Esportare la #democrazia e importare il suo contrario.
Figurarsi se mi intendo di politica internazionale io, che esco malvolentieri di casa e non vado mai da nessuna parte. Tuttavia mi pare di aver capito che in questo momento tutti, ma proprio tutti, stiano dicendo che “non si può esportare la democrazia” e tutto l’insieme di quei “diritti umani” che ne sono il fondamento. Molti sostengono anzi che è del tutto sbagliato tentare di farlo e che bisogna prendere atto che quelli che noi chiamiamo “diritti umani”, attribuendo loro una valenza universale, sono in realtà “diritti occidentali”, sconosciuti e incomprensibili o quantomeno irrilevanti al di fuori del “nostro mondo”. Così per esempio ho sentito dire in modo perentorio ieri mattina, mentre facevo colazione, da un analista molto noto e stimato come Dario Fabbri in una trasmissione televisiva in cui nessuno degli altri ospiti ha avuto nulla da eccepire in proposito.
Va bene. Osservo però che sarebbe opportuno, se le cose stanno così, trarne almeno due conseguenze, che invece non mi sembra vengano abbastanza rilevate. La prima è che sarebbe meglio smettere di parlare del “mondo” come se ce ne fosse soltanto uno. In un certo senso, ovviamente è così, ma la retorica pubblica di questi ultimi decenni ha spinto in modo fortissimo perché tutti considerassimo sempre e solo questo aspetto. Causa ed effetto al tempo stesso della globalizzazione, come si usa dire. In un altro senso, non meno valido, di mondi ce ne sono però almeno due: il “nostro” (ammesso che questo noi significhi ancora qualcosa, il che è tutto da vedere) e quello degli altri. Ora, che gli “altri” esistano è una verità che la cronaca di questi giorni si incarica di ricordarci, se mai ce ne fosse bisogno. Trovo interessante, per esempio, che iin questo momento tutti, ma proprio tutti, parlino dei talebani dell’Afghanistan come “altri” da noi. È implicito, ma chiarissimo in tutti i discorsi che si sentono: i talebani sono “gli altri”. E gli “altri”, quando si presentano evidentemente come tali, comportano necessariamente un “noi” che siamo perlomeno sfidati a riconoscere (e a ritrovare se l’abbiamo smarrito). Detto in termini ancor più semplici, quasi infantili: nessuno è contento che siano tornati al potere, nessuno (o quasi) è indifferente. Perché? Evidentemente perché tutti li consideriamo “altri da noi”.
La seconda conseguenza, che nelle chiacchiere di questi giorni non ho sentito trarre (ma non è che le abbia seguite poi così tanto), mi pare che sia questa: va bene non esportare la democrazia, ma almeno evitiamo di importare il suo contrario. Se di mondi ce sono almeno due (in realtà sono probabilmente molti di più, ma non complichiamo le cose), e al nostro ci teniamo perché lo consideriamo migliore dell’altro, come mai da decenni non esercitiamo più nessuna difesa (non dico militare, ma politica, giuridica, sociale e soprattutto culturale) contro l’invasione di quell’altro mondo nel nostro? Per quale motivo le regole del discorso pubblico vietano ormai da tempo di porre in discussione l’apertura indiscriminata delle frontiere, la formazione all’interno delle nostre società di minoranze sempre crescenti che non condividono affatto il sistema di valori “occidentali” (a cui pure, fino a tempi recenti, noi attribuivamo valenza universale), la rinuncia a esigere, come condizione per la permanenza stabile nel “nostro mondo”, l’adesione ai principi su cui si regge?
Ricordo che qualche giorno fa, prima che l’Afghanistan irrompesse sulla scena (vediamo quanto ci sta!), qui nel Belpaese in cartellone c’era l’Olimpiade e, inebriati per qualche medaglia, eravamo tornati a baloccarci con lo ius soli. Nonostante il bel nome latino, lo ius soli è una scemenza insostenibile. Adottarlo vorrebbe dire infatti che “Italia” è una mera espressione geografica (come sosteneva, allora con delle ragioni, un ottimo cancelliere asburgico del XIX secolo) su cui insiste una struttura statuale di valore meramente formale. Facendo dipendere la cittadinanza dal luogo di nascita, lo ius soli prescrive, tanto per fare un esempio, che un talebanino figlio di talebani, se nasce anche per caso entro il perimetro dello Stivale e delle sue isole, ipso facto è un italiano. Ora, se chiunque può essere italiano, è evidente che nessuno lo è più, perché essere italiano non significa più nulla. In altre parole l’Italia non c’è più. Siamo sicuri di volere proprio questo?
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Afghanistan: è fallita la privatizzazione nella guerra
E i risparmi sperati? Ci sono stati anni di intensificazione bellica (2009-2012) in cui gli Usa hanno speso per l’ Afghanistan 110 miliardi di dollari l’anno, ossia il 50% in più della spesa federale per l’Istruzione pubblica.
Nel 2016 – leggo in un articolo di InsideOver – , 1 su 4 degli “uomini armati” che aveva gli scarponi a terra in Iraq e Afghanistan provenivano da appaltatori privati. Ma il contribuente, che invece attendeva il disimpegno delle truppe – iniziato il 15 febbraio 2019 in Afghanistan e non ancora pianificato per l’Iraq – non è mai stato messo al corrente di questa vera e propria guerra in “outsourcing“.
I mercenari, per lo più gente addestrati nei corpi speciali, con alti stipendi, hanno prodotto al demoralizzazione dei soldati regolari, dalle paghe magre e disciplina dura. Con ovvi effetti sulla combattività delle truppe e la voglia di addestrare i militari locali. Rumsfeld non sapeva che l’uso di mercenari non era tanto nuovo, e nella storia è stato perdente di fronte a combattenti motivati.
La UE ha applicato la privatizzazione a suo modo, mandando in Afghanistan miriadi di ONG “umanitarie” o assistenziali con il compito di assistere gli afghani nel rammodernare e riformare le loro istituzione (“medievali”) secondo i modelli occidentali, insomma di insegnargli la civiltà, specie nell’”emancipazione delle donne”. I membri delle ONG, forniti di indennità doviziose, andavano per sei mesi nel paese di cui non conoscevano nulla, e quando avevano imparato qualcosa, la loro missione finiva e i venivano sostituiti da nuovi arrivati. Basti pensare che all’Italia – con la magistratura Palamara che ha – fu affidata la riforma del sistema giudiziaria: decine di giudici nostri, distaccati in missione con gli emolumenti grassi, hanno fatto soldi così’. Il sistema giudiziario afgan non se n’è giovato. Invece l ’emancipazione delle donne fu gestita dalle ONG stipendiate segnò un indubbio successo nel senso che, per servire gli stranieri in grado di pagare bene, comparvero frotte di prostitute cinesi dalla gonna con lo spacco e locali notturni dove si bevevano alcolici, cosa che la popolazione locale (medievale) mancò di apprezzare come civiltà superiore..
Si aggiunga che i Talebani – creati dai servizi segreti pakistani (ISI) – non sono stati sempre nemici degli americani: anzi ne sono stati finanziati e armati per sconfiggere l’occupazione sovietica. E l’ISI (Inter-Services Intelligence) del Pakistan, ha spiegato pubblicamente nel 2014 come esso stesso abbia utilizzato gli aiuti forniti dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre per continuare a finanziare . Ha detto a un pubblico televisivo nel 2014: “Quando la storia sarà scritta, si dirà che l’ISI ha sconfitto l’Unione Sovietica in Afghanistan con l’aiuto dell’America. Poi ci sarà un’altra frase. L’ISI, con l’aiuto dell’America, ha sconfitto l’America”.
L’Afghanistan come kathekon islamico
Di questo basti. Voglio segnalare che il Corano segnala l’Afghanistan come luogo metastorico, di freno al caos. Nella diciottesima Sura, Al-Kahf” (La Caverna), si racconta che un sovrano universale, (Dhul Qarnayn), variamente identificato dai commentatori islamici in Alessandro Magno o Ciro il Grande, che vi costruì un massiccio muro di ferro e che ricoprì di rame per bloccare l’irruzione di due popoli perversi di nome Yagog e Magog, che tormentavano gli abitanti .
Qui il passo:
O Qarnayn, invero Gog e Magog portano grande disordine sulla terra! Ti pagheremo un tributo se erigerai una barriera tra noi e loro”.
Il sovrano rifiuta e dice invece:
Disse: “Voi aiutatemi con energia e porrò una diga tra voi e loro.
Portatemi masse di ferro”. Quando poi ne ebbe colmato il valico [tra le due montagne] disse: “Soffiate!”. Quando fu incandescente, disse: “Portatemi rame, affinché io lo versi sopra”.
Così non [Gog e Magog] poterono scalarlo e neppure aprirvi un varco.
Disse: “Ecco una misericordia che proviene dal mio Signore. Quando verrà la promessa del mio Signore, sarà ridotta in polvere; e la promessa del mio Signore è veridica”.
“Fino al giorno in cui riusciranno ad abbattere quella barriera verso la fine dei tempi . Una volta battuta la barriera i due popoli si stenderanno in gran numero e passando si abbevereranno presso il lago di Tiberiade (in Palestina) prosciugandolo. Inonderanno la terra di misfatti e nessuno sarà in grado di fermarli”. Si è sempre pensato che Gog e Magog fossero i turchi o i mongoli. Ora intravvediamo che, forse, le forze scatenate del caos e della dissoluzione siamo noi occidentali.
https://www.maurizioblondet.it/afghanistan-il-fallimento-della-privatizzazione-nella-guerra/
"Al Qaeda è una invenzione dei servizi segreti britannici"
Biden ed il discorso sull’Afghanistan: la colpa è di tutti, tranne che mia. Sembra un Conte qualsiasi
Nei momenti cruciali della storia si può assistere a discorsi che ne cambiano il corso, come quelli di Churchill, oppure a a sermoni autoassolutori e falsi, come quello di Biden.
Intervenuto in TV per spiegare le immagini disastrose che gli americani vedono trasmesse da Kabul Biden ha:
- Affermato di non pentirsi della decisione del ritiro;
- Affermato che “La nostra missione in Afghanistan non è mai stata la costruzione di una nazione”, contraddicendo quanto detto da tutti i presidenti a partire da Bush con “promozione della democrazia” e “portare i diritti delle donne in Afghanistan “ecc ecc..
- Dato la colpa di quanto accade a tutti, dai suoi predecessori agli afgani ai talebani. A tutti , tranne che al sua amministrazione;
- Ammettere che tutto si è svolto più rapidamente di quanto si aspettasse, ignorando quindi quanto i capi militari gli avessero detto da tempo e non ammettendo di non averli coinvolti.
Un pessimo discorso, imbarazzante, e senza domande o repliche ulteriori. Qualcosa che forse era da evitare completamente.
La migliore risposta gliela data Matt Zeller, veterano dell’Afghanistan e fondatore dell’associazione “None left behind”, nome che ora appare ironico:
Riassumendo:
– l’amministrazione Biden era stata avvisata;
– c’erano i mezzi per una evacuazione ordinata;
– i collaboratori da evacuare sono 86 mila, non 2 mila come vuol far credere Biden;
– i militari afgani hanno subito ogni anno perdite pari a quelle degli USA nei 20 anni di permanenza, come si può pretendere che combattano senza paga e rifornimenti regolari?
– gli USA avevano preso degli impegni chiari con i militari e la popolazione afgana e li hanno tradito. Come si può pensare che ora qualcuno gli creda ancora?
Perché proprio questo è il danno maggiore compiuto dall’amministrazione Biden: come si può credere che quadra si impegni seriamente nella difesa di Taiwan, quando non è stata in grado neppure di lasciare 10 mila uomini a garanzia di Kabul? Come si può pensare che gli impegni presi siano seri? Anche in ambito NATO, quanto può essere seria la garanzia posta per gli alleati esterni come Ucraina e Georgia, o anche interni come i paesi baltici, quando non si è lasciato neanche un minimo contingente di garanzia che ultimamente aveva meno perdite dei morti in una media città usa per incidenti stradali?
In Vietnam il ritiro non coinvolse tutta la NATO, qui si è invece distrutta la credibilità di tutto il mondo occidentale, fatto gravissimo, per chi ne comprende gli effetti. L’impero americano ha visto la sua Manzikert, da ora sarà solo una lunga , sanguinosa, decadenza.
Intento in Italia…
posted by Giuseppina Perlasca
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