ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 17 agosto 2021

I cristiani ecclesiali e i cristiani non ecclesiali

Lettera ad Aurelio Porfiri sulla devozione liturgica



    Caro Aurelio,

la tua definizione di “liturgia liquida” o “fluida” mi sembra quanto mai azzeccata, e mi porta a riflettere su come abbiamo fatto a ridurci così.

“La Chiesa, popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, è una comunità di culto” afferma (n. 81) il Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, documento emanato (e ampiamente ignorato) nel 2002 dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.

Prova a chiedere a un qualsiasi cattolico, oggi, che cos’è la Chiesa. Non ne troverai uno che dica che essa è una comunità di culto.

La parola culto viene da cultus, dal verbo còlere, coltivare. Venerando e adorando Dio noi coltiviamo la fede. Oggi invece l’idea di culto attiene al protagonismo umano e allo spettacolo. È azione scenica che serve a esaltare l’uomo, non a rendere gloria a Dio. Di conseguenza la fede non è coltivata.

San John Henry Newman diceva che una cosa distingue i veri credenti dai falsi: la devozione liturgica. Ora invece siamo quasi indotti a pensare che la liturgia non sia poi così importante, perché sarebbe forma, non sostanza, e in fondo, così si dice, quel che conta è ciò che si ha nel cuore e ciò che spontaneamente sgorga dal cuore, senza la necessità di regole e discipline.

Il cardinale Newman divideva i cristiani in due categorie: i cristiani ecclesiali e i cristiani non ecclesiali. I primi hanno rispetto per le cose sacre, i secondi no. Direi che a partire dal “rinnovamento” conciliare la Chiesa, paradossalmente, ha fatto di tutto per favorire i secondi a scapito dei primi.

Ripudiare il dovere della devozione, diceva ancora Newman, sembra essere il denominatore comune di intere comunità chiamate cristiane. Chissà che cosa avrebbe detto il grande convertito di fronte alla situazione odierna!

Per lungo tempo ai cattolici è stato insegnato che rendere culto a Dio in modo degno, secondo la Tradizione, era qualcosa di cui vergognarsi, il lascito di un passato del tutto morto e sepolto, qualcosa da superare in nome del dialogo con il mondo, della simpatia verso l’uomo, dell’accoglienza eccetera. Ora vediamo a che cosa ci ha portati questa ideologia.

La subcultura veicolata dai mass media, televisione in primis, ha dato certamente un contributo. Per molti sacerdoti è diventato quasi un dovere scimmiottare il conduttore televisivo, con il suo protagonismo. E i fedeli sono stati ridotti al rango del pubblico: non più comunità cultuale e orante che prende parte alla Santa Messa, ma gruppo che assiste alla messa in scena.

Così come la televisione, per raggiungere il pubblico più ampio, ha abbassato progressivamente la qualità della propria proposta, allo stesso modo la Chiesa ha creduto di dover abbassare il livello della qualità liturgica e della predicazione. I miti dell’inclusione, della comprensione e della fruibilità hanno fatto da guida lungo questa china. Di qui la liturgia trasformata in azione per l’autoaffermazione umana, con Dio nel ruolo (quando va bene) di invitato.

Dinnanzi all’irriverenza che, già a suoi tempi, vedeva progredire, Newman si chiedeva come fosse possibile che si potesse anche solo immaginare di dichiararsi credenti e, allo stesso tempo, non curarsi del necessario rispetto da esprimere nel culto. Com’è possibile che, dinnanzi alla maestà divina, l’uomo ritenga di potersi prendere delle libertà?

Domanda che al giorno d’oggi sembra provenire non solo da un’altra fede, ma da un altro mondo, da un altro pianeta, visto che proprio il prendersi le libertà (la famigerata spontaneità) è considerato un valore.

Quando vedo che le persone entrano in chiesa come se entrassero al bar provo una pena infinita. Perché noi cattolici ci siamo ridotti così? Sempre Newman sosteneva che perfino le religioni pagane hanno più rispetto e attenzione per il culto. Dire di credere in Dio e non comportarsi con devozione, non mostrare anche esternamente il dovuto timor di Dio, celebrare in modo confidenziale e disinvolto, senza solennità, è un fenomeno totalmente contraddittorio. Eppure, i cattolici l’hanno fatto proprio. Perché? Senza contare che gli stessi sedicenti cattolici che trascurano la devozione liturgica sono invece attentissimi al rispetto delle forme cultuali altrui.

Come tu sai, io sono ambrosiano. Ebbene, quando nel 2008 uscì il nuovo Lezionario per la Chiesa ambrosiana, l’impareggiabile cardinale Giacomo Biffi, milanese arguto e ironico, dichiarò che l’opera sarebbe rimasta “viva a lungo nella memoria allibita della nostra Chiesa”. Memoria allibita: espressione folgorante. Ma oggi, di fronte a Traditionis custodes e al disprezzo manifestato dalla massima autorità cattolica per i fedeli che vogliono restare attaccati alla Tradizione e alla riverenza liturgica, non si riesce nemmeno più a essere allibiti. Ogni limite è stato superato. Tanto che viene da chiedersi: ma questa può essere veramente l’autorità?

Qui entriamo in un campo minato, eppure sono domande che uno si pone.

https://www.aldomariavalli.it/2021/08/17/lettera-ad-aurelio-porfiri-sulla-devozione-liturgica/

Che cosa è stato il Concilio Vaticano II – nell’esperienza di un prete

Che cosa è stato il Concilio Vaticano II? Mi sono chiesto: che cosa è stato per me il Concilio? Io sono nato nel 1963, la mia formazione l’ho vissuta immediatamente dopo il Concilio; sono diventato sacerdote nel 1988, dunque sono immerso in questa epoca… Che cosa è stato il Concilio?Sicuramente una presenza fortissima, ogni momento si sentiva parlare di Concilio …ma si trattava di una presenza tanto forte quanto indefinita. Credo di non offendere nessuno se dico questo. Cioè tutti parlavano di Concilio e pochissimi dicevano che cosa era.
La vita delle parrocchie tutto sommato, nei primi anni continuava come prima, ma con un grande cambiamento: quello della Messa. Si è trattato quindi di fare quello che si faceva prima, ma con l’obbligo violento di una Messa nuova (ricordo la devastazione dell’altare fatta già nel 1970, è stato distrutto il presbiterio…)

Tutti obbedivano, molti perché convinti che servisse un cambiamento… Certo, arrivavano i rappresentanti dell’Azione cattolica mandati dalla Diocesi in parrocchia a riprogrammare i quadri; me lo ricordo bene: bisognava rieducare i cattolici… e c’era una gran confusione nei catechismi, stampati alla bell’e meglio… era tutto sperimentazione: bisognava cambiare tutto, assolutamente.
Poi arrivò una seconda fase: quella di una certa normalizzazione dove la parola d’ordine era “evitiamo gli eccessi”, dove si era esagerato. Moderazione quindi. Ma evitare gli eccessi non significava mettere in discussione il Concilio. Questi erano gli anni ’80. […] Ma anche in questa fase, in una confusione che si voleva ridurre, che cosa fosse il Concilio, nessuno è mai riuscito a dirlo chiaramente. Era come se la parola d’ordine fosse “evitare la rigidità del passato, evitare le rigidità della chiesa in rapporto al mondo moderno, alla dogmatica, in rapporto alla morale”.
Questa fase coincise per me con gli anni del seminario: io andavo in seminario preoccupato in partenza di non ascoltare troppo i professori perché alcune persone mi dicevano che “se ascolti troppo quelli finisci male”. Dico cose non solo personali, si tratta di un vissuto che coinvolge tante altre persone.

Anche nei seminari la teologia onnipresente era quella del Concilio. Il problema era assumere lo spirito del Concilio. Anche qui, cosa volesse dire ciò, aspetto ancora che qualcuno me lo spieghi. Questo spirito del Concilio si materializzava in concreto in uno slogan: “evitare il passato”, questo era il concetto di tutto. […]

Di fatto tutto ciò era questo: reinterpretare la dottrina della chiesa alla luce della volontà di non definire mai nulla. Ma la volontà, cioè la scelta di non definire rigidamente i contenuti delle verità cristiane, dei dogmi e della morale, alla fine questa è essa stessa una scelta, una definizione totalmente nuova della chiesa: la volontà di non definire è fare un’altra chiesa.
Ora costatiamo il disastro. A livello di dottrina i ragazzi non sanno quasi più nulla di cristianesimo, pur vivendo nelle parrocchie…!
lteriore fase che stiamo vivendo è la cosiddetta “ermeneutica della continuità”: costatando il disastro si dice che bisogna rileggere il Concilio alla luce della Tradizione. Non è una rottura, ma una continuità… La preoccupazione è quella che anche stavolta si rischi di non definire che cosa è questa continuità. E allora sarebbe veramente l’ennesimo disastro.
Occorre dire invece cosa è stato veramente questo Concilio, un po’ anomalo, perché un Concilio non dogmatico, pastorale, è anomalo nella storia della chiesa.

È la Tradizione che deve interpretare il Concilio, che ne ha autorità, e non il Concilio la Tradizione. E allora credo si possa dire che, se è vero che la Tradizione deve essere colei che giudica il Concilio, la Tradizione deve essere totalmente e ovunque liberalizzata. Perché la Tradizione non può essere messa in questione dal Concilio. Se c’è continuità la liberalizzazione totale della Tradizione non dovrebbe far problema. Se lo fa, significa che qui continuità veramente non c’è.

Si è prodotto una fase drammatica nella storia della Chiesa. Tutto non è più come prima. La cosa spaventosa è che questo cambiamento che si è prodotto nella Chiesa è universale. In una grande metropoli come nel più piccolo paese di montagna dove magari non si arriva neanche in macchina, è avvenuto lo stesso cambiamento. La stessa distruzione della Fede, di un vissuto della Fede. Allora qualcosa di grave è stato prodotto.
Vogliamo vivere di Cristo, della sua Grazia, una vita che piaccia a Dio e che salvi la nostra anima. Allora bisogna capire…
Capire che non si può dividere Concilio da postconcilio. La cosa impressionante è che questo cambiamento è stato attuato volutamente dalle autorità della Chiesa, in caso contrario non sarebbe stato possibile tutto questo, questo cambiamento totale su tutti i punti (revisione di tutti i riti, dei sacramenti…).

Assieme alla confusione dottrinale, il cambiamento ha prodotto un’idea forte che sorgesse una nuova chiesa. Era impossibile trovare un angolo di pace di fede: potevi cercare un convento? Non c’era più, erano tutti rinnovati, tutti obbligati a rivedere i fondamenti della propria vita, delle proprie costituzioni. Si è trattato di una rivoluzione universale che si è potuto produrre non per la confusione storica, sociale o culturale di quel tempo ma per una volontà espressa della Chiesa. Questo non si può negare.
Certo, il dichiarare come ha fatto Benedetto XVI che la Messa “di sempre” (quella tradizionale) non è mai stata abolita, è stato un grande atto. Ma non può bastare una cosa così perché si è prodotto una sofferenza enorme nelle anime.

Questo ha modificato la Fede, perché la maggioranza non è più cattolica (pur volendo esserlo) perché il sensus fidei è cambiato.
uelli che partecipano intensamente alla vita parrocchiale sono contro la ripresa di una sana Tradizione perché ormai vivono un gusto della fede che è totalmente differente, che è ingannevole. Questo è stato prodotto dalle autorità della Chiesa, non da qualche teologo sconsiderato o da qualche prete debosciato. I preti che hanno seguito le formazioni permanenti della Diocesi sono rovinati irrimediabilmente. Si sono salvati quelli che non hanno fatto i corsi di rieducazione nella fede.

Questo è uno schema dittatoriale. Il non definire delle regole precise in nome del Concilio, fa parte di questa paura generale: se io non seguo… sono fuori dalla Chiesa. Mentre uno è nella Chiesa quando è nella Tradizione, quando è obbediente alle due fonti: Tradizione e Sacra Scrittura. Questa è la pace di un fedele.

Si è prodotto una pericolosissima modificazione della Fede, in giro c’è una religione naturale, non siamo neanche più al protestantesimo. È una religione naturale che è presente nelle parrocchie, ci sono dei riti con i quali si commentano la vita degli uomini, l’uomo è al centro… questo è spaventoso… Questa che stiamo vivendo non è una piccola crisi.
Non si può tacere su queste cose, ne vanno di mezzo anime, che non sanno la bellezza della Fede cattolica. Molti non la conosceranno mai in questa vita. Questo è stato prodotto perché il non definire, non condannare un male, di fatto è aprire la possibilità di quel male. Ad es. la non condanna del comunismo ha fatto sì che prima un certo numero di preti, adesso la gran parte di chi dirige le strutture diocesane nella chiesa condivide fondamentalmente le opinioni di una certa sinistra, che non sarà più a livello dell’ateismo pratico, ma che è più pericolosa ancora.

Il non definire ha fatto sposare il comunismo; il non definire il pericolo del protestantesimo, ha protestantizzato la Chiesa; il non ribadire e parlare che innazitutto c’è Dio e l’uomo è fatto per la gloria di Dio, ha modificato la Chiesa che ha posto al centro l’uomo. La chiesa è diventata una società umana, non dico nella sua essenza ma nel vissuto nostro è così.

Un vero fedele cattolico per stare nella Chiesa deve mettersi in disparte, per amare la Chiesa deve stare in un angolo, per salvare la Fede deve soffrire e stare in un angolo a custodire ciò che per Grazia ha ricevuto: questo non può essere la normalità della vita della Chiesa perché la Chiesa è madre; la Chiesa deve aiutare i suoi figli, la Chiesa deve difendere l’anima dei propri figli. Non può sospendere un compito per piacere al mondo, per piacere non si sa a chi…non si sa a chi. È un grande inganno, certamente c’è dietro il demonio ma molti l’hanno proprio aiutato, il demonio.
corsiadeiservi.it

https://www.maurizioblondet.it/che-cosa-e-stato-il-concilio-vaticano-ii-nellesperienza-di-un-prete/

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