ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 28 agosto 2021

Hail to the Chief we have chosen for the nation

A cosa serve il presidente degli Stati Uniti? 

          https://www.ansa.it/webimages/img_457x/2021/1/20/4ac7864ab9b6bf46fe282123f9b03750.jpg (immaginw aggiunta)

Io di preciso non lo so, perché non sono un esperto di politica americana. Ricordo che ad ogni elezione gli esperti del ramo ci spiegano che non è così importante chi sia l’inquilino della Casa Bianca perché sì, lui è il presidente ma poi lo staff, l’apparato, il deep state, il sistema checks and balances eccetera eccetera eccetera. 

Immagino che un pochino conti anche lui, nel complesso gioco dei fattori decisionali, ma so che comunque c’è una cosa che spetta solo a lui personalmente, una cosa che può e deve fare solo lui. Nei momenti cruciali della vita della nazione (e, ahimé, del mondo), la sua vera e peculiare funzione è quella di andare in televisione e “fare una certa impressione”. Svolgere (il che significa, letteralmente, recitare) la parte del commander in chief. Proprio come dicono i versi della marcetta che accompagna le apparizioni pubbliche del Potus (come lo chiamano loro):

Hail to the Chief we have chosen for the nation,
Hail to the Chief! We salute him, one and all.
Hail to the Chief, as we pledge cooperation
In proud fulfillment of a great, noble call.

Un ruolo meramente attoriale, si dirà. Sia pure, purché lo si dica col massimo rispetto, e avendo almeno un’idea del fisico che ci vuole per fare l’attore (io ce l’ho perché, pur non avendo mai calcato la scena ho fatto l’insegnante per quarant’anni e un’ora di lezione è un’ora di performance). La rappresentazione in politica è molto, per non dire quasi tutto, e non a caso uno come Augusto, che non si può dire che non ne capisse, in punto di morte chiese agli astanti di fargli un applauso se aveva recitato bene il mimo della vita.

Da questo punto di vista, parziale e ristretto ma non irrilevante, oggi tutti misurano le conseguenze tragiche di aver messo a fare la parte di presidente degli Stati Uniti un uomo nelle condizioni di Joe Biden. Non ne faccio banalmente una questione di età (anche perché io, per solidarietà anagrafica, sono molto favorevole ai vecchi): se a fare il discorso che ieri doveva fare il Potus, ci fosse stato Clint Eastwood credo che sarebbe andato benissimo. Ma Clint, il Clint di Gran Torino, è un vecchio meraviglioso. Biden … è quello che è. E che tutti vedono.

Si rifletta un attimo sul modo in cui egli è diventato presidente: praticamente senza fare la campagna elettorale, né per le primarie né per la sfida contro Trump. Al suo posto, hanno fatto tutto i giornali, le televisioni e i padroni della rete. Questa è un’anomalia così enorme, rispetto al sistema politico americano, che chiunque poteva vederla, anche un ignorante come me. Tanto che ne scrissi qui: https://leonardolugaresi.wordpress.com/2020/11/05/cio-che-sarebbe-meglio-per-biden/ , ed era il 5 novembre 2020, e qui: https://leonardolugaresi.wordpress.com/2021/03/18/biden-e-putin-poveri-noi/, il 18 marzo scorso.

Perché dico che il problema sta nella campagna elettorale del tutto anomala che si è svolta, con la scusa del covid, l’anno scorso negli USA? Perché in quel paese il vero banco di prova della sostenibilità del ruolo presidenziale da parte dei candidati è proprio e solo quella. Vi è infatti la consuetudine di eleggere presidente, con un sistema elettorale ridicolo, personaggi spesso privi di un adeguato cursus honorum e quasi sempre digiuni di politica internazionale. E non sto pensando solo a Trump: il mitico Obama, per esempio, aveva solo tre anni da senatore e per il resto aveva fatto il community organizer, ma non aveva governamo mai niente; Clinton era governatore dell’Arkansas, che ha meno di tre milioni di abitanti; Carter lo era stato della Georgia e prima coltivava le noccioline, eccetera. Lasciamo stare gli studi, che spesso sono improbabili … Però per arrivare in fondo alle primarie e diventare candidato di uno dei due partiti, e poi per battere l’altro candidato, bisogna farsi un mazzo così, avere un bel po’ di pelo sullo stomaco, una buona dose di culo e un bel paio di palle. Cioè le physique du rôle per fare il presidente degli Stati Uniti. (Per il resto c’è Mastercard: cioè lo staff, l’apparato, il deep state, il sistema checks and balances e tutto quello che ci spiegano gli esperti).

La sgrammaticatura smaccata che è stata compiuta l’ultima volta è che, avendo “qualcuno” deciso che la sola cosa che contava era cacciare via il Puzzone e che il nome di Biden era il più funzionale allo scopo, si è voluto azzerare tutto questo, cioè l’unico elemento realmente agonistico e vagamente democratico del sistema: il predestinato è rimasto praticamente nascosto per tutta la durata della campagna elettorale, protetto da una cortina di ferro mediatica che ha letteralmente impedito, tra le altre cose, di porre il problema, oggettivo ed evidente, delle sue condizioni di salute (un tema a cui l’opinione pubblica americana era abituata ad essere attenta in modo quasi paranoico!), mentre l’altro si sbatteva per farsi rieleggere. Questo è, politicamente, un errore da matita blu, più grave degli eventuali brogli elettorali, ormai indimostrabili e di cui è inutile parlare (a parte il fatto che i brogli, a loro modo, fanno parte del gioco elettorale da sempre).

Il problema è che le sgrammaticature si pagano, in generale nella vita, ma a teatro e in politica in modo particolare.

https://leonardolugaresi.wordpress.com/2021/08/27/a-cosa-serve-il-presidente-degli-stati-uniti/

Afghanistan: il più grande fallimento (apparente) di Biden è il più grande successo di Trump contro il Nuovo Ordine Mondiale

La prima sensazione che si prova se si guarda la copertura mediatica sull’Afghanistan è quella di trovarsi di fronte ad una macchina del falso in preda all’isteria e del tutto fuori controllo.

Per avere un’idea della proporzione della propaganda, si consideri questa storia pubblicata dalla giornalista di Fox News, Lara Logan. La Logan ha affermato che i talebani si starebbero recando casa per casa per prelevare i dissidenti e giustiziarli sulla pubblica via.

Altre storie ancora sostengono che i talebani starebbero persino uccidendo i bambini e violentando le donne.

Questo blog ha avuto l’occasione di parlare con delle fonti affidabili che si trovano a Kabul e che sono in contatto con varie istituzioni governative internazionali.

Nulla di tutto quello che si legge sui media corrisponde al vero. A Kabul la situazione è perfettamente stabile. Non ci sono massacri per le strade e i talebani stanno persino offrendo assistenza e aiuto agli occidentali che si trovano sul posto.

Quella che è in corso è una falsificazione assoluta della situazione in Afghanistan. La crisi in Afghanistan si può definire in larga parte un fenomeno mediatico per ragioni che verranno trattate successivamente.

Questa falsificazione è piuttosto simile a quella riscontrata ai tempi della guerra in Siria quando i media occidentali accusavano falsamente il presidente siriano Assad di aver dato vita a immaginari attacchi chimici.

Lo stesso fenomeno si verificò durante la seconda guerra del Golfo del 2003 quando il mainstream mediatico americano ed europeo raccontava dell’esistenza delle immaginarie armi di distruzione di massa in Iraq.

L’Occidente è pertanto sempre fermo allo stesso punto di venti anni fa.  È fermo al punto della propaganda mediatica orchestrata dalle lobby sioniste e neocon che sono in larghissima parte proprietarie dei più importanti mezzi di comunicazione americani e internazionali.

La vera storia della guerra in Afghanistan è in realtà la storia di una tremenda sconfitta da parte del deep state americano.

È allo stesso tempo la storia di una “amicizia” finita tra i talebani e il deep state americano.

Gli anni’80: il tempo della “amicizia” tra i talebani e il deep state

Per poter comprendere però come si è giunti a questa situazione è necessario fare un passo indietro e tornare al dicembre del 1979.

Era in quell’anno che il regime sovietico su richiesta del governo diretto dell’allora partito dominante del PDPA, acronimo che sta per partito democratico popolare dell’Afghanistan, invadeva il Paese.

Il governo afghano dell’epoca era piuttosto impopolare. Il suo approccio marxista contro la pratica della religione in un Paese profondamente legato all’Islam aveva portato larghe fasce della popolazione a detestare il PDPA e a chiedere la sua fine.

Fu allora che nacquero i leggendari mujaheddin, i combattenti islamici che volevano porre fine al regime marxista nelle mani dell’URSS.  E Washington in quel periodo era il più solido alleato dei combattenti islamici.

Fiumi di denaro arrivarono dagli Stati Uniti alle opposizioni islamiche che volevano respingere l’invasione di Mosca.

Secondo le stime, l’operazione Cyclone orchestrata dalla CIA per finanziare l’insurrezione afghana è stata tra le più costose della storia dell’agenzia di intelligence fino a raggiungere i 600 milioni di dollari all’anno di costi.

Tra i beneficiari c’era anche il principe saudita Osama bin Laden già profondamente disilluso all’epoca dalla monarchia dei Saud che bin Laden giudicava essere troppo prona agli interessi del deep state USA.

Bin Laden però in quel periodo non era considerato ostile a Washington. Collabora attivamente con le agenzie di intelligence americane, quali la CIA, e il capo stazione dell’agenzia a Islamabad, Milton Bearde, aveva una profonda stima per il principe saudita.

Quello che veniva dunque definito dai servizi segreti americani come il “principe del terrore” non è null’altro che un prodotto degli stessi servizi americani.

La storia della guerra sovietica in Afghanistan è importante perché i mujaheddin degli anni’80 sono a tutti gli effetti gli antenati dei talebani degli anni’90. Tra le loro fila c’era anche il famoso Mullah Omar che diventerà poi il leader della fazione islamista che governerà il Paese.

I talebani iniziano a diventare una minaccia per il deep state

La storia d’amicizia tra i talebani e Washington termina proprio nel 1996 quando il Mullah Omar guida i suoi uomini alla conquista dell’Afghanistan.

I talebani all’epoca erano un gruppo estremamente rigido e fanatico nell’applicazione della sharia, la cosiddetta legge islamica, ma al tempo stesso avevano un tremendo “difetto”.

Non erano in vendita. Non potevano e non possono concepire il fatto di essere al servizio di potentati stranieri che vogliono utilizzare il loro Paese come una base per traffici internazionali illeciti.

È per questa ragione che talebani decisero di distruggere tutti i campi di oppio che si trovavano nel Paese per mettere fine al narcotraffico. All’epoca, l’Afghanistan era il primo produttore di oppio al mondo. Il 90% di questa sostanza era prodotto qui, e l’oppio è estremamente importante perché serve a sua volta a raffinare l’eroina.

L’Afghanistan dunque rivestiva un ruolo strategico nel traffico di droga internazionale.

La decisione dei talebani di mettere fine alla coltivazione dell’oppio manda su tutte le furie gli enormi interessi che gravitano attorno al narcotraffico.

I talebani hanno sfidato a viso aperto la finanza di New York e Londra che ha un ruolo di primo piano nel gestire e riciclare l’enorme flusso di denaro generato dalla droga.

Non deve pertanto destare sorpresa il fatto che i talebani finirono immediatamente in cima alla lista nera dello stato profondo di Washington.

Non di certo perché maltrattavano le donne o erano dei fanatici nell’applicazione della sharia, ovvero la legge coranica.

L’Arabia Saudita era, ed è tuttora, persino più radicale nella sua applicazione dell’islam wahabita sunnita.

Nessuno però aveva e ha nulla da ridire al riguardo dal momento che i sauditi sono stretti alleati dell’Unione europea, della NATO e della stessa Israele alla luce della stretta collaborazione tra l’erede al trono, Mohammed bin Salman, e il governo israeliano.

Nel mondo occidentale quindi sembra valere questa regola. La dottrina liberale dei diritti umani si applica solo con i nemici. Per gli amici, si interpreta.

Agli inizi degli anni 2000 si arriva allo strappo definitivo tra gli Stati Uniti e l’Afghanistan quando i talebani si oppongono alla costruzione del gasdotto della corporation americana UNOCAL.

Il deep state allora prende la sua decisione definitiva e decide di dichiarare guerra al Paese. Tutto questo accade prima degli attentati dell’11 settembre.

Il presidente Bush, membro della società segreta occulta “Teschi e Ossa” ed espressione delle lobby neocon, aveva i piani dell’invasione del Paese pronti sulla sua scrivania già prima degli attentati alle Torri Gemelle.

Attentati con i quali i talebani comunque non avevano nulla a che fare. La versione ufficiale fornita dalle agenzie di intelligence americane non è stata nemmeno in grado di provare il coinvolgimento di bin Laden negli attacchi.

La storia di bin Laden come responsabile degli attacchi e come movente per giustificare l’invasione dell’Afghanistan che allora presumibilmente ospitava il leader di Al-Qaeda era solo una cartina di tornasole.

Occorreva dare in pasto all’opinione pubblica mondiale “l’uomo nero” del terrorismo islamico e allo stesso tempo occorreva tenere lontana l’attenzione da tutto ciò che dimostrava il ruolo del deep state di Washington nell’esecuzione degli attacchi.

La presidenza Bush quindi accusa pubblicamente bin Laden di aver orchestrato gli attentati dell’11 settembre, e l’allora capo di Stato in pectore del Paese, il Mullah Omar, un tempo amico di Washington, non ha obiezioni a consegnarlo agli Stati Uniti.

Ad una condizione, però. I talebani chiedono di vedere le prove del suo coinvolgimento negli attacchi terroristici contro il Pentagono e le Torri Gemelle.

Le prove non vengono mostrate e Washington procede ad un attacco che in realtà era stato già deciso da tempo per tutte le ragioni citate precedentemente.

Queste sono le vere radici del conflitto ventennale in Afghanistan. Il deep state ha invaso il Paese perché il governo dell’epoca era semplicemente una minaccia intollerabile per tutti gli enormi interessi che gravitano attorno all’Afghanistan.

L’elezione di Trump manda all’aria i piani della cabala

I piani del governo occulto di Washington sull’Afghanistan però iniziano ad andare in fumo nel 2016.

Fu allora che accadde l’imprevisto. Alla Casa Bianca non entra la candidata designata dai vari circoli del mondialismo quali il Consiglio per le Relazioni Estere, finanziato da Rockefeller, o dal gruppo Bilderberg.

Alla Casa Bianca entra Donald Trump, un uomo che vuole separare l’America dai piani del mondialismo.

Per la prima volta, dopo molti decenni, a Washington viene eletto un presidente che non è espressione del deep state.

Trump vuole al tempo stesso mettere fine all’occupazione militare del Medio Oriente che è servita sostanzialmente all’avanzamento del piano sionista di espansione dei confini dello stato di Israele.

Trump è stato impropriamente, e spesso in malafede, accusato di essere un “sionista” quando il solo fatto di aver deciso di ritirare le truppe dal Medio Oriente ha separato gli Stati Uniti da Israele.

A Tel Aviv i malumori nei confronti di un presidente che piuttosto che perseguire gli interessi di Israele persegue quelli dell’America aumentano notevolmente.

Tutto questo per la lobby sionista e per i circoli mondialisti era intollerabile. Viene presa la decisione di rovesciare Trump attraverso quella che si può definire la più grossa frode elettorale della storia per impedire al presidente di restare alla Casa Bianca, e portare così a termine il definitivo divorzio degli Stati Uniti dalla cabala.

La rivista Time stessa ha rivendicato il successo di questa operazione seppure parlando di “trionfo della democrazia.”

Occorre sempre ricordare che nel linguaggio della cabala globalista tutto è rovesciato. Il male è bene, il nero è bianco e viceversa.

Il broglio riesce perché si arriva all’instaurazione della presidenza Biden. Nel corso dei mesi successivi di questa amministrazione accadono però fatti inspiegabili che non sarebbero affatto dovuti accadere sulla carta.

Biden non smantella minimamente la politica estera di Trump. Al contrario, la porta avanti. Il ritiro delle truppe dall’Afghanistan non viene annullato. Le sanzioni alla Cina vengono inasprite e vengono persino tolte le sanzioni alla Russia sul gasdotto Nord Stream 2.

La cosiddetta amministrazione Biden non colpisce quello che viene considerato il Paese più nemico del potere mondialista, la Russia, ma piuttosto colpisce il Paese che viene considerato il “modello” di riferimento del Nuovo Ordine Mondiale, la dittatura comunista cinese.

Non viene nemmeno portata avanti l’agenda del Grande Reset. Biden, fino a questo momento, non ha dato l’accelerazione prevista al piano del forum di Davos come aveva affermato un altro membro della società segreta “Teschi e Ossa”, John Kerry, già ex segretario di Stato sotto l’amministrazione Obama.

A differenza dell’Unione europea, gli Stati Uniti non hanno approvato alcun certificato razziale vaccinale come fatto ad esempio dai governi di Macron e Draghi, entrambi espressione della finanza internazionale.

La spiegazione di queste enormi anomalie potrebbe risalire allo scorso gennaio, quando sembra essere accaduto qualcosa che ha spogliato l’amministrazione Biden della sua effettiva capacità decisionale.

Secondo quanto sostenuto da diverse fonti militari, Trump avrebbe firmato l’atto contro le insurrezioni e consegnato così il potere alle forze armate.

L’amministrazione Biden sarebbe pertanto commissariata in attesa della conclusione delle perizie elettorali. Anche se si hanno riserve riguardo a questo scenario, tuttavia continua ad essere quello più consistente con quanto accaduto.

Il quotidiano di riferimento della finanza internazionale, il Financial Times di Londra, ha chiaramente scritto che Biden non avrebbe dovuto completare il ritiro delle truppe americane, ma piuttosto avrebbe dovuto invertire la decisione presa da Trump.

Il presidente (?) americano non ha fatto nulla di tutto questo. A questo punto, la domanda che viene naturale porsi è chi sia veramente al comando degli Stati Uniti.

A giudicare da come Biden agisce, non sembra essere certo il deep state perché il presunto comandante in capo non sta eseguendo gli ordini prescritti.

Gli ordini erano quelli di continuare con l’occupazione militare dell’Afghanistan per poter continuare a tenere sotto controllo questo Paese strategico.

Una volta che i media si sono resi conto che Biden non gli rispondeva è iniziata l’isteria mediatica che narra di un presunto caos nel corso dell’evacuazione delle truppe.

Allo stesso modo, sono iniziate a circolare le storie prive di ogni riscontro citate in precedenza dei talebani che ucciderebbero i bambini per le strade.

La reazione del sistema è stata pertanto quella di scatenare tutta la sua rabbia e frustrazione. Non avendo altre opzioni per recuperare l’Afghanistan, il deep state ha iniziato a dare vita ad una massiccia campagna di disinformazione per screditare il più possibile i talebani agli occhi dell’opinione pubblica occidentale.

Qui però si inizia ad intravedere il capolavoro di strategia geopolitica di Trump. Trump sa perfettamente che non c’è nessun caos in corso a Kabul, e ha probabilmente stretto un accordo con i talebani prima di lasciare il Paese.

È stato lo stesso presidente americano a rivelarlo lo scorso febbraio del 2020. Trump in quell’occasione disse testualmente che i talebani avrebbero ucciso i terroristi islamici.

Questo passaggio è fondamentale perché Trump non associa i talebani ai terroristi, ma mette i primi in netta contrapposizione ai secondi.

L’obbiettivo di Trump era quello di portare gli Stati Uniti fuori dal Paese e di disimpegnare l’America da un’occupazione militare pensata espressamente per portare avanti gli interessi del traffico di droga legati strettamente a quelli della finanza internazionale.

L’obbiettivo dei talebani invece era quello di liberare il Paese dall’occupazione straniera e mettere fine all’utilizzo dell’Afghanistan come una centrale internazionale per il traffico di droga.

Entrambe le parti hanno raggiunto gli obbiettivi che si erano prefissati.

I termini dell’accordo tra Trump e i talebani sono con ogni probabilità questi. L’osservazione che alcuni stanno facendo di un Afghanistan piombato nelle mani della Cina appare prematura e sotto certi aspetti anche approssimativa.

Questa osservazione non tiene conto di due elementi. Il primo è che Trump non è affatto uno sprovveduto. Sapeva perfettamente delle mire espansionistiche della Cina sull’Afghanistan. Sapeva perfettamente che Pechino avrebbe cercato di portare il Paese dentro la Via della Seta, una trappola del debito concepita dalla Cina per poter sommergere di prestiti il Paese firmatario e poi successivamente impadronirsi delle sue infrastrutture chiave.

Se Trump ha chiuso un accordo con i talebani appare improbabile pensare che abbia lasciato fuori il contenimento dell’avanzata economica della Cina, un obbiettivo che ha segnato tutto il suo mandato presidenziale.

Il secondo elemento è che si dà per scontato che i talebani corrano tra le braccia della Cina e consegnino tutte le risorse minerarie del Paese alla dittatura comunista cinese.

Questa osservazione però trascura completamente quella che è la natura politica dei talebani. Questo gruppo religioso non ama nessuna ingerenza straniera, sia che provenga dalla NATO o dalla Cina. Pertanto se la Cina vorrà fare affari con Kabul si troverà di fronte gli stessi problemi davanti ai quali si trovò di fronte il deep state americano alla fine degli anni’90.

Trump pertanto non ha lasciato nulla al caso. Ora una volta preso atto che i media hanno iniziato a dare vita a questa massiccia campagna di disinformazione facendo passare l’evacuazione di Kabul come “caotica” o “fallimentare” ha giocato ancora più d’astuzia.

Ha scaricato sulle spalle di Biden il presunto disastro raffigurandolo come un totale incapace, quando in questo gioco Joe Biden riveste solo la parte dell’utile idiota che si limita a fare ciò che è stato deciso da altri.

Trump sta demolendo l’amministrazione fantoccio di Joe Biden che non ha alcun potere operativo e sta compiendo un capolavoro politico. Sta portando dalla sua parte persino gli elettori democratici che hanno votato per Biden.

La fine della guerra in Afghanistan è stata pertanto una tremenda sconfitta per il deep state che ormai è in preda all’isteria cronica perché a parte orchestrare massicce campagne di disinformazione non è più in grado di vincere la partita sul grande e vero scacchiere globale.

C’è un formidabile giocatore di scacchi là fuori che sta portando la più grande beffa di tutti i tempi.

Portare avanti la demolizione del Grande Reset attraverso una amministrazione che avrebbe dovuto rispondere ai piani alti del mondialismo.

Questa è la storia della fine della guerra in Afghanistan.

È la storia del più grande apparente fallimento di Joe Biden che è il più grande successo di Donald Trump contro il Nuovo Ordine Mondiale.

di Cesare Sacchetti


 
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