ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 4 agosto 2021

Il castigo ce lo diamo noi stessi

TRAGEDIA DEL VAJONT "SEGRETO"

    Il lato nascosto della tragedia del Vajont. Le visioni di Don Bortoluzzi: caso di preveggenza? Dio non castiga, Dio quando viene respinto solamente si astiene dalla Sua protezione nel rispetto della libertà che ha dato all’uomo                                                                                                    di Francesco Lamendola  

  

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La sera del 9 ottobre 1963 una frana del Monte Toc dovuta alle piogge provocò la tracimazione del lago artificiale formato dalla diga del torrente Vajont, a 710 metri d’altezza sul mare, e la precipitosa discesa a valle di un’immensa ondata di acqua e fango che spazzò letteralmente il paese di Longarone, situato in pendio, non lungi dalla sponda del Piave, e di alcuni borghi vicini, per un totale di oltre 2.000 vittime, tra le quali quasi 500 bambini. Erano le nove di sera quando il disastro si abbatté a valle, dopo aver parzialmente distrutto i paesi di Erto e Casso, situati vicino alla diga: un’ora in cui quasi tutti erano già a casa o indugiavano nei bar prima di rientrare per coricarsi; pochissimi erano fuori e furono proprio questi che ebbero qualche possibilità di salvarsi, correndo a precipizio verso l’alto: per tutti gli altri non ci fu nulla da fare, morirono senza quasi avere il tempo di rendersi conto di ciò che stava accadendo.


 Ancora oggi, passeggiando per il paese interamente ricostruito e osservando con un po’ di attenzione le facciate delle case, si può osservare il punto esatto in cui si fermò l’onda di piena risalendo su per la sponda opposta del Piave: è il punto in  cui le nuovissime costruzioni, fra le quali spicca la brutta chiesa in stile ultramoderno e post-conciliare, cedono il posto bruscamente ai vecchi edifici di prima del 1963, e lo si individua benissimo (cfr. il nostro articolo, corredata di foto d’epoca, Chiesa e neochiesa: c’è un “prima” e un “dopo”, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 06/12/17). Tutto questo è cosa nota e tutti gli abitanti del Nord Est che hanno l’età giusta lo ricordano con sgomento e raccapriccio, perché la tragedia colpì profondamente l’animo delle genti venete e friulane, imprimendosi indelebilmente nella loro memoria.

 

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Longarone: Parrocchia di Santa Maria Immacolata "Prima" e dopo la ricostruzione in stile ultramoderno e post-conciliare.

 

C’è una cosa tuttavia che pochissimi conoscono e che noi stessi facciamo presente con una certa trepidazione, perché non ne possediamo le prove inconfutabili, ma ne abbiamo solo una testimonianza indiretta; ci sembra nondimeno che sia giusto parlarne, perché, se fosse confermata, getterebbe una luce diversa su quella terribile tragedia. Non alludiamo a qualche nuovo studio o perizia di carattere geologico o ingegneristico, e neppure a qualche inchiesta giornalistica rimasta ignota al grande pubblico: su tale terreno si è già detto molto, forse perfino troppo, e del resto non è quello che qui c’interessa, né possediamo una specifica competenza per sentirci autorizzati ad aggiungere qualcosa a quanto è già stato ampiamente dibattuto nel corso di tutti questi anni. Ci riferiamo invece a un evento di natura spirituale, che, se fosse confermato, potrebbe forse consentire una lettura completamente nuova di quell’ormai lontano dramma, appunto in chiave spirituale e morale. Si tratta di questo: poche ore prima della tragedia, al tramonto del 9 ottobre 1963, per le vie di Longarone vi sarebbe stata una vera e propria processione blasfema, con gravissimi atti di oscena irrisione verso la Madre Santissima di Gesù Cristo (e qui ricordiamo il particolare significativo che la statua lignea di Maria Vergine posta nella chiesa parrocchiale venne trascinata a valle dall’onda del Vajont e ripescata a Fossalta, a 100 km. di distanza, danneggiata e priva delle mani, per essere poi collocata nella chiesa nuova, unico arredo del precedente edificio sopravvissuto alla catastrofe). Un fatto che fa venire in mente il terremoto di Messina del 28 dicembre 1908, che provocò qualcosa come 100.000 vittime: secondo la testimonianza di due santi sacerdoti i quali, oltretutto, si prodigarono nell’opera di assistenza ai senza tetto, don Luigi Orione e Annibale Maria di Francia, poche ore prima del sisma vi sarebbero state, in quella città, una serie di manifestazioni anticristiane a carattere sacrilego, organizzate dalla massoneria locale e dal circolo Giordano Bruno, che andarono dall’esibizione di striscioni con la scritta Dio non esiste, alla sfilata di una processione blasfema che celebrava la distruzione della religione cattolica a Messina, la quale, giunta alla spiaggia, aveva gettato in mare un crocifisso; fino alla declamazione di una canzoncina che terminava con le parole: O Bambinello mio, vero Dio e vero uomo (…) tu che sai, che non sei ignoto, manda a tutti un terremoto.

Né si tratta di un episodio isolato, anche se gli storici ufficiali si guardano bene dal ricordarlo, per non incorrere nel più grave dei reati culturali oggi esistenti: il politicante scorretto. Ne abbiamo parlato a proposito del terremoto di Haiti del gennaio 2010 (cfr. L’articolo: Il terremoto di Haiti è la conseguenza di un patto col Diavolo?, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 01/02/10, e ripubblicato su quello dell’Accademia Nuova Italia il 19/01/18); e abbiamo toccato indirettamente questo argomento anche parlando delle presunte profanazioni eucaristiche del 1955 a Castagnole, in provincia di Treviso (cfr. C’è un segreto indicibile dietro la morte del vescovo Egidio Negrin?, sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 25/01/18). In tutti questi casi, sia gli abitanti delle località interessate, sia l’opinione pubblica nel suo insieme, specie nella componente progressista, tendono a reagire malissimo, sentendosi offesi dall’accostamento fra peccato e calamità, rimproverando a chi osa farlo di avere una concezione punitiva di Dio, come se Egli amasse la vendetta per il gusto di far soffrire gli uomini. Costoro non vogliono vedere che non è Dio  a mandare i castighi, ma il peccato stesso che chiama, per così dire, la giusta mercede per i peccatori. Non si può pensare d’infrangere impunemente l’ordine della creazione, d’insultare il Creatore e beffarsi delle cose più sacre, senza che ciò conduca necessariamente a una reazione dell’ordine violato e produca i frutti amari che derivano dalla ribellione a Dio.

 

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Longarone 9 ottobre 1963: il lato nascosto della tragedia del Vajont.

 

Ma torniamo al fatto del Vajont. Ad aver “visto”, non fisicamente ma in stato di rapimento spirituale, l’orrenda profanazione di Longarone, è stato, nel 1945 – e dunque con ben diciotto anni di anticipo – don Guido Bortoluzzi, un sacerdote nativo di Puos d’Alpago nella diocesi di Belluno, che all’epoca era parroco di Casso, il paesino friulano delle Prealpi Carniche (allora in provincia di Udine, dal 1968 in quella di Pordenone) più prossimo alla grandiosa e a suo modo perfetta, ma imprudente diga, progettata dall’ingegnere milanese Carlo Semenza fra il 1926 e il 1958 e rapidamente portata a termine nel 1960, vale a dire meno di tre anni prima della tragedia e quindici dopo la visione di quel prete dalla misteriosa vita interiore.

Della figura affascinante, e per certi aspetti spiazzante, di quest’ultimo, ci siamo già occupati a suo tempo, in relazione alle sue visioni e rivelazioni mistiche (cfr. l’articolo: La Genesi biblica secondo don Guido Bortoluzzi, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 16/01/17). Qui tuttavia non intendiamo parlare dell’aspetto più noto della sua sorprendente opera, quello relativo all’interpretazione biologica e antropologica del primo libro della Bibbia, bensì di una visione che egli ebbe molti anni prima della tragedia del Vajont e che ne costituisce in certo qual modo l’antefatto. La riportiamo nelle parole di Renza Giacobbi, la studiosa che raccolse la testimonianza viva dell’ormai anziano sacerdote e che, con amore e scrupolosità, curò, dopo la morte di lui, la pubblicazione dei suoi scritti, con il titolo di Genesi biblica. Nuova luce sulle origini dell’uomo, della terra e dell’universo; in questo caso, però, non si tratta d’un racconto scritto, ma di cose che ella udì direttamene dalle labbra di don Bortoluzzi (Belluno, Stampato in proprio, 2003, pp. 44-46): 

Nel primo anno del suo ministero a Casso egli ebbe un sogno profetico.

Vide, con 18 anni d’anticipo, l’enorme frana staccarsi dal monte Toc, invadere il bacino del lago del Vajont e l’acqua tracimare con forza oltre la diga e incanalarsi spaventosamente  per la stretta e ripida valle che porta a Longarone. Vide la massa d’acqua scendere precipitosamente a zig zag verso il paese e spazzare via case, strade, piazza, chiesa, municipio, cimitero… quindi l’enorme distesa piatta e gialla di limo ricoprire ogni cosa appiattendo tutto. Vide i morti e quelli che stavamo per morire mentre annaspavano disperatamente fra gli spasimi cercando di salvarsi. Ne riconobbe molti, fra i quali anche l’Arciprete di Longarone mons. Bortolo Làrese e il suo cappellano e parente don Lorenzo Làrese.

Sconvolto, cercò di responsabilizzare i paesi interessati inviando ai rispettivi sindaci e parroci lettere circostanziate. Descrisse perfino la linea di demarcazione fra le case che sarebbero state travolte e quelle che sarebbero rimaste illese. Ma, a quell’epoca,  la diga e il lago del Vajont non c’erano ancora e, dunque, non fu preso seriamente. Tutti ne risero, ma molti di costoro persero la vita diciott’anni dopo.

Incominciava così per don Guido il calvario di essere considerato un personaggio strano.

Don Guido però non rivelò nelle sue lettere e nei suoi appunti la descrizione di una scena che, nella medesima visione, precedeva la catastrofe e che mi raccontò a viva voce. Vide snodarsi lungo le vie di Longarone una processione formata da alcuni giovinastri che portavano infilati su bastoni i genitali di bovini raccolti al macello comunale intonando frasi blasfeme e irripetibili sull’aria delle Litanie Lauretane: «Santa…, ora pro nobis» con evidente atteggiamento di scherno.  Dedusse che l’episodio avvenne qualche ora prima della caduta della frana dalla luce del tramonto della scena che vide.

 

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Il lato nascosto della tragedia del Vajont? Non è Dio che si vendica castigando, ma gli uomini che attirano su di sé le conseguenze dei loro peccati. E per un cristiano la sofferenza degl’innocenti è sì un mistero ma non un ostacolo insuperabile alla fede: anzi forse proprio essa è per noi sorgente di grazia!

 

Il fatto che il Signore abbia fatto vedere a don Guido la catastrofe in stretta sequenza logica con quella infelice e blasfema  processione ci spinge a credere che fra i due eventi  ci fosse un nesso per far capire a noi uomini come un comportamento irrispettoso possa alienarci la protezione di Dio.

Dio non castiga; Dio, quando viene respinto, solamente si astiene dalla Sua protezione nel rispetto della libertà che ha dato all’uomo.

Don Guido tuttavia ripeteva:

«È improprio chiamarlo castigo di Dio perché Dio non è vendicativo. Non è Dio che manda i castighi, anche se questo è il termine che usa la Bibbia  per far intendere che tra due fatti c’è un nesso di causa-effetto. Il castigo ce lo diamo noi stessi perché è la naturale conseguenza  dell’allontanamento dalla protezione di Dio. Purtroppo in questi casi vengono coinvolti degli innocenti. Ma la colpa non è di Dio. Anzi, stiamone certi, Dio è vicino alle vittime innocenti e spiritualmente le sostiene. Dio ha a cuore la salvezza di tutti, quella eterna. Inoltre, la parte più pesante della sofferenza, specialmente quella degli innocenti, la porta Lui stesso. Certo è che se il Signore mal sopporta che Lo si bestemmi, non permette che s’insulti la Vergine Immacolata!».

Ovviamente il cedimento del Monte Toc era già in corso da mesi. È chiaro che non si può attribuire a Dio l’improvviso franamento.

La protezione di Dio non evita le calamità naturali, ma può evitare che si assommino gli errori umani e, in particolare, che le persone arrivino alla conclusione della loro vita impreparate.

Al tempo della sciagura del Vajont, avvenuta nella tarda serata del 9 ottobre del 1963, don Guido da dieci anni era partito da Casso ed erano passati diciott’anni dalla visione. Molti avevano dimenticato la sua profezia ed erano andati incontro alla morte.

 

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Le visioni di Don Bortoluzzi: caso di preveggenza? "Dio non castiga": Dio quando viene respinto, solamente si astiene dalla Sua protezione nel rispetto della libertà che ha dato all’uomo!

 

Che dire di questa visione? Non abbiamo la pretesa di decidere in modo apodittico della credibilità di don Guido Bortoluzzi. Quelli che l’hanno conosciuto ne parlano come di un’anima candida e di un sacerdote di grande fede e accesa spiritualità, che sperimentò per tutta la vita l’incomprensione e l’ironia degli altri e perciò anche la loro inevitabile conseguenza, la solitudine. Abbiamo chiesto qualcosa delle sue visioni a una signora del paese di Chies d’Alpago, ove egli fu per tanti anni parroco, che allora svolgeva mansioni di perpetua e che quindi l’ha conosciuto bene e lo ricordava come un buon sacerdote. Tuttavia: Per carità, don Guido, non mi parli di queste cose, perché non le voglio sentire, era solita rispondergli quando lui entrava in argomento; e ne parlava ancora, a tanti anni di distanza, con lo sconcerto e il turbamento che doveva aver provato allora. La signora Renza Giacobbi, invece, che da tanti anni si adopera per mantenere vivo non solo il ricordo del buon prete, ma anche il contenuto delle sue visioni mistiche, non ha dubbi: don Guido era assolutamente sincero e incapace d’impostura. Per ciò che riguarda il caso specifico della visione relativa ai fatti del Vajont, che si può considerare un caso di preveggenza, sarebbe necessario intervistare le persone di una certa età per sapere se a Longarone ebbe realmente luogo la processione blasfema del 9 ottobre 1963, così come la declamazione parodistica e sacrilega delle Litanie Lauretane. Ma se anche fosse tutto vero, qualcuno obietterà di certo, come si conciliano l’amore e la misericordia di Dio con un  castigo così terribilmente severo? E gli innocenti che vi furono coinvolti: come si concilia la loro sorte con l’infinita bontà divina? Don Bortoluzzi ha già risposto a tali obiezioni, e la sua risposta è simile a quella di sant’Annibale Maria di Francia o, più recentemente, a quella del domenicano Giovanni Cavalcoli. Non è Dio che si vendica castigando, ma gli uomini che attirano su di sé le conseguenze dei loro peccati. E per un cristiano la sofferenza degl’innocenti è sì un mistero ma non un ostacolo insuperabile alla fede: anzi forse proprio essa è per noi sorgente di grazia. 

 

Il lato nascosto della tragedia del Vajont 

di  

Francesco Lamendola 

Vedi anche:

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Chiesa e neochiesa: c’è un “prima” e un “dopo” - CHIESA E NEOCHIESA: L'ESEMPIO

Il terremoto di Haiti è la conseguenza di un patto col Diavolo? - HAITI E PATTO COL DIAVOLO

C’è un segreto indicibile dietro la morte del vescovo Egidio Negrin? - NEGRIN: UN SEGRETO INDICIBILE?

La Genesi biblica secondo don Guido Bortoluzzi - VISIONI E GENESI BIBLICA

 

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