipicamente fra la terza e la sesta settimana dopo esposizione alla SARS-Cov2 (M. Ahmed at al E Clinical Medicine, 2020;26: 100527), molti con PCR negativo: è ipotizzabile forse un meccanismo post infettivo piuttosto che infezione virale acuta?

Queste osservazioni pongono problemi etici nella valutazione del rischio/beneficio dei vaccini in questa fascia di età, per quanto riguarda la reale protezione della salute; in altre parole, dovremmo avere quasi zero effetti avversi da contrapporre a un bassissimo rischio esistente di sviluppare una malattia mortale.

Potrebbe tuttavia tornare utile l’immunizzazione anche dei giovani nel caso questi siano fonte maggiore o significativa di trasmissione del virus e qualora i vaccini blocchino tale trasmissibilità. Tuttavia, c’è poca evidenza in letteratura di infezione secondaria derivante da bambini.  Anche se vi è quindi qualche evidenza che i vaccini possano ridurre o bloccare la trasmissione, non vi sono dati di utilità degli stessi, in questa fascia di età, in quanto agirebbero comunque verso una bassa riserva di virus (diversamente dalla malattia da pneumococco) ( G. Tsaban et al Vaccine 2017;.35:2882-91). Semmai per il COVID-19 la vaccinazione degli adulti potrebbe conferire la protezione ai bambini.

Ma quale è l’incidenza della miocardite nei giovani post vaccino?

Nel sistema americano VAERS (Vaccine Adverse Event Reporting System) al 10/6/2021  > 50% dei casi segnalati di miocardio /pericardite riguardano persone di età fra 12-24 anni, soprattutto maschi( specie dopo la II dose di Pfizer e Moderna). Sono stati riportati 283 casi, quando i numeri attesi in questa fascia di età e nello stesso periodo sarebbero usualmente fra 10 e 102 casi.

Anche in Israele i casi segnalati sono comparsi dopo la II dose del vaccino Pfizer fra 24-72 h e 16 gg (S.A. Mouch et al, Vaccine 2021; 05: 087 ha riportato 6 casi di giovani). E. Albert et al, (SCienceDirect 2021;16:2142-45), riporta 1 caso di 24 anni con il vaccino Moderna.

In tutti questi casi il tampone PCR era negativo e i pazienti non avevano manifestato la malattia prima della vaccinazione. Tutti i pazienti inoltre avevano risposto al vaccino avendo anticorpi contro le proteine spike (anti S Ab positive). Queste, sono chiare prove della dipendenza della miocardite direttamente dal vaccino.

La patofisiologia di ciò può essere derivante da una invasione diretta del virus nei cardiomiociti oppure una risposta immunitaria dei citotossici linfociti T oppure infine conseguenza dello storm citochinico (ricordiamo le miocarditi conseguenza della vaccinazione da vaiolo (1/10.000).

I sintomi sono i più vari quali dolori toracici, dispnea, aritmie, sincopi etc, ma il decorso può essere anche oligosintomatico inizialmente, per cui i numeri attuali segnalati potrebbero essere solamente la punta dell’iceberg che sottende in realtà una casistica molto più ampia.

Anche se nei casi riportati il decorso è stato favorevole, la miocardite può presentarsi in forma severa con limitazione dell’attività fisica e può associarsi a una lunga terapia nel follow up con esiti fibrotici miocardici anche permanenti (terapia prevalente con colchicina, antinfiammatori, cortisone) e gravati da complicanze ulteriori nel follow up ( M. Marshall, Symptomatic acute myocarditis in 7 adolescents following Pfizer-Bionthec Covid-19 vaccination, Pediatrics 2021).

L’analisi dei dati fin qui riportati pertanto riporta un’incidenza di miocarditi che si è verificata, post vaccino, 4-5 volte più del solito dopo il I mese di osservazione.

In conclusione: la somministrazione dei vaccini ai giovani non pare offrire un diretto beneficio a coloro che lo ricevono, per i punti sopraesposti; la miocardite è un effetto collaterale non trascurabile sia per effetti immediati che a distanza;  secondariamente, la vaccinazione nei giovani non porta un beneficio alla popolazione (scarso contributo all’ immunità di gregge); infine  sono assolutamente sconosciuti, particolarmente in questa giovane popolazione, i rischi che potrebbero correre questi ragazzi a medio e lungo termine dopo la vaccinazione.

Alessandro Capucci*

*Professore ordinario di Malattie dell’apparato cardiovascolare

https://lanuovabq.it/it/miocarditi-da-vaccino-a-mrna-ecco-i-casi-ignorati-sui-giovani

Prof. Crisanti conferma: Ai cittadini non è stata detta la verità. Un pezzo della sperimentazione era la vaccinazione di massa. E bisognava avere il coraggio di dirlo.

Riportiamo la trascrizione dell’intervista fatta al Prof. Crisanti durante la trasmissione Tagadà di La7. Il prof. Andrea Crisanti è un microbiologo, accademico e divulgatore scientifico italiano. É professore ordinario di microbiologia all’Universita di Padova. Precedentemente è stato lecturer al department of biology, poi reader e infine full professor di Molecular Parasitology presso il department of life sciences dell’Imperial College London in Inghilterra.

(se il video qui sotto non si apre, cliccare qui)

 

Giornalista: Quello che sappiamo è che il governo ha deciso, il Ministero della salute ha deciso che Astrazeneca non verrà più utilizzato sotto i 60 anni né per la prima né per la seconda dose. Corretto professore? E lei condivide questa scelta o lei l’avrebbe ulteriormente allargato?

Crisanti: Ma io penso che noi non saremmo mai dovuti arrivare a questo punto. Perché come ho detto, Astrazeneca e il vaccino è stata vittima di una campagna di pubblicazione assolutamente disastrosa che parte dall’inizio, mi creda, parte dal momento in cui io ho detto che per vaccinarsi bisognava avere il conforto dei dati. Dopo di che è stato detto: quello che dice l’AIFA, quello che dice EMA è verità assoluta. Non si è detto che i vaccini sono stati autorizzati in via emergenziale, non è stato detto che via via che si accumulavano dati le indicazioni cambiavano. Questo è stato il primo errore che è stato fatto. Ai cittadini non è stata detta la verità, cioè non è stato detto che questi sono vaccini autorizzati in via emergenziale sulla base di dati preliminari, che 30.000 persone (cioè il campione iniziale, ndr) non ricapitolano tutta l’universalità genetica della popolazione, e sicuramente non ricapitolano tutta la stratificazione in termini di età e patologie, che possono sicuramente influire sulla risposta. Questo è stato l’errore.

Giornalista: Quindi un pezzo della sperimentazione era la vaccinazione di massa….

Crisanti: Eh certo! Ma questo è normale. E questo bisognava dirlo. Bisognava dirlo, bisognava avere il coraggio di dirlo. Signori, via via che accumuliamo dati, definiremo le indicazioni. 

 Giornalista: E probabilmente cambieranno alcune indicazioni. Quello avrebbe favorito la comunicazione trasparente, avrebbe favorito diciamo la comprensione da parte delle persone. Però io le ho fatto la domanda professore Crisanti perché almeno due tre cose le vorrei capire. Per lei è giusto vietare Astrazeneca sotto i 60 anni sia per la prima e la seconda dose, ed è talmente giusto che lei la vieterebbe oltre i 60 anni? 

Crisanti: Io ritorno a quella che era la situazione principale. Noi non stiamo facendo populismo perché adesso stiamo intercettando le paure delle persone. Astrazeneca rimane un vaccino sicuro ed efficace. Abbiamo delle alternative, e se abbiamo delle persone che hanno i rquisiti per fare l’alternativa, che facessero l’alternativa. Questo era il messaggio da dare. NOn è che siamo una nazione che a seconda del sentimento, o a seconda delle stupidaggini che si sono fatte prima, reagiamo in un modo assolutamente …. 

Giornalista: Quindi lei non lo avrebbe vietato sotto i 60 anni, ma lo avrebbe vietato solo per quelle persone che hanno delle condizioni particolari. Mi sta dicendo questo?

Crisanti: Noi non saremmo dovuti arrivare a questo punto. Poi, siamo arrivati ad una situazione in cui praticamente autorizziamo, e qui lo dico, probabilmente dal punto di vista scientifico e teorico non ci sono controindicazioni, ma di fatto autorizziamo un cambiamento della procedura vaccinale senza fondamentalmente dati a sufficienza…


Giornalista: cioè lei mi sta dicendo che a questo punto noi facendo come seconda dose per chi ha avuto la prima dose Astrazeneca un altro vaccino stiamo facendo una cosa che non ha avuto una sperimentazione e quindi stiamo facendo un po’ un azzardo?

Crisanti: ma guardi mi faccia…non sto parlando di azzardo, stiamo facendo una cosa che non è previsto dal processo di autorizzazione. Perché se noi diciamo che i vaccini vengono approvati sulla base di esperimentazione, non mi si può venire a dire che 800 casi fanno un trial (un esperimento canonico strutturato secondo principi statistici standard, ndr), io non credo. Perché qui bisogna manlevare tutti i produttori di vaccini. Perchè se dovesse succedere qualcosa, Dio non voglia, non credo che i produttori di vaccini sarebbero molto contenti. Perché non ci sta una sperimentazione per determinare: 1) se effettivamente questa procedura porta qualche complicazione. Per altro, guardi, io non credo che…comunque la forma è sostanza in questo caso la forma è la garanzia per i cittadini. 2) Poi chi ci dice qual è l’effetto protettivo, perché qui non c’è nessuno modo per misurare l’effetto protettivo perché i casi sono talmente pochi…..

Di Sabino Paciolla

https://www.sabinopaciolla.com/prof-crisanti-conferma-ai-cittadini-non-e-stata-detta-la-verita-un-pezzo-della-sperimentazione-era-la-vaccinazione-di-massa-e-bisognava-avere-il-coraggio-di-dirlo/


Tutto chiaro dopo le parole di Draghi sulla vaccinazione eterologa?

di 

Il corsivo di Umberto Minopoli, manager e saggista, sulla vaccinazione eterologa

Oggi devo fare il richiamo di Astrazeneca. Ma la condotta del governo mi ha messo dubbi: è stata disinformativa, oscillante, contraddittoria e catastrofica negli effetti. E, mi dispiace, stavolta il presidente del Consiglio ci ha messo del suo.

Una settimana fa, il governo ha annunciato una linea: obbligo di eterologa sotto i 60 anni e vaccino Astrazeneca e simile limitato solo agli ultra 60 anni.

Risultato: si impauriscono tutti.

Quelli sopra i 60 anni, come me, ragionano: una cosa che è pericolosa per chi ha 50, 57, 60 anni (al punto di vietarla), come diventa tranquilla se hai 61, 67 o 70 anni?

Il virus, forse, è in grado di leggere il grado di invecchiamento delle cellule umane? No, solo statistica.

Ma allora perché vietarla appena sotto i 60 anni?

Il sospetto diventa: se obbligano a cambiare vaccino sotto i 60 anni, vuol dire che Astra è pericoloso. Se lo limitano agli ultra 60 è solo per non buttare le dosi e non sconvolgere la campagna vaccinale.

Un azzardo. Che, infatti, sconvolge la campagna. Per una doppia incomprensione: sull’eterologa, imposta mentre frotte di medici affermano che mancherebbero i test e i dati per dire che è sicura; su Astrazeneca, consentito a chi ha superato i 60 anni, ma in base ad un argomento privo di scientificità o oggettività.

Il risultato è che si impauriscono tutti, ultra60 e minus60. Lo fa notare la diligente ed efficiente Regione Lazio.

Risultato: tutto cambia di nuovo in 7 giorni. Ora l’eterologa non è più obbligatoria sotto i 60 anni , ma solo “consentita”; l’Astrazeneca resta sopra i 60 anni.

Chiaro? Macché.

Apri il giornale e leggi che il presidente del Consiglio fa il richiamo con l’eterologa. Spiegano che deve farlo perché ha pochi anticorpi.

Dunque, sopra i 60 anni, chi ha il richiamo Astra, prima di farlo, dovrebbe fare il test anticorpale. E chi ce lo aveva detto, sinora? Perché non ce lo avete fatto? Risultato: io che non avevo dubbi sul mio richiamo Astrazeneca, adesso li ho.

Non rinuncio al richiamo, che ho fra poche ore, ma farò questa domanda al medico: le sembra dottore che, con questa condotta del governo dell’ultima settimana, io ho i dati, sufficienti e tranquillizzanti, per esprimere il “consenso informato”, come lo chiamano, al richiamo con Astrazeneca?

Registrerò la sua risposta, a futura eventuale memoria. Ma farò il vaccino: voglio uscire dall’incubo.

https://www.startmag.it/mondo/tutto-chiaro-dopo-le-parole-di-draghi-sulla-vaccinazione-eterologa/

Ivermectina, un farmaco “miracoloso” contro la COVID. lo conferma la prestigiosa rivista Nature

I medici delle terapie domiciliari che l’hanno provata sul campo hanno detto che l’ivermectina è veramente “miracolosa” nel risolvere i casi di malati di COVID. Un farmaco conosciuto da decenni e che ha dato il Nobel agli scopritori. Ora lo conferma anche la prestigiosa Nature, con un articolo pubblicato il 15 giugno scorso sulla rivista-figlia The Journal of Antibiotics a firma di Asiya Kamber Zaidi e Puya Dehgani-Mobaraki. Per semplicità e a beneficio dei non addetti ai lavori riprendo, nella mia traduzione, solo le parti più semplici.

Dopo la lettura dell’articolo della prestigiosa Nature e l’esperienza dei medici e dei malati che sono “risorti” dopo l’uso del farmaco la domanda che sorge spontanea è: perché l’ivermectina con i suoi confermati benefici e la sua sicurezza è stata messa da parte e si sta invece ossessivamente puntando quasi tutto soltanto sui vaccini la cui sicurezza a lungo termine è ignota?

 

 

Considerando l’urgenza della pandemia di COVID-19 in corso, il rilevamento di vari nuovi ceppi mutanti e il futuro potenziale riemergere di nuovi coronavirus, la riproposizione di farmaci approvati come l’ivermectina potrebbe essere degno di attenzione. 

COVID-19 ha già causato milioni di morti in tutto il mondo e ha paralizzato non solo il sistema sanitario mondiale ma anche le relazioni politiche ed economiche tra i paesi [1]. Il fatto che il virus SARS-CoV-2 sia stato ritenuto originario della fauna selvatica e possa essere “saltato” nell’uomo, non solo evidenzia i rischi futuri delle malattie trasmesse dagli animali, ma fornisce anche un importante indizio per la sua risoluzione. In un tale scenario, dove questo “salto” è stato fatto dall’animale all’uomo, sembra solo logico rivedere un farmaco che ha funzionato efficacemente contro un agente che causa la malattia ed è disponibile in una forma che è sicura per il consumo umano fin dai primi anni ’80.

L’ivermectina appartiene al gruppo delle avermectine (AVM), che è un gruppo di composti lattoni macrociclici a 16 membri scoperti all’istituto giapponese Kitasato nel 1967 durante le colture di actinomiceti con il fungo Streptomyces avermitilis [2]. Questo farmaco ha abbassato radicalmente l’incidenza della cecità fluviale e della filariasi linfatica ed è stato scoperto e sviluppato da William C. Campbell e Satoshi Ōmura per i quali hanno ricevuto il premio Nobel in fisiologia o medicina nel 2015 [3, 4]. L’ivermectina è iscritta nella lista modello dei farmaci essenziali dell’Organizzazione mondiale della sanità [5].

La riproposizione dei farmaci, il reindirizzamento dei farmaci o la riprofilatura dei farmaci è definito come l’identificazione di nuovi usi per i farmaci esistenti. I rischi di sviluppo, i costi e i fallimenti legati alla sicurezza sono ridotti con questo approccio, poiché questi farmaci hanno una formulazione ben consolidata, uno screening in vitro e in vivo, così come i profili farmacocinetici e farmacodinamici. Inoltre, le prime fasi di sperimentazione clinica di molti di questi farmaci sono state completate e possono essere aggirate per ridurre diversi anni di sviluppo. Pertanto, il repurposing dei farmaci ha il potenziale di ridurre i tempi dell’intero processo fino a 3-12 anni e ha un grande potenziale [6].

Anche se diversi farmaci hanno ricevuto l’autorizzazione per l’uso di emergenza per il trattamento della COVID-19 con dati di supporto insoddisfacenti (credo si riferiscano ai vaccini, ndr), l’ivermectina, d’altra parte, è stata messa in disparte a prescindere da sufficienti dati convincenti a sostegno del suo uso. Tuttavia, molti paesi hanno adottato l’ivermectina come una delle opzioni di trattamento di prima linea per la COVID-19.

Con i programmi di lancio dei vaccini in corso in tutto il mondo, la longevità dell’immunità offerta da questi vaccini o il loro ruolo nell’offrire protezione contro i nuovi ceppi mutanti è ancora oggetto di dibattito. L’adozione dell’Ivermectina come “ponte di sicurezza” da parte di alcuni settori della popolazione che stanno ancora aspettando il loro turno per la vaccinazione potrebbe essere considerata un’opzione “logica”.

Diversi protocolli di studi clinici avviati dai medici che miravano a valutare i risultati, come la riduzione dei dati di mortalità, la riduzione della durata della degenza in unità di terapia intensiva e/o in ospedale e l’eliminazione del virus con l’uso di ivermectina sono stati registrati sul ClinicalTrials.gov statunitense [7]. Sono disponibili anche dati in tempo reale con una meta-analisi di 55 studi fino ad oggi. Secondo i dati disponibili il 16 maggio 2021, il 100% dei 36 studi di trattamento precoce e di profilassi riporta effetti positivi (96% di tutti i 55 studi). Di questi, 26 studi mostrano miglioramenti statisticamente significativi nell’isolamento. La meta-analisi a effetti casuali con effetti raggruppati utilizzando l’esito più grave ha riportato un miglioramento del 79% e dell’85% rispettivamente per il trattamento precoce e la profilassi (RR 0,21 [0,11-0,37] e 0,15 [0,09-0,25]). I risultati erano simili dopo l’analisi di sensibilità basata sull’esclusione: 81% e 87% (RR 0,19 [0,14-0,26] e 0,13 [0,07-0,25]), e dopo la restrizione a 29 studi peer-reviewed: 82% e 88% (RR 0,18 [0,11-0,31] e 0,12 [0,05-0,30]). Miglioramenti statisticamente significativi sono stati visti per la mortalità, la ventilazione, l’ospedalizzazione, i casi e la clearance virale. Il 100% dei 17 studi randomizzati controllati (RCT) per il trattamento precoce e la profilassi riportano effetti positivi, con un miglioramento stimato del 73% e dell’83% rispettivamente (RR 0,27 [0,18-0,41] e 0,17 [0,05-0,61]), e il 93% di tutti i 28 RCT. Questi studi sono riportati nella tabella 1. La probabilità che un trattamento inefficace abbia generato risultati come positivi per i 55 studi fino ad oggi è stimata essere 1 su 23 trilioni (p = 0,000000000000043). La coerenza dei risultati positivi in un’ampia varietà di casi è stata notevole. È estremamente improbabile che i risultati osservati possano essersi verificati per caso [8].

L’ivermectina ha un rapido assorbimento orale, alta liposolubilità, è ampiamente distribuita nel corpo, metabolizzata nel fegato (sistema del citocromo P450) ed escreta quasi esclusivamente nelle feci [4]. A seguito di una dose orale standard negli esseri umani sani, raggiunge livelli plasmatici di picco in 3,4-5 ore; e l’emivita plasmatica è stata riportata da 12 a 66 ore [10]. Nonostante il suo uso diffuso, ci sono relativamente pochi studi sulla farmacocinetica di Ivermectina negli esseri umani [11]. L’ivermectina si lega fortemente alle proteine plasmatiche nei soggetti sani (93,2%) [12]. Tale “legame avido” può essere vantaggioso quando somministrato in paesi dove la malnutrizione e l’ipoalbuminemia sono comuni, portando ad una maggiore disponibilità di “frazione libera” di ivermectina [4]. L’ipoalbuminemia è un riscontro frequente nei pazienti con COVID-19 e sembra anche essere legata alla gravità del danno polmonare [13]. Pertanto, l’ivermectina potrebbe essere utile se usata in tale contesto.

Ci sono prove che supportano l’uso dell’ivermectina nel far diminuire il tasso di mortalità nei pazienti con infezione da SARS-CoV-2. Tuttavia, l’uso dell’ivermectina per via orale in un contesto ambulatoriale richiede anche linee guida rigorose e ben definite per evitare qualsiasi forma di sovradosaggio che potrebbe portare alla tossicità. Uno studio di Baudou, E et. al ha descritto due mutazioni nonsense ABCB1 umane associate a una perdita di funzione in un paziente che ha avuto una reazione avversa all’ivermectina dopo la somministrazione di una dose abituale. Questa scoperta giustifica la cautela nelle prescrizioni mediche di ivermectina e di altri substrati di ABCB1 [14].

Un’analisi dei dati in silico condotta da Choudhury et al. ha dimostrato che l’Ivermectina utilizza efficacemente la proteina spike virale, la proteasi principale, la replicasi e i recettori TMPRSS2 umani come i bersagli più possibili per eseguire la sua “efficienza antivirale” interrompendo il legame. Poiché l’Ivermectina sfrutta obiettivi proteici sia del virus che dell’uomo, questo potrebbe essere il motivo della sua eccellente efficacia in vitro contro la SARS-CoV-2 [24].

L’ivermectina, in presenza di un’infezione virale, si rivolge al componente IMPα dell’eterodimero IMP α/β1 e si lega ad esso, impedendo l’interazione con l’IMP β1, bloccando successivamente il trasporto nucleare delle proteine virali. Questo permette alla cellula di effettuare la sua normale risposta antivirale [26]. In questo caso, bisogna notare che l’attività dell’Ivermectina è viro-statica, cioè neutralizza il virus competendo per lo stesso recettore.

Si può ipotizzare che due molecole di ivermectina, reagendo tra loro in modalità “testa-coda”, possano creare un complesso idoneo ad essere considerato tale [ 28 ]. Questi ionofori consentono di neutralizzare il virus in una fase iniziale dell’infezione prima che possa aderire alle cellule ospiti ed entrarvi per sfruttare il loro macchinario biochimico per la produzione di altre particelle virali.

L’ivermectina si lega all’rdrp virale e lo interrompe. Il legame altamente efficiente dell’ivermectina a nsp14 conferma il suo ruolo nell’inibire la replicazione e l’assemblaggio virale. È noto che nsp14 è essenziale nella trascrizione e nella replicazione. Agisce come esoribonucleasi di correzione e svolge un ruolo nell’RNA virale grazie alla sua attività di metiltransferasi [35]. Inoltre, il legame altamente efficiente dell’ivermectina alla fosfoproteina N virale e alla proteina M è suggestivo del suo ruolo nell’inibire la replicazione e l’assemblaggio virale [23].

Una volta entrato nella cellula ospite, l’RNA virale viene tradotto dal ribosoma ospite in una grande “poliproteina”. Alcuni enzimi si staccano attraverso l’autoproteolisi da questa poliproteina e aiutano ulteriormente altre proteine a staccarsi e a svolgere la loro funzione per la replicazione. Uno di questi enzimi, le 3 chymotrypsin-like proteases (3’cl pro/ Mpro) ha il compito di lavorare su questa poliproteina portando altre proteine a “librarsi” e a condurre la replicazione virale. L’ivermectina si lega a questo enzima e lo interrompe. Si lega anche efficacemente a entrambe le proteine, Mpro, e in misura minore a PLpro della SARS-CoV-2; quindi, ha un ruolo nel prevenire il trattamento post-traslazionale delle poliproteine virali [23].

L’ivermectina inibisce l’importazione nucleare mediata da KPNA/KPNB1 delle proteine virali permettendo alla cellula di effettuare la sua normale risposta antivirale [30].

Inoltre, Zhang et al. hanno suggerito che l’Ivermectina inibisce la produzione di citochine infiammatorie indotta dal lipopolisaccaride (LPS) bloccando la via NF-κB e migliorando la sopravvivenza indotta dal LPS nei topi [42]. Pertanto, l’uso di Ivermectina sarebbe utile nelle impostazioni unità di terapia intensiva dove ci sono maggiori possibilità di infezioni batteriche (LPS mediate).

La “tempesta di citochine” tipica della COVID-19 grave coinvolge la sovraregolazione mediata da STAT-3 di citochine proinfiammatorie, TNFα e IL-6 nei macrofagi. Inoltre, STAT-3 induce una proteina C-reattiva che sovraregola i livelli di PAI-1. STAT-3 è direttamente responsabile dell’attivazione della trascrizione del gene IL-6 che porta ulteriormente a un aumento del TGF-β che causa la fibrosi polmonare. I recettori PD-L1 presenti sulle cellule endoteliali sono attivati da STAT-3 causando la linfopenia delle cellule T. L’ivermectina inibisce STAT-3 attraverso un’inibizione diretta che impedisce le sequele di COVID-19 [39].

La chinasi 1 attivata da p21 (PAK1) si lega fisicamente sia a JAK1 che a STAT3 e il complesso PAK1/STAT3 risultante attiva la trascrizione del gene IL-6 responsabile della tempesta di citochine in COVID-19 [ 53 ]. L’ivermectina sopprime la segnalazione Akt/mTOR e promuove la degradazione mediata dall’ubiquitina di PAK-1, compromettendo così l’attività di STAT-3 e diminuendo la produzione di IL-6 [ 54 ].

Uno studio di Zhang et al. ha dimostrato che l’ivermectina ha soppresso la produzione di IL-6 e TNFa, due componenti principali della dannosa tempesta di citochine indotta da SARS-CoV-2 e il rapporto IL-6/IL-10 “drasticamente ridotto” che modula gli esiti dell’infezione [ 42 , 55 ].

La perdita dell’olfatto è stata riportata come uno dei sintomi comuni nella COVID-19 [61]. È interessante notare che la maggior parte dei pazienti in India ha riacquistato l’olfatto dopo un breve periodo anosmico durante il loro decorso clinico. L’ivermectina è usata in India come uno dei farmaci di prima linea per il trattamento della COVID-19. Si potrebbe ipotizzare che l’Ivermectina potrebbe avere un ruolo nel ridurre il deficit olfattivo indotto dalla SARS-CoV-2.

Inoltre, il reclutamento delle cellule immunitarie, la produzione di citochine nel liquido di lavaggio broncoalveolare, la secrezione di IgE e IgG1 nel siero e l’ipersecrezione di muco da parte delle cellule caliciformi sono stati ridotti significativamente dall’ivermectina [ 63 ].

La SARS-CoV-2 è stata una causa ben nota di lesioni acute al miocardio e di danni cronici al sistema cardiovascolare nell’infezione attiva come pure nei viaggiatori di lungo corso [66]. Nagai et al. hanno dimostrato che l’Ivermectina ha aumentato la produzione di ATP mitocondriale inducendo l’espressione di Cox6a2 e mantiene l’ATP mitocondriale in condizioni di ipossia prevenendo l’ipertrofia patologica e migliorando la funzione cardiaca [67].

Conclusioni

Considerando l’urgenza della pandemia di COVID-19 in corso, il rilevamento simultaneo di vari nuovi ceppi mutanti e il futuro potenziale riemergere di nuovi coronavirus, il repurposing di farmaci approvati come Ivermectina potrebbe essere degno di attenzione.

Di Sabino Paciolla

https://www.sabinopaciolla.com/ivermectina-un-farmaco-miracoloso-contro-la-covid-lo-conferma-la-prestigiosa-rivista-nature/


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