ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 28 gennaio 2011

Apericena con… Martini


 

Pubblicato ilgennaio 25, 2011 daSatiricus

INVITO DI CORTESIA
del PR Satiricus
Dall’eucaristia come sacrificio alla cena del signore? Io propongo di più, giusto giusto per essere al passo con la benedetta modernità: perché no a un apericena liturgico?
Finalmente pronti ad entrare in una nuova era dello Spirito, a cogliere i fiori della Primavera della Chiesa, ravvolti in una brezza conciliante, o quantomeno disposti a un rinfresco a soli 7 euro. E per chi è stufo dell’oscurantismo romano – eccezion fatta per l’affascinante Theologia Crucis di Lutero ed epigoni – serviamo istanti di gioia, happy hours di cristianità non meglio specificata.
L’appuntamento non è in Chiesa.
Primo perchè le vecchie chiese fredde e borghesi non servono più e illudono chi le frequenta di essere un vero fedele; secondo perché le chiese moderne in pannelli di prefabbricato, disponibili nelle tre versioni (modello fabbrica, modello mattatoio, modello arena), sono difficili da trovare (mimetizzate tra magazzini di periferia, imboscate in scantinati metropolitani, difese da accecanti pareti a specchio) o sono già state date in affitto (tecnicamente in ‘allocazione’) al culto di altre confessioni non cattoliche; terzo perché Dio non vuole che ci troviamo come Chiesa ma come uomini di buona volontà, e lasciatemi dire che non c’è miglior buona volontà di chi sia disposto a mettere in disparte il papa e i suoi amici per far parlare la spontaneità di quel pezzetto di ateismo che alberga dentro ciascuno di noi.
L’appuntamento non è in chiesa, ma sulle colonne di un buon giornale. Al posto del vino consacrando, avremo una bella tazza di caffè, e così saremo pronti per il nostro quartodora (poco meno di una messa feriale, tanto più che – Guardini e Bianchi insegnano – non è mica necessario celebrare quotidianamente. Al contrario!) di fraternità. Che giornale? Il Corsera o La Repubblica, ovviamente. Avanti massonia!
Menù del giorno:
inutilità dell’esempio dei santi e della potenza dei loro miracoli da vivi o da morti, in alternativa si servono esegesi dell’autocompiacimento e boutades semi-gallicane (chef: un esegeta o neo-teologo a caso)
ottusità dell’esercizio della tradizionale autorità, in alternativa proponiamo emancipazione acritica di giudei, donne, teologi atei animatori anarchici di comunità eversive fanta-religiose (chef: Franzoni)
nominalismo del dogma e irrisione del potere pontificio, in alternativa omaggiamo ante-papismo e contaminazione coi non-credenti (chef: Martini)
denuncia dell’invadenza vaticana e rimozione dei meriti anti-comunisti e anti-apostatici, in alternativa degusterete falsa umiltà di ideologi asservitori della fede al partito e vescovi pedofili in esercizio non mortificato della loro attrattiva locale (chef: porporato o prelato non meglio identificato, comunque non ultramontanista)
Si ringraziano, tra gli sponsor, il rappresentante del laboratorio culinario www.palazzoapostolico.com e il curatore della rubrica umoristica di ammortamento mentale www.paroledivita.myblog.it

giovedì 27 gennaio 2011

Memento memorare Veritatem (=memory day)

Il Giorno della Memoria (a senso unico)
di Alessio Mannino - 28/01/2011

Fonte: il ribelle



Un paradosso inaccettabile e sottovalutato, fino alla rimozione: quegli stessi Ebrei che hanno subito le persecuzioni naziste si ostinano ad accanirsi contro i Palestinesi

Circola in Rete un fotomontaggio che mostra l’ingresso del lager di Auschwitz con la scritta “Benvenuti in Palestina”. Il ricordo dell’orrore per il genocidio nazista degli ebrei, infatti, non può far passare sotto silenzio l’orrore per la tragedia attuale dei palestinesi, vittime dei figli e nipoti di quegli stessi ebrei perseguitati e sterminati sessant’anni fa (ma gli zingari, gli omosessuali, gli oppositori politici, i lavoratori forzati, morti a milioni sotto la svastica, non li ricordiamo mai?). 
Proprio perché discendenti di un’agghiacciante e mostruosa esecuzione razziale di massa, gli Israeliani si sono doppiamente macchiati di un terribile torto morale: aver oppresso, conculcato e affamato un intero popolo che aveva l’unica colpa di vivere nella biblica “Terra Promessa”, in realtà avamposto strategico per l’Occidente in un Medioriente ricco di petrolio. Ieri i criminali razzisti erano i tedeschi, oggi sono loro. È Israele, dal 1945 a oggi, lo Stato più razzista del mondo. Tanto che la destra di Netanyahu al potere vorrebbe imporre il riconoscimento di Israele come “Stato del popolo ebraico”, che implicherebbe limitazioni ai diritti della minoranza araba se non addirittura la sua espulsione. 
È un paese, la democrazia israeliana, che definire sciovinista e guerrafondaia è poco. Ha sistematicamente violato le delibere Onu che non gli aggradavano a cominciare dalla spartizione dei territori datata 1947, ha via via occupato nei decenni, scatenando conflitti su conflitti militari, le terre abitate dagli arabi fino a ridurle a tre aree grandi come francobolli (Gerusalemme Est, Cisgiordania, Striscia di Gaza), ha mantenuto la popolazione in uno stato di occupazione belligerante permanente, non facendosi scrupolo di massacrarla con vere e proprio operazioni di guerra (come la sanguinosa “Piombo fuso” di due anni fa) e ammassando  4 milioni di profughi strappati dalle loro case, ha impedito che si formasse un’economia capace di far sopravvivere dignitosamente i cittadini della Palestina chiudendoli in ghetti sottoposti ad embargo, come a Gaza. Da ultimo ha deciso di continuare l’espansione dei propri coloni in Cisgiordania facendo saltare anche l’ultimo accordo di pace, e ha favorito la feroce lotta intestina fra forze politiche palestinesi, con l’Anp di Abu Mazen da due anni illegittimamente al governo dopo la regolare vittoria alle elezioni dei fondamentalisti islamici di Hamas, non riconosciuta da Tel Aviv e dagli Americani perché, incorruttibili, non sono disposti a chinare la testa. 
Il peso di lutti, sofferenze e privazioni che gli Israeliani hanno inflitto al popolo palestinese grava come un macigno di dolore che oggi, in questo istante, in questo momento storico, nello stesso giorno di commemorazione degli ebrei finiti nelle camere a gas, schiaccia e inchioda sotto la sua tremenda responsabilità gli eredi della Shoah. Ricordare è un atto che serve alla coscienza dell’uomo pensante e libero, e noi certamente riconosciamo nei campi di concentramento hitleriani l’abnormità tutta moderna di una distruzione pianificata con metodi industriali; ma la memoria obbligata e celebrativa diventa un esercizio di insopportabile ipocrisia quando contemporaneamente viene dimenticata la schiavizzazione in atto di un intero popolo, che per giunta, con perfida ironia della storia, è seviziato da un altro che fu vittima di quella stessa, immane ingiustizia. 
Se poi, in modo ancora peggiore, il ricordo viene sciaguratamente sfruttato per giustificare ogni belluria commessa dallo Stato sionista, una siffatta memoria si degrada a indecente arma di ricatto politico. In pratica, se osi accusare gli ebrei pur avendo tutte le buone ragioni possibili, vieni automaticamente bollato come antisemita e zittito senza che ti portino uno straccio di contro-argomento. Davvero non fatichiamo a immaginarci le anime degli israeliti trucidati ad Auschwitz, a Mauthausen, a Treblinka e negli altri lager, guardare con triste ribrezzo le turpi azioni, degne dei nazisti, compiute in loro nome. 
PERCHÈ?

CI SI CHIEDE DI RICORDARCI DI IERI,
MA DI CHIUDERE GLI OCCHI SUL PRESENTE :
qualcosa non quadra, non tornano i conti.
Noi gli occhi non li chiudiamo,

noi non dimenticheremo:
ABBIAMO BUONA MEMORIA.
Il nostro sito e la nostra rete-web non celebrano la Giornata della Memoria. È nel nostro diritto farlo.
A meno che il rabbinato internazionale e le comunità ebraiche non riconoscano l'olocausto compiuto da oltre 60 anni a questa parte ai danni della popolazione araba di Palestina, cristiana e musulmana, che ha avuto come culmine il recente massacro di Gaza e che continua, quotidianamente, a Gaza come in Cisgiordania, in un lento, inarrestabile stillicidio.
Non si puo celebrare solo e sempre "una" memoria.
 O si è sensibili a tutte le disgrazie umane, o ci si considera l'unica rappresentanza umana per cui doversi dispiacere, mentre tutti gli altri sono solo "animali parlanti", poco più che bestie, come celebra il Talmud, e quindi indegni.
 Senza voler ferire la suscettibilità altrui per le sofferenze patite, ma o si celebrano le memorie delle sofferenze di tutti gli esseri umani, a partire da quelle più recenti e fresche di Gaza, oppure non intendiamo renderci complici di quella che è solo una campagna di propaganda, per ingrassare quella che anche l'ebreo Norman Finkelstein definisce "la fabbrica dell'olocausto".
 Non si può avere la memoria così corta da non vedere quel che succede sotto i nostri occhi adesso, pretendendo di imporci il monopolio di un'unica memoria. Memoria sulla quale oltretutto non è concesso investigare sulle dinamiche, nè è permessa a storici di professione la ricerca.
Memoria che viene imposta a senso unico e incontestabile. Strana memoria.
La comunità israelita, che sostiene ed è complice, apertamente o con il suo silenzioso assenso, dello Stato ebraico-sionista e ne approva l'operato genocida nei confronti della popolazione araba di Terra Santa, non può chiederci di chiudere gli occhi sui crimini compiuti dai suoi leader e nello stesso tempo volerci solidali con le proprie passate traversie: traversie grazie alle quali l'entità coloniale insediatasi in Palestina, Israele, si ingrassa sempre più, giustificando e coprendo così ogni suo crimine.
 Questa ostinata insensibilità verso i fratelli arabi di Terra Santa, espropriati e massacrati da decenni nella propria terra, non gioca a favore dei così definiti impropriamente "fratelli maggiori", ma anzi accresce nel mondo l'ostilità nei loro confronti.
Il loro motto preferito è "occhio per occhio, dente per dente": non si aspettino comportamento diverso nei loro confronti da chi non ha ancora svenduto all'ammasso la propria lucidità.
Se il rabbianto internazionale non riconoscerà le sofferenze ed i crimini commessi oggi ai danni della Palestina e del suo popolo, noi e tutti gli uomini ancora intellettualmente liberi non potremo onestamente riconoscere la loro memoria.
 Pochi sanno che il 14 di maggio, giorno in cui in Palestina si ricorda la Nakba, la catastrofe (significato simile a quello della shoà), quando la popolazione araba fu cacciata dai suoi villaggi, massacrata, deportata, è una giornata di commemorazione vietata per legge dallo Stato giudeocratico.
In quel giorno le frontiere ed i check-point vengono chiusi (è capitato anche a noi di ritrovarci blindati a Jenin l'anno scorso in quell'occasione) e sono vietate tutte le commemorazioni. E' vietato alla popolazione autoctona di Terra Santa, in quel giorno di maggio, ricordare i propri cari e le proprie sofferenze, fare visita a parenti, cimiteri, memoriali. Una giornata di lutto e di memoria vietata.
E si ha la faccia tosta di imporre una "giornata della memoria", mentre la si nega agli altri...
In quanto gli arabi sono sicuramente di ceppo semita, questa negazione della loro memoria è da ritenersi quale vero ed inconfutabile atto di antisemitismo.

"Guai a voi scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume...Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna?" (Mt. 23, 13-36)


martedì 25 gennaio 2011

Come commentano gli ecumen/modernisti?

   
Cristo è mediatore di una migliore alleanza.

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 8, 6-13)
Fratelli, [Gesù, nostro sommo sacerdote,] ha avuto un ministero tanto più eccellente quanto migliore è l’alleanza di cui è mediatore, perché è fondata su migliori promesse. Se la prima alleanza infatti fosse stata perfetta, non sarebbe stato il caso di stabilirne un’altra.
Dio infatti, biasimando il suo popolo, dice:
«Ecco: vengono giorni, dice il Signore,
quando io concluderò un’alleanza nuova
con la casa d’Israele e con la casa di Giuda.
Non sarà come l’alleanza che feci con i loro padri,
nel giorno in cui li presi per mano
per farli uscire dalla terra d’Egitto;
poiché essi non rimasero fedeli alla mia alleanza,
anch’io non ebbi più cura di loro, dice il Signore.
E questa è l’alleanza che io stipulerò con la casa d’Israele
dopo quei giorni, dice il Signore:
porrò le mie leggi nella loro mente
e le imprimerò nei loro cuori;
sarò il loro Dio
ed essi saranno il mio popolo.
Né alcuno avrà più da istruire il suo concittadino,
né alcuno il proprio fratello, dicendo:
“Conosci il Signore!”.
Tutti infatti mi conosceranno,
dal più piccolo al più grande di loro.
Perché io perdonerò le loro iniquità
e non mi ricorderò più dei loro peccati».
Dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antica la prima: ma, ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a scomparire.
 

domenica 23 gennaio 2011

Altri " deliramenti " di Mons. Gianfranco Ravasi.




1° IL LIBRO DEI SALMI
Al versetto 10 del Salmo 16:«Né lascerai che il tuo fedeleveda la fossa», Ravasi nonsolo lo traduce diversamentedalla traduzione greca e latinache dice: «non abbandonerailʼanima mia negli inferi, né lasceraiche il suo santo vedala corruzione», Ravasi, poi,non parla neppure della risurrezionedi Gesù.Anche della interpretazione“autentica” del Salmo 15, fattada San Pietro e da SanPaolo (Atti 2 e 13), egli diceche è solo una “rilettura” fattadalla prima comunità. Ma questodice quale abisso separi la“nuova esegesi” razionalista dallʼesegesi veramentecattolica!2° “SANTO”, “SACRO”E “PROFANO”“Il racconto del cielo” (Mondadori,1995) è un libro del modernistaMons. Gianfranco Ravasi.Nellʼintenzione dellʼAutore,questo libro sarebbe unaguida per poter leggere e comprendereil Vecchio Testamento,dopo una lacuna che avrebbeimpedito, in questi ultimi duemillenni, di leggere e comprendereil Vecchio e il Nuovo Testamento.Considero, qui, qualche passodi questa “guide bleue”, comela chiama Ravasi, che appartienealle tante eresie diffuse daquesto prete modernista.A pag. 138, e ss. egli fa una disquisizione sui significatidi “santo” e di “sacro”, tipica dei movimenti e sac. dott. Luigi Villa
delle ideologie integraliste, isola e rigetta il “profano”,ma confondendo il significato di “santo” conquello di “sacro”, perché la radice verbale “qadosh”(ebraica) significa, inprima istanza, “separare”,porre una frontiera tra lʼareadel tempio-palazzo reale equella profana. Ma Ravasidoveva sapere che ai tempidi quella radice verbale “qadosh”,Israele non avevané un tempio né un palazzoreale, perché impedito adaverli dalla stessa prescrizionedivina.Perciò, lʼesegesi di Ravasiè solo un assieme di deduzionisuperficiali, fondatedalla scuola ateo-razionalista.Inoltre, Ravasidoveva sapere che non puòesistere una realtà mondanae unʼaltra profana, cheguardano la realtà dellʼuniversosenza rivolgersi a Dio,e quindi contrapponendolealla realtà delle cose divine.Comunque, Ravasi dovevasapere che quel suo concepire il “santo” e il “sacro”è unʼeresia manichea e gnostica, che, purtroppo,circola anche nelle facoltà teologiche, sullascia dei Martini e dei Ravasi.3° I VANGELI:STORICAMENTE NON ATTENDIBILIMons. Gianfranco Ravasi, su “Famiglia Cristiana”del 1° novembre 1989, scrisse un articolo: “Processoa Gesù: assurda la tesi antisemita”.Per lui, «lʼunica documentazione diretta disponibile èquella dei Vangeli. Quindi, per Ravasi, irrefutabile testimonianza,per la responsabilità dei Giudei nellacrocifissione di Gesù Cristo, di San Pietro e di SanPaolo (cfr. Atti degli Apostoli; per San Pietro cc. 1-12; per S. Paolo cc. 13 ss), e unica documentazionedisponibile, è solo quella dei Vangeli. Ma anche quelladei Vangeli, però, sarebbe attendibile fino a un certopunto. Difatti, Ravasi sentenzia: «Documentazioneche, storicamente parlando, non è ineccepibile,essendo di parte e con finalità più teologicheche rigorosamente storiografiche».Quindi, per Ravasi quel che conta non è il fatto storico,ma solo il sentimento che suscita in noi.Lʼinattendibilità storica dei Vangeli, perciò, deriverebbedal principio ermeneutico: «Bisogna tener bendistinti due ambiti: quello dei fatti storici e quellodel loro significato teologico». Quindi, il processodi Gesù a livello storico-giuridiconon poteva essere ladivinità in sè del Cristo,quanto piuttosto, il suo arrogarsi,in parole ed atti, la divinità».Perciò, per riconoscere la divinitàdel Cristo, occorre un“salto nella fede” che “vaoltre le prove, pur significative,dei miracoli e delpersonaggio straordinariodel Cristo”. In questi terminidel modernista Ravasi,“storicamente parlando, lacondanna a morte, Gesùse lʼè voluta Lui”.Infatti, Ravasi scrive: «Sitrattava di un comportamento(lʼarrogarsi la divinità)passibile di giudiziosecondo il Diritto Ebraico,perché configurava il reatodi bestemmia punibilecon la pena di morte». Difatti,Caifa, il Presidente del Sinedrio, scatta: “Ha bestemmiato!”.Per questo, Gesù, la condanna a mortese lʼè voluta Lui! Quindi: «resta illegittima e assurdala tesi antisemita per la quale gli Ebrei diieri e di oggi sono “in solido” responsabili diquella operazione giudiziaria».Ma questa sentenza di Ravasi è manifestamente erronea,contro le Sacre Scritture del Nuovo Testamento,per il quale è una verità di Fede divina e cattolica,affermata dalla Tradizione e dal Magistero dellaChiesa di sempre. Ma, per Ravasi, il “riconoscerela divinità” è solo compito della fede. È un parlaremodernista dei moderni esegeti, per i quali anche larisurrezione di Cristo esula dal campo storico, perché“è spettanza di un altro livello, quello della fede”,come per Ravasi anche le “Apparizioni di GesùSalvatore” risorto non furono reali (cfr. “FamigliaCristiana”, 18 aprile 1998, p. 80 ss).Quello che ci meraviglia è che questo “divo” modernistapropagatore di “eresie”, sia stato nominatomembro della Pontificia Commissione Biblica e, oggi,sia persino Cardinale. Questo mi fa ricordare che leApparizioni di Fatima iniziarono con un Angelo che“inginocchiatosi a terra, curvò la fronte al suolo”, ripetendo:“Mio Dio, credo, adoro, spero e Ti amo; Tichiedo perdono per coloro che non credono, nonadorano, non sperano e non Ti amano”!4° LAZZARO, MORTO MA NON RISORTOSu “Famiglia Cristiana” n. 30/1994, due lettori,scandalizzati dal gesuita Brendan Byrne, che affermavache la risurrezione di Lazzaro è una “gonfiatura”teologica della primitiva comunità cristiana, il solitoMons. Gianfranco Ravasi, il “teologo” di “FamigliaCristiana”, risponde: «Certo, il libro del Byrnenon è adatto a chi muove i primi passi nellaBibbia o a chi ha scelto la “via fondamentalistaper cui vale solo la lettura del testo così comesuona”». Poi, spiega due punti fondamentali dellalettura critica dei Vangeli. Dice: «Innanzitutto, nonci si stancherà di ripetere che i Vangeli non sonolibri di storia accademica né biografie storiografiche». E continua: «Le parole e gli atti di Gesù sonoilluminati, trasfigurati, elaborati per finalitàche non sono storiografiche, ma di fede».Perciò, Ravasi dice: «Sono da evitare due estremi:1) credere che Gesù risuscitò Lazzaro da morte,nel modo e nei particolari descritti da Giovanni;2) che lʼintera storia è una pura invenzionedellʼevangelista».E conclude: «È qui che appare la diversa concezione:per noi, il miracolo è prevalentemente unprodigio; per lʼuomo della Bibbia è un “segno”.Ed è proprio così che Giovanni chiama i sette miracolidi Gesù da lui selezionati nel suo Vangelo.Se sono “segni”, è naturale che essi rimandanoad altro, ed è questo altro ciò che interessaallʼevangelista non tanto il fatto in sè».Così, Lazzaro, risuscitato dopo quattro giorni, quando“jam fetet”, può anche essere semplicemente un“moribondo” guarito.È lo stesso Ravasi che lo dice: «Sulla base diquanto detto, ci chiediamo qual è lʼevento e qualela sua funzione di “segno”ʼ. Lʼevento (storico) èdifficile da definire, per indicare lʼirreversibilitàdella sua situazione. Chiara è, invece, la finalitàdel “segno”: celebrare Cristo come efficace sorgentedi “risurrezione e vita”, alla luce appuntodella sua Pasqua».Di sicuro, quindi, nella “vicenda” di Lazzaro cʼè soloil segno spirituale, inteso dallʼevangelista o dallacomunità primitiva.A Ravasi, quindi, “ciò che interessa allʼevangelistaè non tanto il fatto in sè” ma, nel caso di Lazzaro,la guarigione insperata, ma naturale, di un moribondo,descritto, però, “come già morto e sepolto”.Ma, per noi, per la risurrezione di Lazzaro, morto daquattro giorni e in via di decomposizione, non si possonoinventare soluzioni psicologiche, ma, o si ammettela potenza divina di Cristo, o si nega la risurrezionedi Lazzaro.Sono semplicemente “castelli in aria” questospropositare di Ravasi, che non meriterebbe alcunaattenzione. Ma purtroppo non cʼé più alcuno che,che in alto, intervenga non solo a smentire questimodernisti della “Nuova Pontificia CommissioneBiblica”, né tanto meno per condannare siffattimembri, tipo Martini e Ravasi!
sac. dott. Luigi Villa

venerdì 21 gennaio 2011

falsi insegnamenti


Questi falsi insegnamenti sono stati specialmente condannati da Papa Pio IX nell’enciclica Quanta Cura dell’8 dicembre 1864:
“E da questa completamente falsa idea di governo dello Stato non temono di promuovere quell’erronea opinione, specialmente dannosa alla Chiesa Cattolica ed alla salvezza delle anime, chiamata ‘deliramento’ dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di recente memoria; ovvero che la libertà di coscienza e di culto sia un diritto proprio di ciascuno e debba essere proclamata e stabilita per legge in ogni società correttamente costituita.”
Questo stesso Pontefice reiterò gli insegnamenti della Quanta Cura quando condannò le seguenti proposizioni nel Sillabo degli Errori dell’8 dicembre 1864:
“15. Ogni uomo è libero di abbracciare e professare quella religione che con il lume della sua ragione reputi vera.

“16. Gli uomini possono trovare la via per l’eterna salute, e possono conseguire l’eterna salvezza nel culto di qualsiasi religione.

“77. In questa nostra epoca non è più adatto che la religione cattolica sia l’unica religione dello stato, ad esclusione di qualsiasi altro culto.

“78. Perciò in certe regioni conosciute per cattoliche è stato lodevolmente stabilito per legge esser lecito a tutti gli uomini ivi immigrati il pubblico esercizio del proprio culto, quale che esso sia.

“79. Perché è falso che la libertà civile di ogni culto, e similmente la piena potestà garantiti a tutti di manifestare apertamente e pubblicamente ogni tipo di opinioni e idee, più facilmente conduce alla corruzione della morale e della mente del popolo, e al diffondersi del male dell’indifferentismo.”

Il falso ecumenismo fu esplicitamente condannato da Papa Pio XI nell’enciclica Mortalium Animos del 6 gennaio 1928:

...favorire questa opinione [l’ecumenismo e l’interconfessionalità] ed incoraggiare tali intraprese equivale ad abbandonare la religione rivelata da Dio.”

“Stando così le cose, è chiaro che la Sede Apostolica non può in alcun modo prender parte a queste assemblee, nè è in alcun modo lecito ai cattolici di dare a tali intraprese il loro incoraggiamento o supporto.”

“Pertanto, Venerabili Fratelli, è ora chiaro perchè questa Sede Apostolica non ha mai permesso ai suoi sudditi di prender parte alle assemblee dei non-cattolici.”

giovedì 20 gennaio 2011

Santità, fugga lo spirito di Assisi


Appello di “alcuni cattolici gratissimi” affinché il Papa non riaccenda le confusioni sincretiste

Santo Padre Benedetto XVI, siamo alcuni cattolici gratissimi dell’opera da Lei compiuta come pastore della Chiesa universale in questi anni; riconoscenti per la sua grande valutazione della ragione umana, per la concessione del motu proprio “Summorum pontificum”, per il Suo proficuo rapporto con gli Anglicani che ritornano all’unità, e per molto altro ancora.
Abbiamo preso il coraggio di scriverle dopo aver sentito, proprio nei giorni del massacro dei cristiani copti in Egitto, dell’ intenzione di convocare ad Assisi, per il mese di ottobre, un grande raduno interreligioso, venticinque anni dopo “Assisi 1986”.
Tutti noi ricordiamo quell’evento di tanti anni fa.
Un evento anche mediatico come pochi, che, a prescindere dalle intenzioni e dalle dichiarazioni di chi lo convocò, ebbe un contraccolpo innegabile, rilanciando, proprio nel mondo cattolico, l’indifferentismo ed il relativismo religioso.
Proprio da quell’avvenimento prese vigore presso il popolo cristiano l’idea che l’insegnamento secolare della Chiesa, “una, santa cattolica e apostolica”, sull’unicità del Salvatore, fosse in qualche modo da archiviare.
Tutti noi ricordiamo rappresentanti di tutte le religioni in un tempio cattolico, la chiesa di Santa Maria degli Angeli, allineati con in mano un ramoscello di ulivo: quasi a significare che la pace non passa da Cristo ma, indistintamente, da tutti i fondatori di un credo, quale che esso sia (Maometto, Budda, Confucio, Kalì, Cristo…).
Ricordiamo la preghiera dei mussulmani in Assisi, cioè nella città di un santo che aveva fatto della conversione degli islamici uno dei suoi obiettivi.
Rammentiamo la preghiera degli animisti, la loro invocazione degli spiriti elementali, e quella di altri credenti o di rappresentanti di religioni atee come il giainismo.
Quel pregare “insieme”, qualsiasi fosse il fine, volenti o nolenti ebbe l’effetto di far credere a molti che tutti pregassero “lo stesso Dio”, solo con nomi diversi.
Invece le Sacre Scritture parlano chiaro: “Non avrai altro Dio all’infuori di me” (I comandamento); “Io sono la Via, la Verità e la Vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14, 6).
Chi scrive non nega certamente il dialogo, con ogni persona, di qualsiasi religione essa sia.
Viviamo nel mondo, e tutti i giorni parliamo, discutiamo, amiamo, anche chi non è cristiano, perché ateo, incerto, o di altre religioni. Ma questo non ci impedisce di credere che Dio stesso sia venuto sulla terra, e si sia fatto uccidere, per insegnarci, appunto, la Via e la Verità, e non solo una delle tante e possibili vie e verità. Cristo è per noi cristiani il Salvatore: l’Unico Salvatore del mondo.
Ricordiamo dunque con sgomento, tornando a quell’avvenimento di venticinque anni fa, i polli sgozzati sull’altare di santa Chiara secondo riti tribali e la teca con una statua di Budda posta sopra l’altare della chiesa di san Pietro, sopra le reliquie del martire Vittorino, ammazzato, 400 anni dopo Cristo, per testimoniare la sua fede.
Ricordiamo i sacerdoti cattolici che si sottoposero a riti iniziatici di altre religioni: una scena raccapricciante, dal momento che, se è “sciocco” battezzare nella fede cattolica una persona adulta che non vi crede, altrettanto assurdo è il fatto che un sacerdote cattolico si sottoponga a un rito cui non riconosce alcuna validità né utilità. Così facendo si finisce infatti solo per far passare una idea: che i riti, tutti, non siano altro che vuoti gesti umani. Che tutte le concezioni del divino si equivalgano. Che tutte le morali, che da ogni religione promanano, siano intercambiabili.
Ecco, quello “spirito di Assisi”, su cui poi i media e i settori della Chiesa più relativisti ricamarono a lungo, gettò confusione. Ci sembrò estraneo al Vangelo e alla Chiesa di Cristo, che mai, in duemila anni, aveva scelto di fare altrettanto. Avremmo voluto riscrivere, allora, queste ironiche osservazioni di un giornalista francese: “In presenza di tante religioni, si crederà più facilmente o che esse sono tutte valide o che sono tutte indifferenti; vedendo così tanti dei, ci si chiederà se tutti non si equivalgono o se ce n’è uno solo vero. Il parigino beffardo (scettico ed ateo, ndr) imiterà quel collezionista scettico, il cui amico aveva appena fatto cadere un idolo da una mensa: ‘Ah! Disgraziato, poteva essere il Dio vero’”.
Trovammo conforto, allora, alle nostre perplessità, in tantissime dichiarazioni di pontefici che avevano sempre condannato un siffatto “dialogo”.
Un Congresso di tutte le religioni era stato già organizzato, infatti, a Chicago, nel 1893, e a Parigi, nel 1900. Ma papa Leone XIII era intervenuto a vietare qualsiasi partecipazione cattolica.
Lo stesso atteggiamento tenne Pio XI, il papa che condannò l’ateismo comunista e quello nazionalsocialista, ma che deplorò nel contempo il tentativo di unire gli uomini in nome di un vago e indistinto senso religioso, senza Cristo.
Scriveva quel papa nella sua “Mortalium animos” (Epifania del 1928), proprio a riguardo dei congressi ecumenici: “Persuasi che rarissimamente si trovano uomini privi di qualsiasi sentimento religioso, sembrano trarne motivo a sperare che i popoli, per quanto dissenzienti gli uni dagli altri in materia di religione, pure siano per convenire senza difficoltà nella professione di alcune dottrine, come su un comune fondamento di vita spirituale. Perciò sono soliti indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere: infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione. Non possono certo ottenere l’approvazione dei cattolici tali tentativi fondati sulla falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio. Orbene, i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell’errore, ma ripudiano la vera religione depravandone il concetto e svoltano passo passo verso il naturalismo e l’ateismo…”.
Col senno di poi, possiamo dire che Pio XI aveva ragione, anche solo sul piano della mera opportunità: quale è stato, infatti, l’effetto di “Assisi 1986”, nonostante le giuste dichiarazioni di papa Giovanni Paolo II, volte ad impedirne una simile interpretazione?
Qual è il messaggio che hanno rilanciato talvolta gli stessi organizzatori, i media, ed anche non pochi ecclesiastici modernisti, ansiosi di ribaltare la Tradizione della Chiesa?
Ciò che è passato, presso moltissimi cristiani, tramite le immagini, che sono sempre le più evocative, e tramite i giornali e le tv, è molto chiaro: il relativismo religioso, che è poi l’equivalente dell’ateismo.
Se tutti pregano “insieme”, hanno concluso in tanti, allora le religioni sono tutte “uguali”: ma se così è, significa che nessuna di esse è quella vera.
A quell’epoca, Lei, cardinale e prefetto della Congregazione della Fede, insieme al cardinal Giacomo Biffi e a tanti altri, fu tra coloro che espressero forti perplessità. Per questo, negli anni successivi, non partecipò mai alle repliche proposte ogni anno dalla Comunità di Sant’Egidio.
Infatti, come Lei ha scritto in “Fede, verità e tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo” (Cantagalli, 2005), proprio criticando l’ecumenismo indifferentista, al cattolico “deve risultare nettamente che non esistono ‘le religioni’ in generale, che non esiste una comune idea di Dio e una comune fede in Lui, che la differenza non tocca unicamente l’ambito della immagini e delle forme concettuali mutevoli, ma le stesse scelte ultime..”.
Lei concorda perfettamente, dunque, con Leone XIII e con Pio XI sul pericolo di contribuire, con gesti come quelli di “Assisi 1986”, al sincretismo ed all’indifferentismo religioso.
Rischio messo in luce anche dai padri conciliari del Vaticano II, che in Unitatis Redintegratio, a proposito, si badi bene, dell’ecumenismo non con le altre religioni, ma con gli altri “cristiani”, invitavano alla prudenza: “Tuttavia la comunicazione nelle cose sacre non la si deve considerare come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per il ristabilimento dell’unità dei cristiani…”.
Lei ha insegnato, in questi anni, non sempre compreso neppure dai cattolici, che il dialogo avviene e può avvenire non tra diverse teologie, ma tra diverse culture; non tra le Fedi, ma tra gli uomini, alla luce di ciò che tutti ci contraddistingue: la ragione umana.
Senza ricreare l’antico Pantheon pagano; senza che l’integrità della Fede venga messa a repentaglio dall’amore per il compromesso teologico; senza che la Rivelazione, che non è nostra, venga rimaneggiata dagli uomini e dai teologi intenti a conciliare l’inconciliabile; senza che Cristo, “segno di contraddizione”, debba essere messo sullo stesso piano di Budda o di Confucio, che tra il resto non dissero mai di essere Dio.
Per questo siamo qui a esporLe la nostra preoccupazione.
Temiamo che qualsiasi cosa Lei dirà, tv, giornali e tanti cattolici interpreteranno alla luce del passato e dell’indifferentismo imperante; che qualsiasi cosa affermerà, l’evento sarà letto come la continuazione della manipolazione della figura di Francesco, trasformato, dagli ecumenisti odierni, in un irenista e in un sincretista senza fede. Sta già succedendo…
Abbiamo paura che qualsiasi cosa Lei dirà, per fare chiarezza, i fedeli semplici, come siamo anche noi, in tutto il mondo non vedranno (e non gli sarà fatto vedere, ad esempio in tv) altro che un fatto: il vicario di Cristo non che parla, discute, dialoga con i rappresentanti di altre religioni, ma che prega con loro. Come se il modo e l’obiettivo della preghiera fossero indifferenti.
E molti, sbagliando, penseranno che anche la Chiesa ormai ha capitolato, ed ha riconosciuto, in sintonia con la mentalità new age, che pregare Cristo, Allah, Budda o Manitù sia la stessa cosa. Che la poligamia islamica e animista, le caste induiste o lo spiritismo politeista animista… possano stare insieme alla monogamia cristiana, alla legge dell’amore e del perdono ed al Dio Uno e Trino.
Ma come ha scritto sempre Lei, nel libro citato: “Con l’indifferenziazione delle religioni e con l’idea che esse siano tutte sì distinguibili, e tuttavia propriamente uguali, non si avanza”.
Santo Padre, noi pensiamo che con una nuova “Assisi 1986” nessun cristiano in terre d’Oriente verrà salvato: né nella Cina comunista, né in Corea del nord, né in Pakistan o in Iraq… tanti fedeli, invece, non capiranno più perché proprio in quei paesi c’è ancora oggi chi muore martire per non rinnegare il suo incontro non con una religione, ma con Cristo. Come sono morti gli stessi apostoli.
Di fronte alla persecuzione, ci sono vie politiche, diplomatiche, dialoghi personali e di Stato: si seguano tutte, nel modo migliore possibile. Con la Sua amorevolezza e il Suo desiderio di pace per tutti gli uomini.
Ma senza che sia possibile a chi vuole confondere le acque e rilanciare il relativismo religioso, anticamera di ogni relativismo, una opportunità, anche mediatica, così ghiotta come la “riedizione” di “Assisi 1986”.


Con devozione filiale

Francesco Agnoli, Lorenzo Bertocchi, Roberto de Mattei, Corrado Gnerre, Alessandro Gnocchi, Camillo Langone, Mario Palmaro, Luisella Scrosati, Katharina Stolz