Benedetto XVI e la Declaratio: Che Cosa Significa il Termine “Vacet”…
Carissimi Stilumcuriali, abbiamo ricevuto e volentieri pubblichiamo, ringraziandone di cuore gli autori, questo interessante contributo che ben si inserisce nella discussione in corso ormai da tempo, grazie soprattutto al collega Andrea Cionci, di Libero, sulla situazione canonica di Benedetto XVI. Buona lettura e riflessione.
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(Il presente articolo è a cura del Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis)
VACANTIA: sul significato del termine “VACET” nella “Declaratio” di papa Benedetto XVI.
Non è certo recente l’interesse che strati qualificati della cultura e di opinione pubblica hanno riservato al ‘dossier Bergoglio’, ovvero all’intera traiettoria della sua attività, a partire dall’elezione nel lontano 2013, in ragione di iniziative ed esternazioni di cui non si sentiva, in area cattolica, il bisogno, mentre se ne avvertiva spesso l’imbarazzo e il clamore crescente.
Nell’ultimo anno, al di là delle sesquipedali iniziative in fatto di liturgia (Pachamama compresa) e, da ultimo, di interpretazione della legge mosaica (altri roghi estivi), il mondo cattolico sembra risvegliarsi dal coma-covid indotto, dapprima per le inoppugnabili osservazioni di un latinista della taglia di fra’ Alexis Brugnolo, poi per il rincalzo giuridico fornito dal libro “Benedetto XVI: papa emerito?”, col quale l’Autrice, l’avvocatessa Estefania Acosta, sul filo del diritto canonico dimostra che non poteva parlarsi di abdicazione di Benedetto XVI in quanto la dichiarazione del papa tedesco recava la rinuncia al Ministerium – come dire: l’ufficio amministrativo – ma non al Munus, elemento carismatico del vicariato. L’originale e rigoroso studio veniva poi confermato e sostenuto dal giurista Antonio Sànchez, docente dell’Università di Siviglia e, verrebbe da inferire, confermato anche dal galattico silenzio vaticano.
Al rumore che tale notizia ha comunque prodotto – pure quel silenzio fa baccano – si aggiunge ora la notizia che un team di professori[1] ha approfondito lo studio della ‘strana’ (per sequenze di improbabili errori) DECLARATIO di Benedetto XVI, giungendo alla convinzione che, in sede di storia linguistica, il significato della voce latina VACET(congiuntivo presente del verbo VACARE) in quel documento deve essere interpretato nel senso non di una rinuncia del Pontefice al Suo mandato, ma come dichiarazione di “SEDE IMPEDITA”, sia pure espressa in un linguaggio capzioso e allusivo.
Gli studiosi sono giunti a siffatta interpretazione risalendo al significato proprio ed originale del latino VACARE, da intendere come “esser vuoto, esser libero”, in genere riferito a una carica o ufficio che è, o si è reso, libero, ‘vuoto’, e perciò detto di un potere non più operativo.
Dall’“essere vuoto” si perviene alla nozione di “SEDE IMPEDITA” in virtù di una rigorosa ricostruzione storico-biografica, messa a punto dai medesimi studiosi, sulla fattuale situazione in cui Benedetto XVI si venne a trovare, trafitto da scandali e accuse infamanti, mentre nel tempo venivano a luce dubbi sull’elezione di Bergoglio e, contestualmente, emergevano presso altri professionisti acute osservazioni sul testo della DECLARATIO.
Ad avallare codesta nuova linea interpretativa e il clamoroso risultato oggi raggiunto da quel team, che mette una parola ultimativa sulla vexata quaestio imperniata su rinuncia vera o fittizia e, nella scia, chi sia il vero papa e chi il facente funzione (parziale), non sarà inutile introdurre una convalida di quella lettura attraverso alcune testimonianze dantesche, sapendo peraltro che il verbo VACARE è un latinismo introdotto da Dante nella lingua volgare con forte continuità semantica, come emerge dall’uso che il Poeta ne fa sia nelle sue opere latine che nella Commedia, dove appare quattro volte.
Fatto presente che – in ciascun caso – se ne conferma il preciso uso dantesco all’interno della detta area semantica, i luoghi che meglio si propongono, per evidenze analogiche, con le circostanze della DECLARATIO,muovono dal XXVII e dal XVI del Paradiso (rispettivamente versi 22/24 e 112/114):
Quelli che usurpa in terra il luogo mio,
il luogo mio, il luogo mio, che VACA
nella presenza del Figliuol di Dio…
Dall’ottavo Cielo s. Pietro lancia una sanguinosa invettiva, con obiettivo specifico Bonifacio VIII, per la quale detto papa viene informato con parole di fuoco dal Primo Vicario che “il luogo mio”, il soglio di Pietro, è “vuoto” agl’occhi del Figlio Dio, in quanto quel papa si è auto-destituito per indegnità. Balza agl’occhi la forte simmetria tra le due situazioni: da una parte c’è la completa ASSENZA – agl’occhi di Dio – di un Ufficio (in realtà: dell’intero vicariato di Christus Sacerdos) conseguente ad un’involontaria auto-destituzione per colpa grave; dall’altra, l’ASSENZA viene agita come effetto di un’auto-destituzione – volontaria sì, ma sub cultro – estorta attraverso il forzato impedimento del libero esercizio dell’Ufficio (nella fattispecie, del Ministerium: si ricordi in tal senso anche il paralizzante blocco dei movimenti finanziari inflitto al Vaticano). E ancora: nel primo caso, per l’infernale devianza di un papa; nel secondo, per l’infernale pressione, anche curiale, SUL papa.
In ambedue le contingenze, il valore da attribuire a quel verbo è limpido.
L’altra occorrenza offerta da Dante, forse ancora più diretta della prima, ci proietta nel marziale quinto Cielo, nel quale il trisavolo del Poeta, Cacciaguida, nel ricordare al nipote le virtù civili in cui l’antica Fiorenza fioriva, si (e ci) regala un rasoiata contro le più recenti cattive abitudini dei nuovi chierici del vescovado cittadino (Pd.XVI, 112 / 114):
Così facieno i padri di coloro
che, sempre che la vostra chiesa vaca,
si fanno grassi stando a consistoro.
Chiarito che con “i padri” Cacciaguida allude alla generazione del suo tempo e alla di lei correttezza (l’antica abstinentia), e che con “coloro” indica i figli e nipoti degeneri, ne viene che in ASSENZA del vescovo legittimo, si costituisce pro tempore in quella città un consesso di ecclesiastici assai più versati nel bene privato che in quello pubblico: in quell’ASSENZA, che bene in italiano si dice vacanza, si compendia quel vuoto di potere….mal vicariato, e perciò sanzionato.
Alla luce di tali evidenze, il cui valore risiede nel fatto che ci troviamo in presenza, come sopra osservato, del primo ingresso nella nostra lingua di un termine che mantiene inalterato significante e significato in ambedue le aree, trova conferma la rigorosa ricostruzione eseguita dagli studiosi, autori della brillante ricerca.
PROF. ALESSANDRO SCALI
Docente (ora a riposo) nei licei, formatosi a Roma al S. Maria e poi alla scuola di Paratore, Pagliaro, Brelich. Ha riversato il suo impegno nell’insegnamento e, contestualmente, nello studio della Tradizione, avendo come vettore (o “spirito guida”) Dante, cui ha intitolato il suo libro ‘Dante, pietra d’inciampo, Ed. Il Cinabro, Catania 2008’. Ha curato e commentato l’edizione degli scritti sull’Alighieri, di Guido de Giorgio, dal titolo ‘Studi danteschi’, pubblicato nel 2017 sempre per i tipi de ‘Il Cinabro’.
Ha collaborato con diverse riviste volte al recupero e all’approfondimento dei valori etici e spirituali inerenti la Tradizione.
E’ componente del Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis
[1]Per correttezza: Gianluca Arca, Alexis Brugnoli (fra’), Giorgio Piras, Francesco Ursini, Matteo Corrias.
Marco Tosatti
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