ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 12 agosto 2021

“il popolo di Dio” non ne aveva sentito alcun bisogno.

“Io, vecchio cattolico, rileggendo il Paolo VI del 1969 ho provato tanta pena”

Cari amici di Duc in altum, dopo la pubblicazione del discorso rivolto ai fedeli da Paolo VI il 19 novembre 1969, a pochi giorni dalla prima celebrazione della “nuova Messa”, ho ricevuto il contributo che qui vi propongo.

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di Giovanni Lugaresi

Fa male al cuore leggere, o rileggere, il testo di Paolo VI del 1969, pubblicato su Duc in altum, a proposito del novus ordo della Messa.

Intanto per un primo importantissimo motivo. In tutto quel discorso sulla “nuova Messa” non viene mai sottolineato come al centro della liturgia ci sia, ci debba essere, Nostro Signore, presente nel Santissimo Sacramento dell’altare in corpo, sangue, anima e divinità.

E infatti, la storia di questi cinquantadue anni (tanti ci separano da quel discorso pontificio) ha dimostrato tutto il contrario. Abbiamo una Messa che è narrazione, racconto, e non, in primis, e fondamentalmente, rinnovazione del sacrificio (incruento) della croce con il sacerdote “in persona Christi”.

Infatti, chi lo dice più? Al massimo, è “la cena del Signore”.

Al centro della liturgia si è posta la persona del celebrante, spesso con le sue stravaganze, le sue invenzioni, le sue fantasie, i suoi sacrilegi (basta leggere le cronache puntuali di quel che accade in Italia e all’estero). Tali e tante le stravaganze e le invenzioni da richiamare alla memoria il convertito Papini, che in una discussione con un prete a un certo punto esclamò: ma lei ci crede in Dio?

Ancora: al centro della liturgia, per taluni progressisti-modernisti, ci deve essere (c’è, di fatto) “il popolo di Dio”. E poi, andando oltre, il sacerdote che presiede l’assemblea. Già, quasi si trattasse di un condominio o del consiglio di una società per azioni!

Quello che allora sorprese taluni, e continua a sorprendere oggi, è che della decisa riforma liturgica proprio “il popolo di Dio” non avesse sentito alcun bisogno.

Certo, si fece notare che la partecipazione alla “Messa in latino” non era consapevole, che non la si capiva (come se il “mistero”, in qualsiasi lingua espresso, potesse essere spiegato!). Il popolo era, il popolo doveva… Sempre il popolo al centro, non più Dio, non più il sacrificio redentivo di Cristo sul Calvario.

I risultati si sono visti: un progressivo abbandono della “nuova Messa” da parte dei fedeli, lo spopolamento di chiese e parrocchie. Eppure in quelle chiese, in quelle parrocchie ci sono animazione, letture, uomini e donne che salgono al microfono, doni portati all’altare (ridotto a “tavola calda”, come Giovannino Guareschi definì le nuove mense) a un Offertorio la cui formula nuova, come osservato da più parti, richiama la Coldiretti, al posto di quell’eloquentissimo “Suscipe, Sancte Pater, omnipotens, aeterne Deus, hanc immaculatam hostiam, quam ego, indignus famulus tuus, offero tibi, Deo meo, vivo et vero, pro innumerabilibus peccatis, et offensionibus, et negligentiis meis, et pro omnibus circumstantibus, sed et pro omnibus fidelibus christianis, vivis atque defunctis; ut mihi et illis proficiat ad salutem in vitam aeternam. Amen”.

Dicevano, continuano a dire: ma la gente capiva? Per questo, la necessità di un cambiamento…

Certo: chi aveva studiato il latino capiva; ma anche gli altri, a forza di sentire quelle formule, imparava, per don dire del mio caso personale, allargabile peraltro a una schiera ampia di fedeli.

1925: esce un messalino con le parti fisse della Messa, all’insegna di quel PAS (Preghiera Azione Sacrificio) dei Giovani di Azione Cattolica. Il testo è in latino, a fronte c’è quello in italiano.

Mio padre, di famiglia socialista e mangiapreti, trasferitosi a Ravenna da Castiglione di Cervia per lavoro, frequentava il Ricreatorio arcivescovile e, entrato nell’Azione Cattolica, con quel libro andava a Messa.

Verso i diciassette anni scoprii il messalino in un cassetto, e da allora mi fu compagno alla Messa domenicale e dei giorni festivi.

Il latino l’ho studiato soltanto alle scuole medie, perché non ho compiuto gli studi classici, eppure… Eppure quel latino della Chiesa, grazie al testo a fronte, lo capii e avvertii il senso del sacro, di un rito che ci trascende, al centro del quale c’è quindi Dio, non il prete, non il popolo, ma Dio: l’unico al quale dobbiamo adorazione, e non agli idola, di ieri e di oggi.

Del resto, nelle preghiere mattutine e della sera, ai miei tempi, così si incominciava: “Ti adoro, mio Dio, ti amo con tutto il cuore, ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano…”.

Perché, se già nel 1925 esistevano messalini con due testi, latino e italiano, non si è proceduto su quella strada? Sì che anche gli ignoranti del latino potessero seguire la celebrazione del sacerdote capendo, e senza bisogno di animatori, lettori, cantori (isolati, peraltro, perché il popolo oggi in chiesa canta poco o punto), eccetera.

Ora, chi scrive è un vecchio cattolico, e vecchio pure di età, ma a questo vecchio nessuno ha mai spiegato perché la riforma della liturgia cattolica romana, allora, fu affidata a un sacerdote in odore di compasso e grembiulino. Ma mi fermo, per non eccedere.

Qualcuno invece ha spiegato (Matteo 7: 16-20) che l’albero si vede dai frutti. E se l’albero si vede dai frutti, questi del novus ordo lo vediamo tutti, se vogliamo vedere, che non sono buoni frutti, tutt’altro!

Per concludere, quel discorso di Paolo Vi, letto, o riletto oggi, mi ha fatto molta pena, perché evoca un fallimento.

E poi, visto che ci siamo…

Sì, aveva ragione papa Montini nel denunciare che il fumo di Satana era entrato nella Chiesa; che nella Chiesa aveva preso piede un “pensiero non cattolico”, ma le fessure attraverso le quali quel fumo era penetrato nel tempio da chi erano state, se non provocate, certamente permesse? E chi aveva favorito quel pensiero non cattolico propagatosi nella Chiesa postconciliare? Qualcuno darà una risposta? Qualcuno farà un esame di coscienza?

Un vecchio cattolico, digiuno di studi classici, ma che il latino della Messa lo capisce e non pretende che gli vengano spiegati il senso del sacro e il mistero racchiuso nel vetus ordo, aspetta, non dimenticando durante la sua giornata di ripetere di quando in quando l’invocazione “Sancte Michael Arcangele, defende nos in proelio, contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium…”, con quel che segue.

Cambiata la Messa, cambiato il Cristianesimo

Abbiamo selezionato per voi una bellissima omelia di don Albero Secci, sacerdote del clero di Novara che celebra in Rito Romano Antico. Non abbiamo ridotto il testo perché è tutta da meditare. Sono parole che fanno capire come il cambiamento della Messa abbia determinato le conseguenze che tutti stiamo patendo. 


Ecco il testo dell’omelia:

Carissimi, è veramente cambiato tutto e niente è come prima! Questo è un dato di fatto che nessuno, – se non chi si mangia il cervello – può negare! Nulla è più come prima. Da cosa… si vede? Dal rifiuto della croce! Questa cosa non cambia un aspetto del cristianesimo ma cambia tutto. Chi ha vissuto la vita delle parrocchie negli ultimi anni ha visto che l’accento, la sottolineatura, è tutta sulla resurrezione, perché tu sei già stato salvato da Cristo e devi diventare cosciente di questa salvezza. Credo che nessuno possa negare di aver sentito questo. Anche chi vuole rimanere in continuità con il passato della Chiesa di fatto legge il passato alla luce di questa accentuazione spropositata sulla resurrezione e con una negazione di fatto della croce, della croce e della sofferenza Non sopportiamo più la croce, non sopportiamo più la nostra croce e perciò non sopportiamo più la croce di Cristo. Non credo ci siano degli ideologizzati contro la croce di Cristo, ma abbiamo di fatto paura della nostra sofferenza e quindi rifiutiamo la croce di Cristo. La scomparsa della Passione come fatto reale! Ricordate lo scandalo per il film di Mel Gibson alcuni anni fa? “The Passion“… non si può più parlare della Passione come fatto reale! Oggi la sottolineatura non è più sulla sofferenza del Signore, reale, morale, fisica, ma sull’insegnamento che questa sofferenza può dare. Non dico che questo sia sbagliato, ma l’ultimo recupero nell’annullamento della Passione e della croce del Signore è che ha un insegnamento morale, ci insegna come si vuol bene… della sofferenza reale mai! Questo è il grande tabù! Cosa ha fatto il Signore? Ha suscitato nella storia della Chiesa nel momento più tragico della sua storia un santo che ha fisicamente vissuto la Passione lungo tutta la sua vita sacerdotale. La Messa di Padre Pio la si capisce con il sangue di Padre Pio! Una ferita che non si chiude dà fastidio, immaginate tutta una vita con le stigmate! Cosa c’è di meno proponibile alla chiesa di oggi di un sangue che non si ferma? Di un sangue che non fermandosi, blocca la vita di un prete! Perché Padre Pio non ha vissuto una vita che un frate come lui avrebbe dovuto vivere. Questa cosa qui -non c’è niente da fare- scandalizza: ha scandalizzato la Chiesa lungo decenni ed è un terribile giudizio per noi oggi, perché c’è il rischio, che han già fatto, di annullare Padre Pio facendone un santo di “altro”, ma non della Passione. Noi abbiamo una grazia in più rispetto ai fedeli che affollavano la chiesa di San Giovanni Rotondo quando era in vita Padre Pio, perché loro non potevano valutare tutta la gravità della crisi che era in atto, noi oggi sì. Basta avere un po’ di sincerità di cuore e un po’ di intelligenza, che Grazie a Dio, Dio ci ha dato. Padre Pio di fatto ha vissuto ininterrottamente la Passione di Nostro Signore Gesù Cristo nella sua carne! E questo ha anche risvolti morali: cosa dice questo? Che la Passione di N.S. Gesù Cristo non è finita. Certo in se è sufficiente, sappiamo bene che la teologia dice questo, ma di fatto N.S. vuole associare a sé le anime alla sua Passione per associarle anche alla sua redenzione. Fatto ancora più grave, N.S. Gesù Cristo vuole essere aiutato nella redenzione del mondo da sua creature, da poveri peccatori che vengono resi partecipi della sua Passione, questo è stato vissuto in modo mistico-reale da Padre Pio, ma questa è la vocazione di ciascuno di noi. Questa il cuore della Messa di sempre, della Messa cattolica. Tutto è cambiato! Non si è voluto più questo: N.S. Gesù Cristo ci ha già salvato, ora applichiamo i frutti della sua salvezza: questo è il nuovo vangelo, ma questo non è il vangelo cattolico, questo è il vangelo protestante: questo è Lutero! E’ così vero che hanno dovuto cambiare la Messa, perché la Messa di sempre non poteva permettere un cambiamento del cristianesimo di questa portata. Non c’è niente da fare! E’ cosi vero: noi siamo imbarazzati di fronte al fatto che Dio chieda la sofferenza, che Dio chieda la sofferenza a un uomo: Padre Pio da Pietrelcina! Perché? Perché è necessario che ci sia qualcuno che venga immolato con Gesù Cristo Nostro Signore per la redenzione delle anime. A Fatima -mi ha colpito- la Madonna chiede a quei bambini il sacrificio per fermare la guerra, per cambiare le sorti dell’umanità! Chiede il sacrificio! Questo è insopportabile oggi! Vi parleranno di Fatima, ma non vi parleranno del cuore di Fatima che è la RIPARAZIONE! Avete mai visto nel nuovo Messale la Messa del Sacro Cuore? Hanno lasciato l’orazione tradizionale che dice che dobbiamo compiere una giusta riparazione, ne hanno messa a fianco un’altra, a scelta libera. Perché? Perché è insopportabile! Non sopportiamo più questo. Bisogna reagire! Non si può più accettare un camuffamento del cristianesimo di questo tipo perché ha toccato il cuore della Fede. Amici cari, è questione di vita o di morte: se uno non accetta la croce finisce ateo. Finisce senza Dio! Non perde un aspetto del cristianesimo, perde Dio stesso perché Dio ha deciso di soffrire per la nostra salvezza. La più grave bestemmia che possa esistere è il rifiuto della croce. Quella di Cristo e la nostra. La Chiesa ha ancora imbarazzo oggi di Padre Pio perché tutta la sua vita non avrebbe senso se non dentro la Messa di sempre e dentro il Cristianesimo della tradizione. Non hanno capito la sua vita e il disegno di Dio su di lui e quindi anche su di noi. Vi dico sinceramente o la Messa è una azione reale, è la stessa Passione (questa è la dottrina cattolica di sempre ed è la vita di P Pio) o la Messa diviene una preghiera intensissima nella quale Gesù Cristo è in qualche modo presente -ammettiamo che siano anche i cattolici più convinti della presenza reale del Signore e non dei semi protestanti- è presente il Signore, noi gli facciamo qualcosa attorno?! Poi tu devi destare tutta una serie di sentimenti tuoi e di preghiere tue e di impegno tuo, tra le quali la carità. Verissimo, chi nega la carità? Saremo giudicati sulla carità! Ma non è questa la Messa! Io insisto non è questa la Messa! La Messa è la Passione di Nostro Signore perché “senza la sua Passione, la carità per me non è possibile!” (Rosmini). Se la Messa non è la Passione di Gesù, piano piano diventa una presenza morale quella del Signore! Poi tu sei lì che cerchi di stare con Gesù facendo del sentimento e della preghiera elementi per destare delle buone intenzione e così hai compi la fine della presenza del Signore e la distruzione della vita cristiana. Ora voglio spezzare una lancia a favore dei preti. Voi dovete avere una grande carità nei confronti dei sacerdoti perché non sono stati loro a cambiare la Messa. Un sacerdote dà la vita per la Messa e se gli cambiano la Messa gli han distrutto la vita. Io ho una grande stima verso i sacerdoti perché un miracolo se vivono ancora così. Gli hanno tolto tutto! Qui vi chiedo di comprendere fino in fondo il dramma. L’hanno reso “presidente” di un’azione di preghiera che dice: Gesù è presente, ci vuol bene, ora dobbiamo voler bene agli altri etc… Ma ci pensate? E’ un training autogeno, un auto-convincimento… questa non è la Messa! E’ cosi vera la Messa di Padre Pio, la Messa cattolica, che il Signore ha dato la sua Passione a un uomo per 50 anni, per dirci “Attenti! Non è con dei moralismi che vivi il cristianesimo”. E’ cosi vero ciò che han dovuto fare della Messa una continua meditazione! Se uno va alla Messa “nuova” deve fare della meditazione. Avete mai visto il video dell’ultima Messa di Padre Pio? E’ un uomo che è Gesù in quel momento! La gente partecipa unendosi moralmente e cantando, ma la Messa non la fanno quelli che assistono! La fa Padre Pio! La Messa “nuova” è basata non più sull’azione reale, ma sulla meditazione personale. Questa è la fine del cristianesimo! Voi immaginate i poveri preti: ci hanno tolto questo. Di cosa viviamo? Di cosa vivremo? Ma hanno tolto anche alle anime questo: come fa uno a rimanere fedele tutta la vita al suo matrimonio? Come fa ad accettare le gioie e le sofferenze di una vita? Come fa ad accettare la malattia e la morte se non dentro questa azione di Cristo? Padre Pio disse: “Il mio compito finirà quando finirà la Santa Messa nel mondo“… adesso mi son venuti i brividi perché mi è venuto un pensiero che forse non è un pensiero ortodosso: muore alla vigilia (1968)! Muore alla vigilia… 


Paolo VI e la “nuova Messa”. Così parlava il papa in quello storico 1969

Cari amici di Duc in altum, dopo la pubblicazione del motu proprio Traditionis custodes di Francesco, che ha provocato dolore e sconcerto in tanti fedeli, il tema della Santa Messa apostolica romana (definizione da preferire rispetto a Messa in latino, Messa tridentina o Messa antica) è al centro di numerose analisi e riflessioni. All’interno dei commenti si trovano spesso riferimenti a Paolo VI, il papa che volle la “nuova Messa” e che nel 1969 le diede inizio.

Per capire meglio quale fu l’atmosfera culturale ed ecclesiale nella quale venne presa la decisione del papa, e per illustrare il modo in cui lo stesso Paolo VI visse quella epocale trasformazione, è utile rileggere il testo dei discorsi che Montini rivolse ai fedeli in occasione di due udienze del novembre 1969, nell’immediata vigilia dell’introduzione del cambiamento.

Iniziamo dunque con l’udienza generale di mercoledì 19 novembre 1969.

Si noterà come il papa cerchi di rispondere alle obiezioni, che furono presenti fin da subito.

A.M.V.

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Accogliere con gioia ed applicare con unanime osservanza il nuovo ordinamento liturgico

Diletti Figli e Figlie!

Vogliamo richiamare la vostra attenzione sull’avvenimento che sta per compiersi nella Chiesa cattolica latina, e che avrà la sua applicazione obbligatoria nelle Diocesi italiane a partire dalla prossima prima Domenica dell’Avvento, che cade quest’anno il 30 novembre; e cioè l’introduzione nella Liturgia del nuovo rito della Messa. La Messa sarà celebrata in una forma alquanto differente da quella che, da quattro secoli ad oggi, cioè da S. Pio V, dopo il Concilio di Trento, siamo soliti a celebrare.

Il cambiamento ha qualche cosa di sorprendente, di straordinario, essendo considerata la Messa come espressione tradizionale e intangibile del nostro culto religioso, dell’autenticità della nostra fede. Vien fatto di domandarci: come mai un tale cambiamento? E in che cosa consiste questo cambiamento? Quali conseguenze esso comporta per coloro che assisteranno alla santa Messa? Le risposte a queste domande, ed a simili provocate da così singolare novità, vi saranno date e ampiamente ripetute in tutte le chiese, su tutte le pubblicazioni d’indole religiosa, in tutte le scuole, dove s’insegna la dottrina cristiana. Noi vi esortiamo a farvi attenzione, procurando di precisare tosi e di approfondire qualche po’ la stupenda e misteriosa nozione della Messa.

La mente del Concilio

Ma intanto, per questo breve ed elementare discorso, cerchiamo di togliere dalle vostre menti le prime e spontanee difficoltà sollevate da un tale mutamento, in relazione alle tre domande, che subito esso ha fatto sorgere nei nostri spiriti.

Come mai tale cambiamento? Risposta: esso è dovuto ad una volontà espressa dal Concilio ecumenico, testé celebrato. Il Concilio dice così: «L’ordinamento rituale della Messa sia riveduto in modo che apparisca più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la pia e attiva partecipazione dei fedeli. Per questo, i riti, conservata fedelmente la loro sostanza, siano resi più semplici; si sopprimano quegli elementi che col passare dei secoli furono duplicati, o meno utilmente aggiunti; alcuni elementi invece, che col tempo andarono perduti, siano ristabiliti, secondo la tradizione dei santi Padri, nella misura che sembrerà opportuna o necessaria» (Sacr. Concilium, n. 50).

La riforma perciò, che sta per essere divulgata, corrisponde ad un mandato autorevole della Chiesa; è un atto di obbedienza; è un fatto di coerenza della Chiesa con se stessa; è un passo in avanti della sua tradizione autentica; è una dimostrazione di fedeltà e di vitalità, alla quale tutti dobbiamo prontamente aderire. Non è un arbitrio. Non è un esperimento caduco o facoltativo. Non è un’improvvisazione di qualche dilettante. È una legge pensata da cultori autorevoli della sacra Liturgia, a lungo discussa e studiata; faremo bene ad accoglierla con gioioso interesse e ad applicarla con puntuale ed unanime osservanza. Questa riforma mette fine alle incertezze, alle discussioni, agli arbitri abusivi; e ci richiama a quella uniformità di riti e di sentimenti, ch’è propria della Chiesa cattolica, erede e continuatrice di quella prima comunità cristiana, ch’era tutta «un Cuor solo e un’anima sola» (Act. 4, 32). La coralità della preghiera nella Chiesa è uno dei segni e una delle forze della sua unità e della sua cattolicità. Il cambiamento, che sta per avvenire, non deve rompere, né turbare questa coralità: deve confermarla e farla risonare con spirito nuovo, con respiro giovane.

Immutata sostanza

Altra domanda: in che cosa consiste il cambiamento? Lo vedrete; consiste in tante nuove prescrizioni rituali, le quali esigeranno, da principio specialmente, qualche attenzione e qualche premura. La devozione personale ed il senso comunitario renderanno facile e gradevole l’osservanza di queste nuove prescrizioni. Ma sia ben chiaro: nulla è mutato nella sostanza della nostra Messa tradizionale. Qualcuno può forse lasciarsi impressionare da qualche cerimonia particolare, o da qualche rubrica annessa, come se ciò fosse o nascondesse un’alterazione, o una menomazione di verità per sempre acquisite e autorevolmente sancite della fede cattolica, quasi che l’equazione fra la legge della preghiera, «lex orandi» , e la legge della fede, «lex credendi», ne risultasse compromessa.

Ma non è così. Assolutamente. Innanzi tutto perché il rito e la rubrica relativa non sono di per sé una definizione dogmatica, e sono suscettibili di una qualificazione teologica di valore diverso a seconda del contesto liturgico a cui si riferiscono; sono gesti e termini riferiti ad un’azione religiosa vissuta e vivente d’un mistero ineffabile di presenza divina, non sempre realizzata in forma univoca, azione che solo la critica teologica può analizzare ed esprimere in formule dottrinali logicamente soddisfacenti. E poi perché la Messa del nuovo ordinamento è e rimane, se mai con evidenza accresciuta in certi suoi aspetti, quella di sempre. L’unità fra la Cena del Signore, il Sacrificio della croce, la rinnovazione rappresentativa dell’una e dell’altro nella Messa è inviolabilmente affermata e celebrata nel nuovo ordinamento, come nel precedente. La Messa è e rimane la memoria dell’ultima Cena di Cristo, nella quale il Signore, tramutando il pane ed il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue, istituì il Sacrificio del nuovo Testamento, e volle che, mediante la virtù del suo Sacerdozio, conferita agli Apostoli, fosse rinnovato nella sua identità, solo offerto in modo diverso, in modo cioè incruento e sacramentale, in perenne memoria di Lui, fino al suo ultimo ritorno (cfr. De La Taille, Mysterium Fidei, Elucid. IX).

Maggiore partecipazione

E se nel nuovo rito troverete collocata in migliore chiarezza la relazione fra la Liturgia della Parola e la Liturgia propriamente eucaristica, quasi questa risposta realizzatrice di quella (cfr. Bouyer), o se osserverete quanto sia reclamata alla celebrazione del sacrificio eucaristico l’assistenza dell’assemblea dei fedeli, i quali alla Messa sono e si sentono pienamente «Chiesa», ovvero vedrete illustrate altre meravigliose proprietà della nostra Messa, non crediate che ciò intenda alterarne la genuina e tradizionale essenza; sappiate piuttosto apprezzare come la Chiesa, mediante questo nuovo e diffuso linguaggio, desidera dare maggiore efficacia al suo messaggio liturgico, e voglia in maniera più diretta e pastorale avvicinarlo a ciascuno dei suoi figli ed a tutto l’insieme del Popolo di Dio.

E rispondiamo così alla terza domanda che ci siamo proposti: quali conseguenze produrrà l’innovazione, di cui stiamo ragionando? Le conseguenze previste, o meglio desiderate, sono quelle della più intelligente, più pratica, più goduta, più santificante partecipazione dei fedeli al mistero liturgico, cioè alla ascoltazione della Parola di Dio, viva e risonante nei secoli e nella storia delle nostre singole anime, e alla realtà mistica del sacrificio sacramentale e propiziatorio di Cristo.

Non diciamo dunque «nuova Messa», ma piuttosto «nuova epoca» della vita della Chiesa. Con la Nostra Apostolica Benedizione

Fonte: vatican.va

https://www.aldomariavalli.it/2021/08/11/paolo-vi-e-la-nuova-messa-cosi-parlava-il-papa-in-quello-storico-1969/

Paolo Vi e la “nuova Messa” / Così parlava il papa in quello storico 1969 (seconda parte)

Cari amici di Duc in altum. dopo il testo dell’udienza del 19 novembre 1969, vi propongo quello della settimana successiva, 26 novembre. Mancano pochissimi giorni ormai al 30 novembre 1969, prima domenica di Avvento e data fissata per l’avvio del nuovo rito. Paolo VI si rivolge nuovamente ai fedeli e di nuovo cerca di giustificare i motivi che hanno portato al cambiamento. Il testo offre molteplici spunti di riflessione e pone tutti i problemi che ancora oggi, all’indomani di Traditionis custodes, sono al centro del dibattito. Dice Paolo VI: “Ci dobbiamo preparare a questo molteplice disturbo, ch’è poi quello di tutte le novità, che si inseriscono nelle nostre abituali consuetudini”. La Santa Messa ridotta a consuetudine? Quanto all’abbandono del latino, Montini parla di “sacrificio d’inestimabile prezzo” e tuttavia difende la scelta di cambiare perché, dice, “vale di più la partecipazione del popolo”. Ora, di fronte alla chiese vuote, o frequentate solo da teste canute, vediamo a che cosa ha portato quella scelta. Ma qui non si vuole giudicare col senno di poi. Propongo le parole di Paolo VI come contributo al confronto in corso oggi.

A.M.V.

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Udienza generale, mercoledì 26 novembre 1969

Effusione degli animi nella Assemblea Comunitaria, ricchezza del nuovo rito della Santa Massa

Diletti Figli e Figlie!

Ancora noi vogliamo invitare i Vostri animi a rivolgersi verso la novità liturgica del nuovo rito della Messa, il quale sarà instaurato nelle nostre celebrazioni del santo Sacrificio, a cominciare da domenica prossima, prima Domenica dell’Avvento, 30 novembre. Nuovo rito della Messa: è un cambiamento, che riguarda una venerabile tradizione secolare, e perciò tocca il nostro patrimonio religioso ereditario, che sembrava dover godere d’un’intangibile fissità, e dover portare sulle nostre labbra la preghiera dei nostri antenati e dei nostri Santi, e dare a noi il conforto di una fedeltà al nostro passato spirituale, che noi rendevamo attuale per trasmetterlo poi alle generazioni venture. Comprendiamo meglio in questa contingenza il valore della tradizione storica e della comunione dei Santi. Tocca questo cambiamento lo svolgimento cerimoniale della Messa; e noi avvertiremo, forse con qualche molestia, che le cose all’altare non si svolgono più con quella identità di parole e di gesti, alla quale eravamo tanto abituati, quasi a non farvi più attenzione. Questo cambiamento tocca anche i fedeli, e vorrebbe interessare ciascuno dei presenti, distogliendoli così dalle loro consuete devozioni personali, o dal loro assopimento abituale.

Ci dobbiamo preparare a questo molteplice disturbo, ch’è poi quello di tutte le novità, che si inseriscono nelle nostre abituali consuetudini. E potremo notare che le persone pie saranno quelle maggiormente disturbate, perché avendo un loro rispettabile modo di ascoltare la Messa si sentiranno distolte dai loro consueti pensieri e obbligate a seguirne degli altri. I sacerdoti stessi proveranno forse qualche molestia a tale riguardo.

Prepararsi ai cambiamenti

Che cosa fare in questa speciale e storica occasione?

Innanzi tutto: prepararci. Non è piccola cosa questa novità; non dobbiamo lasciarci sorprendere dall’aspetto, e forse dal fastidio, delle sue forme esteriori. È da persone intelligenti, è da fedeli coscienti informarsi bene circa la novità, di cui si tratta. Per merito di tante buone iniziative ecclesiali ed editoriali questo non è difficile. Come altra volta dicevamo, sarà bene che ci rendiamo conto dei motivi, per i quali è introdotta questa grave mutazione: l’obbedienza al Concilio, la quale ora diviene obbedienza ai Vescovi che ne interpretano e ne eseguiscono le prescrizioni; e questo primo motivo non è semplicemente canonico, cioè relativo ad un precetto esteriore; esso si collega al carisma dell’azione liturgica, cioè alla potestà e all’efficacia della preghiera ecclesiale, la quale ha nel Vescovo la sua voce più autorevole, e quindi nei Sacerdoti, che ne coadiuvano il ministero, e che come lui agiscono «in persona Christi» (cfr. S. Ign., Ad Eph., IV): è la volontà di Cristo, è il soffio dello Spirito Santo, che chiama la Chiesa a questa mutazione. Dobbiamo ravvisarvi il momento profetico, che passa nel corpo mistico di Cristo, ch’è appunto la Chiesa, e che la scuote, la risveglia, e la obbliga a rinnovare l’arte misteriosa della sua preghiera, con un intento, che costituisce, com’è stato detto, l’altro motivo della riforma: associare in maniera più prossima ed efficace l’assemblea dei fedeli, essi pure rivestiti del «sacerdozio regale», cioè dell’abilitazione alla conversazione soprannaturale con Dio, al rito ufficiale sia della Parola di Dio, sia del Sacrificio eucaristico, donde risulta composta la Messa.

Il passaggio alla lingua parlata

Qui, è chiaro, sarà avvertita la maggiore novità: quella della lingua. Non più il latino sarà il linguaggio principale della Messa, ma la lingua parlata. Per chi sa la bellezza, la potenza, la sacralità espressiva del latino, certamente la sostituzione della lingua volgare è un grande sacrificio: perdiamo la loquela dei secoli cristiani, diventiamo quasi intrusi e profani nel recinto letterario dell’espressione sacra, e così perderemo grande parte di quello stupendo e incomparabile fatto artistico e spirituale, ch’è il canto gregoriano. Abbiamo, sì, ragione di rammaricarci, e quasi di smarrirci: che cosa sostituiremo a questa lingua angelica? È un sacrificio d’inestimabile prezzo. E per quale ragione ? Che cosa vale di più di questi altissimi valori della nostra Chiesa? La risposta pare banale e prosaica; ma è valida; perché umana, perché apostolica. Vale di più l’intelligenza della preghiera, che non le vesti seriche e vetuste di cui essa s’è regalmente vestita; vale di più la partecipazione del popolo, di questo popolo moderno saturo di parola chiara, intelligibile, traducibile nella sua conversazione profana. Se il divo latino tenesse da noi segregata l’infanzia, la gioventù, il mondo del lavoro e degli affari, se fosse un diaframma opaco, invece che un cristallo trasparente, noi, pescatori di anime, faremmo buon calcolo a conservargli l’esclusivo dominio della conversazione orante e religiosa? Che cosa diceva San Paolo? Si legga il capo XIV della prima lettera ai Corinti: «Nell’assemblea preferisco dire cinque parole secondo la mia intelligenza per istruire anche gli altri, che non diecimila in virtù del dono delle lingue» (19 ecc.). E Sant’Agostino sembra commentare: «Purché tutti siano istruiti, non si abbia timore dei professori» (P.L. 38, 228, Serm. 37; cfr. anche Serm. 299, p. 1371). Ma del resto il nuovo rito della Messa stabilisce che i fedeli «sappiano cantare ‘insieme, in lingua latina, almeno le parti dell’ordinario della Messa, e specialmente il simbolo della fede e la preghiera del Signore, il Padre nostro» (n. 19). Ma ricordiamolo bene, a nostro monito e a nostro conforto: non per questo il latino nella nostra Chiesa scomparirà; esso rimarrà la nobile lingua degli atti ufficiali della Sede Apostolica; resterà come strumento scolastico degli studi ecclesiastici e come chiave d’accesso al patrimonio della nostra cultura religiosa, storica ed umanistica; e, se possibile, in rifiorente splendore.

Partecipazione e semplicità

E finalmente, a ben vedere, si vedrà che il disegno fondamentale della Messa rimane quello tradizionale, non solo nel suo significato teologico, ma altresì in quello spirituale; questo anzi, se il rito sarà eseguito come si deve, manifesterà una sua maggiore ricchezza, resa evidente dalla maggiore semplicità delle cerimonie, dalla varietà e dall’abbondanza dei testi scritturali, dall’azione combinata dei vari ministri, dai silenzi che scandiscono il rito in momenti diversamente profondi, e soprattutto dall’esigenza di due requisiti indispensabili: l’intima partecipazione d’ogni singolo assistente, e l’effusione degli animi nella carità comunitaria; requisiti che devono fare della Messa più che mai una scuola di profondità spirituale e una tranquilla ma impegnativa palestra di sociologia cristiana. Il rapporto dell’anima con Cristo e con i fratelli raggiunge la sua nuova e vitale intensità. Cristo, vittima e sacerdote, rinnova ed offre, mediante il ministero della Chiesa, il suo sacrificio redentore, nel rito simbolico della sua ultima cena, che lascia a noi, sotto le apparenze del pane e del vino, il suo corpo e il suo sangue, per nostro personale e spirituale alimento, e per la nostra fusione nell’unità del suo amore redentore e della sua vita immortale.

Indicazioni normative

Ma resta ancora una difficoltà pratica, che l’eccellenza del sacro rito rende non poco importante. Ma come faremo a celebrare questo nuovo rito, quando non abbiamo ancora un messale completo, e quando ancora tante incertezze circondano la sua applicazione? Ecco. gioverà, per terminare, che vi leggiamo alcune indicazioni, che Ci vengono dall’officina competente, cioè dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino. E sono queste:

«Quanto all’obbligatorietà del rito:

1) Per il testo latino: i sacerdoti che celebrano in latino, in privato, o anche in pubblico per i casi previsti dalla legislazione, possono usare, fino al 28 novembre 1971, o il Messale romano o il rito nuovo.

Se usano il Messale romano possono però servirsi delle tre nuove anafore e del Canone romano con gli accorgimenti previsti nel testo ultimo (omissione di alcuni Santi, delle conclusioni, ecc.). Possono inoltre dire in volgare le letture e la preghiera dei fedeli.

Se usano il nuovo rito devono seguire il testo ufficiale con le concessioni in volgare sopra indicate.

2) Per il testo volgare. In Italia tutti coloro che celebrano col popolo, dal 30 novembre prossimo, devono usare il “Rito della Messa”, pubblicato dalla Conferenza Episcopale Italiana o da altra Conferenza nazionale.

Le letture nei giorni festivi saranno prese:

– o dal Lezionario edito dal Centro Azione Liturgica

– o dal Messale Romano festivo usato finora.

Nei giorni feriali si continuerà ad usare il Lezionario feriale, pubblicato tre anni fa.

Per chi celebra in privato non si pone alcun problema, perché deve celebrare in latino. Se, per particolare indulto, celebra in volgare: per i testi deve seguire quanto è stato detto sopra per la Messa col popolo; per il rito, invece, deve seguire l’apposito “Ordo”, pubblicato dalla Conferenza Episcopale Italiana».

In ogni caso, e sempre, ricordiamo che «la Messa è un Mistero da vivere in una morte di Amore. La sua Realtà divina sorpassa ogni parola . . . È l’Azione per eccellenza, l’atto stesso della nostra Redenzione nel Memoriale, che la rende presente» (Zundel). Con la Nostra Apostolica Benedizione.

Fonte: vatican.va

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