ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 22 novembre 2019

La nostra ora..

LE TENEBRE SULLA CHIESA


L’uomo diviene libero solo quando Dio regna in lui. Le tenebre sono scese sulla chiesa, un "Odioso tradimento" è stato consumato: quelli che Gesù aveva mandato a predicare il Vangelo si sono macchiati di uno "Scandalo inaudito" 
di Francesco Lamendola  

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L’uomo, per essere felice, deve essere se stesso; ma essere se stesso, per lui, non equivale a calarsi sic et simpliciter nella sua condizione umana, bensì aprire la porta sulla dimensione soprannaturale. L’uomo, in altre parole, è fatto in modo tale da essere sempre proiettato oltre se stesso: questa è la sua vera natura, questo il suo statuto ontologico. Essere proiettato oltre non significa, però, come teorizzava Nietzsche, che deve proiettarsi oltre se stesso, facendo perno su se stesso: questa, del resto, è una impossibilità logica, lo capirebbe anche un bambino. Se l’uomo deve fare perno su se stesso, non può andare oltre se stesso: e quindi l’oltre-uomo di Nietzsche non potrebbe realizzarsi in alcun caso, come del resto lui stesso temeva e sospettava. 

La sola cosa che può fare, una volta che si sia proiettato oltre se stesso, ma restando centrato su se stesso, è cadere al di sotto della propria natura e realizzare così una caricatura di quel che era, divenendo una creatura sub-umana. No: se è vero che egli è proiettato oltre se stesso, perché tale è la sua natura, è altrettanto vero ed evidente che egli non può farlo centrandosi su se stesso, non può fare perno su se stesso: non più di quanto il Barone di Münchhausen potesse tirarsi fuori dalla palude in cui era sprofondato, con tanto di cavallo, semplicemente afferrandosi per i capelli e tirando il resto verso l’alto. Per poter andare oltre se stesso, l’uomo deve fare perno su qualcosa che non sia già in lui, altrimenti resterà fermo o scivolerà all’indietro. E su chi o su cosa potrebbe mai fare perno, dato che gli atri uomini sono instabili quanto lo è lui, e bisognosi di oltrepassarsi quanto lo è lui, se non in Dio? Nessun uomo può essere perno per un altro uomo, affinché si oltrepassi; dunque, per potersi oltrepassare, l’uomo ha bisogno di porre il piede su qualcosa di fermo, di solido, di stabile e di certo. Niente di ciò che esiste nella dimensione materiale possiede queste caratteristiche. Il tempo, se non altro, che tutto erode, erode anche la vita umana; erode le civiltà, i secoli, i millenni, perfino i mari e le montagne, perfino le stelle e i pianeti. Chi poggia le proprie sicurezze e i propri disegni sulle cose umane, o comunque sulle cose terrene, per cercare in esse un sostegno che sia assolutamente stabile e certo, fa un buco nell’acqua: non vi troverà né stabilità, né certezza, ma si troverà ad annaspare nel vuoto, sempre più sbilanciato, sempre più fuori di sé e lontano da sé, ossia sempre più alienato.

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Se l’uomo deve fare perno su se stesso, non può andare oltre se stesso: e quindi l’oltre-uomo di Nietzsche non potrebbe realizzarsi in alcun caso, come del resto lui stesso temeva e sospettava!

L’uomo non è un essere auto-sussistente; non è capace di reggersi interamente da solo; può fare grandi cose, anzi grandissime, ma solo se si affida a Colui dal quale proviene e al quale, come del resto ogni altro ente, è destinato a ritornare. E anche la felicità, questo scintillante miraggio che è sempre un passo innanzi a lui, ma che pure è inscritto, in caratteri indelebili, nella sua natura, per cui non se ne potrebbe scordare neppure se lo volesse, dipende da ciò: dalla sua capacità di aprirsi a Dio, di affidarsi a Dio, di farsi tutt’uno con la sua santa Volontà. Di questo aspetto abbiamo già trattato in un recente articolo (cfr. Ci si può bagnare due volte nella stessa acqua?, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 20/10/19). Vale però la pena di tornarci sopra, magari con particolare riferimento al cuore del Vangelo, che è contenuto, a giudizio di quasi tutti, nel Discorso della Montagna, che culmina nelle Beatitudini. In quel discorso, Gesù Cristo ribalta, letteralmente, i nostri abituali modi di pensare, affermando che chi soffre sarà consolato, chi ha fame e sete di giustizia sarà ricompensato e  chi ora è perseguitato sarà premiato in Paradiso. Erroneamente si pensa che le ricompense di cui parla Gesù Cristo abbiano a che fare soltanto con la vita eterna; mentre vi è un senso, in esse, che investe anche la dimensione della vita terrena. In altre parole, Cristo promette ai suoi seguaci la felicità: ma, evidentemente, Egli ci dà una nuova definizione di “felicità”: non più, come nel paganesimo greco-romano, la soddisfazione di tutti i desideri umani, bensì la scoperta delle felicità anche nelle pieghe della sofferenza e delle lotte quotidiane; della felicità intesa come pace, e della pace come piena uniformità al Volere divino. Vi lascio la pace, vi do la mia pace; ve la do, non come la dà il mondo, dice Gesù durante l’Ultima Cena ai discepoli (Gv. 14, 27).

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L’uomo diventa libero solo quando Dio regna in lui. Dio solo, esaudisce il desiderio più profondo di felicità dell’uomo!

Scrive in proposito il monaco benedettino Anselm Grün nel suo libro Felicità beata. Verso una vita riuscita (titolo originale: Glückseligkeit. Der achtfache Weg zum gelingenden Leben, Freiburg im Breisgau, Verlag Herder, 2007; traduzione dal tedesco di Monica Rimoldi, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2008, pp. 142-144):
Le beatitudini di Gesù ci rimandano alla vera felicità, così come è stata intesa dalla filosofia greca. La felicità, secondo la formulazione di Aristotele, è qualcosa di divino. ”La felicità spezza la limitatezza della finitezza e consente all’essere finito di partecipare all’esperienza dell’infinità. Si sceglie questa felicità dando spazio a questo principio in noi stessi e lasciando che la propria vita venga permeata da una forza che è più vasta di quella dell’individuo stesso. A questo è collegata una disposizione benevola, una serenità di fondo” (W. Schmid, “Schönes Leben? Einführung in die Lebenskunst”, Suhrkamp, Frankfurt, 2000, p. 169). La vera felicità consiste per Gesù nel partecipare di Dio.  In Matteo questa concezione viene espressa con la frase: “Voi dunque sarete perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,48). Se lasciamo penetrare in noi le promesse di Gesù e pratichiamo gli atteggiamenti delle beatitudini nella quotidianità, allora partecipiamo alla perfezione di Dio, alla sua totalità. E allora comprendiamo chi sia Dio. E allora siamo in Dio. Abbiamo qualcosa di divino in noi. Luca lo formula in modo diverso: “Siate misericordiosi come Dio, vostro Padre, è misericordioso” (Lc 6,36). Se siamo misericordiosi, allora partecipiamo di Dio, allora mediante Gesù diventiamo figli e figlie di Dio, che sono colmi dell’amore di Dio, sì, sono in Dio stesso.
Non è una felicità di poco prezzo quella che Gesù ci promette. Gesù ci rimanda all’enigmaticità di ogni felicità. La vita degli uomini può riuscire solo se Dio ottiene spazio. L’uomo diventa libero solo quando Dio regna in lui. L’uomo si ritrova aprendosi a Dio. Dio esaudisce il desiderio più profondo di felicità dell’uomo. Nel mezzo della vita possiamo continuamente fare l’esperienza di essere in armonia con noi stessi. Se nella meditazione all’improvviso veniamo colmati da un profondo senso di felicità, allora si tratta contemporaneamente di un’esperienza di Dio. Ma non possiamo trattenere questa felicità. Nel momento successivo veniamo di nuovo messi a confronto con noi e con la nostra mediocrità e fragilità. La felicità non si può possedere o trattenere, ma possiamo praticare la felicità che si coglie in un’esperienza spirituale, se mettiamo in pratica in noi gli atteggiamenti delle beatitudini. Possiamo lavorare alla nostra felicità, ma contemporaneamente dobbiamo confessare: “Ho detto al Signore: Il mio Signore sei tu, al di sopra di te non ho alcun bene”… Mi fai conoscere la via della vita: gioia in abbondanza alla tua presenza, delizia alla tua destra senza fine” (Sal 16,2.11).

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Il tradimento di Abu Dabi? Dio è un Signore gentile e magnanimo, cui ripugna la coercizione e che vuole entrare nelle anime solo se viene invitato mediante il libero assenso della volontà. Egli ha mandato il suo Figlio Unigenito, Re dell’Universo, per annunciare il suo Regno; non il regno di Yhawé, o di Allah, o di… Pachamama!

I Santi, del resto, lo sanno, per la semplice ragione che ne fanno l’esperienza personale e diretta: unirsi spiritualmente a Dio, con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutto il proprio essere, significa sperimentare in se stessi la luce del divino, andare al di là della dimensione terrena già in questa vita. Tuttavia gli uomini moderni, ridotti da tre secoli di cultura illuminista a detestare tutto ciò che abbia anche solo vagamente odore di cristianesimo, sono bramosi di sperimentare qualsiasi forma di spiritualità e qualsiasi tecnica di meditazione, dall’antroposofia allo Yoga, dal sufismo all’occultismo, tutto tranne che la preghiera e l’adorazione del Figlio di Dio nello splendore del Mistero Eucaristico; e non si avvicinano di un passo alla pace e alla felicità tanto desiderate, oppure - cosa assai peggiore – credono di esservi giunti e non si rendono conto di aver aperto le porte all’ingresso di forze temibili e ben diverse da quelle che s’immaginano, che non potranno più controllare ma che li controlleranno e, forse, non li lasceranno più. Essi credono che, liberando la misteriosa Kundalini dalla sua sede, ci si possa avvalere di nuove e potenti risorse mistiche e spirituali; oppure che, mediante la pratica del chanelling, si possa chiamare ed avere a propria disposizione la guida di chissà quali spiriti buoni, magari di qualche Angelo, così come per andare in montagna si può fare ricorso a una buona guida alpina: e ignorano di avere evocato entità ben diverse da quelle che credono e che si presentano a loro sotto falso nome, per meglio ingannarli e soggiogarli come imprudenti apprendisti stregone.

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Un odioso tradimento è stato consumato: quelli che Gesù Cristo aveva mandato a predicare il Vangelo, si sono macchiati di uno scandalo inaudito, adorando invece le potenze delle tenebre. In tutto questo si riconosce veramente la mano del diavolo. E come chiamare, se non servi, anzi schiavi del diavolo (perché il diavolo non ha servi ma solamente schiavi), quanti si sono prestati a una così ignobile operazione, ingannando le anime e trascinandole lontano dalla Verità divina?

Tutte quelle persone hanno voluto cercare lontano, per il solo gusto dell’esotico e del primitivo e per una conscia o inconscia avversione al cristianesimo, ciò che invece avevano vicino e che la spiritualità dei loro padri ha tramandato per secoli e millenni, ossia la pura fede cattolica, con i suoi vertici sublimi così suggestivamente descritti da santa Teresa d’Avila nel suo Castello interiore. Ora quel gusto dell’esotico e del primitivo non solo si è ulteriormente rafforzato, ma è penetrato nello stesso clero cattolico e ha contaminato con riti pagani e idolatri la stessa liturgia cattolica, profanando chiese e basiliche. Che tristezza infinita, vedere le statue della dea incaica Pachamama portata a spalla da volonterosi “vescovi” cattolici, adorate col sedere all’aria e la faccia a terra da frati e suore, e benedette, si fa per dire, da un signore che dice di essere il papa, ma che palesemente non lo è, visto che, fra molte altre cose, calpesta il primo e più importante dei Dieci Comandamenti: Io sono il Signore Dio tuo; non avrai altro Dio fuori di me. Perciò è veramente, questa, la vittoria del mondo sulla chiesa; la vittoria del principe di questo mondo sul Vangelo di Gesù Cristo: vittoria temporanea e apparente, e tuttavia tale da gettare nella più profonda afflizione e nel più grave smarrimento le coscienze di tante anime buone. Ed è, nello stesso tempo, l’ora più oscura del mondo stesso: perché il mondo ha bisogno del Vangelo per essere salvato; ma se coloro che dovrebbero annunciare e testimoniare il Vangelo adorano invece le false divinità e si fanno promotori di una spiritualità sincretistica e ingannevole, chi mai potrà salvare il mondo? Le tenebre che stanno scendendo sulla chiesa, scendono anche sul mondo. Un odioso tradimento è stato consumato; e quelli che Gesù Cristo aveva mandato a predicare il Vangelo, si sono macchiati di uno scandalo inaudito, adorando invece le potenze delle tenebre. In tutto questo si riconosce veramente la mano del diavolo. E come chiamare, se non servi, anzi schiavi del diavolo (perché il diavolo non ha servi ma solamente schiavi), quanti si sono prestati a una così ignobile operazione, ingannando le anime e trascinandole lontano dalla Verità divina?

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Che tristezza infinita, vedere le statue della dea incaica Pachamama portata a spalla da volonterosi “vescovi” cattolici!

L’uomo diviene libero solo quando Dio regna in lui
di Francesco Lamendola

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IL VIDEO: "LE FORZE OCCULTE"

    Video di Marco Cosmo da un articolo di Francesco Lamendola. Il condizionamento mentale. C'è qualcosa di enorme in atto e noi tutti siamo le vittime designate spesso inconsapevoli di una macchinazione globale: talmente vasta da far venire le vertigini

Forze occulte e condizionamento mentale

di

Marco Cosmo
Decimo Toro



C'è qualcosa di enorme in atto. Noi tutti siamo le vittime designate, e in gran parte inconsapevoli, di una macchinazione globale: talmente vasta da far venire le vertigini a chi ne abbia compreso, o anche solo intuito, le dimensioni.

Fonte: Il Decimo Toro 21 novembre 2019


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Tutti i nodi stanno arrivando al pettine - REALTA'DEL COMPLOTTO GLOBALE

di Francesco Lamendola

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