Giovanni Paolo II, beato?
Pubblichiamo un articolo di Don Ludovic Girod, Priore del Priorato Notre-Dame-de-Fatima di Prunay, Francia, della Fraternità San Pio X.
L'articolo è stato pubblicato sul n° 195, aprile 2011,
del giornale “La Sainte Ampoule” dello stesso Priorato.
(il testo è stato diffuso da La Porte Latine, sito della Fraternità in Francia)
(neretti e impaginazione sono nostri)
Questa beatificazione pone al fedele cattolico delle domande angosciose:
se Giovanni Paolo II è dichiarato beato, ne deriva che tutti i principi del Concilio sono da adottare, che non si può più rigettarli e combatterli. Noi vorremmo addurre alcuni elementi di risposta utlizzando un importante articolo di Don Jean-Michel Gleize su Le Courrier de Rome del febbraio 2011, insieme ad altri articoli del dossier che il n° 82 della rivista Fideliter ha dedicato a I Santi del Concilio. In seguito compareremo i pontificati di Giovanni Paolo II e di San Pio X, ultimo papa canonizzato.
Precisiamo innanzi tutto che la beatificazione non impegna per niente l’infallibilità pontificia. Si tratta solo di un atto col quale il Papa concede il permesso di rendere un culto pubblico al beatificato in certe parti della Chiesa. Quest’atto non è un precetto ed è riformabile. Questa beatificazione, dunque, non ci assicura la rettitudine dottrinale e la santità di vita del papa defunto.
Certo, si dirà, ma le autorità della Chiesa non si fermeranno lì, se la beatificazione sarà domani, dopodomani ci sarà la canonizzazione. Gli esaltati che durante i funerali di Giovanni Paolo II innalzavano i cartelli con su scritto “santo subito” rischiano davvero di essere esauditi.
Ora, con la canonizzazione il Sommo Pontefice emette una sentenza definitiva con la quale iscrive nell’elenco dei Santi il beatificato di ieri.
Nel far questo, il Papa si pronuncia su tre punti:
- il fedele defunto è nella gloria del Cielo;
- egli ha meritato di giungere a questa gloria praticando le virtù eroiche che hanno un valore esemplare per tutta la Chiesa;
- gli dev’essere tributato un culto pubblico.
Se l’infallibilità di una canonizzazione non costituisce un articolo di fede, si tratta comunque di una sentenza quasi unanime dei teologi e sarebbe alquanto temerario il contraddirla. Ma esaminando bene le cose, se possiamo dare come certa l’infallibilità delle canonizzazioni fatte tra il 1170 (data dalla quale il Papa si riserva la beatificazione e la canonizzazione) e il Concilio Vaticano II, possiamo invece legittimamente dubitare che le nuove canonizzazioni impegnino lo Spirito Santo, che è il garante della verità dei dogmi della Chiesa. Don Gleize, nel suo articolo, segnala tre punti sui quali le recenti riforme hanno introdotto un dubbio.
In primo luogo egli menziona l’insufficienza della nuova procedura: dei due processi richiesti precedentemente, oggi ne è rimasto solo uno. I miracoli richiesti erano almeno due per ogni tappa, oggi ne basta solo uno. Prima di una canonizzazione, il Papa doveva riunire per tre volte i cardinali e chiedere il loro parere, e questo non è più richiesto. Un tempo, il giudizio sull’eroicità delle virtù o il martirio doveva essere espresso almeno 50 anni dopo la morte del servitore di Dio, oggi è sceso solo a cinque anni, lasso di tempo che poi non è stato neanche rispettato né per Madre Teresa di Calcutta né per Giovanni Paolo II. Un tempo la Chiesa esaminava una causa verificando accuratamente l’insieme delle testimonianze umane nonché la conferma soprannaturale dei miracoli. Oggi la Chiesa sembra rispondere con precipitazione alla pressione mediatica e all’emozione popolare. Mentre invece, se quest’atto della canonizzazione è coperto dall’autorità divina, lungi dall’escludere l’attento esame delle testimonianze disponibili, lo esige per sua stessa natura. Come un papa non proclama in maniera arruffata un nuovo dogma, ma soppesa tutti gli argomenti a favore della promulgazione, così non può impegnare l’autorità dello Spirito Santo senza aver usato tutti i mezzi umani per assicurarsi dell’eroicità delle virtù e della rettitudine dottrinale del candidato alla canonizzazione.
Il secondo argomento avanzato da Don Gleize è quello del ritorno al collegialismo.
Le regole per la canonizzazione ricalcano quelle in vigore prima del XII secolo: il Papa lascia ai vescovi la cura di giudicare immediatamente la causa dei Santi e si riserva solo il potere di confermare il giudizio degli Ordinari. Ancora un campo in cui si applica la collegialità, innovazione del Concilio Vaticano II. Come dice Don Gleize: «quando il Papa esercita il suo ministero personale per procedere ad una canonizzazione, sembra proprio che la sua volontà sia di intervenire come organo del ministero collegiale; dunque le canonizzazioni non sono più garantite dall’infallibilità personale del magistero solenne del Papa».
La terza difficoltà deriva dal cambiamento della nozione di santità.
Questa può esistere in un’anima a gradi diversi. Noi incominciamo ad essere santi quando viviamo in stato di grazia: è questo il grado minimale della santità, richiesto per meritare il Cielo. Ma questa santità può crescere fino a raggiungere ciò che gli autori spirituali chiamano la perfezione: una completa identificazione con Cristo, un’attività ampiamente sotto la diretta dipendenza dello Spirito Santo. È allora che il cristiano pratica le virtù eroiche, soprattutto quelle della fede, della speranza e della carità. Qui eroico non significa che la sua vita esprime delle epopee grandiose, ma che la sua santità si rapporta ad un modo d’agire più divino che umano, nel senso che i doni dello Spirito Santo agiscono in lui in maniera ad un tempo frequente e manifesta. In questa ottica, i Santi non corrono per le strade: la perfezione cristiana è una cosa rara, anche se dei periodi di fede profonda vedono fiorire più frutti di santità di altri. Questo equilibrio è stato completamente scompigliato da Giovanni Paolo II, che moltiplicò le cerimonie di beatificazione e di canonizzazione. Egli elevò agli altari 483 Santi, più di tutti i papi negli ultimi quattro secoli. Questo cambiamento quantitativo è fondato su un cambiamento qualitativo. Come sottolinea Don Gleize: «Se le beatificazioni e le canonizzazioni sono ormai più numerose è perché la santità che testimoniano possiede un significato differente: la santità non è più qualcosa di raro, ma qualcosa di universale. E questo si spiega perché la santità a partire dal Vaticano II è considerata come un dato comune».
Queste tre considerazioni sollevano un serio dubbio sull’infallibilità delle nuove canonizzazioni. Come ovunque, il Concilio ha introdotto la novità e il dubbio in una materia prima ben definita dalla teologia cattolica. Occorrerà bene che un giorno il Magistero, passata la tempesta della crisi, si soffermi su queste questioni, ristabilisca delle regole chiare e faccia una cernita in quest’ammasso di nuove canonizzazioni e beatificazioni, la maggior parte delle quali si riconducono ad una vera santità, ma sono state dichiarate alla fine di una dubbia procedura.
Quanto a quelle che riguardano dei personaggi quanto meno controversi, dalle dottrine poco sicure, e che derivano dall’andazzo dei tempi, si renderà necessario un lavoro chiarificatore.
Dopo aver risposto a questa spinosa questione, il mese prossimo esamineremo i rispettivi bilanci di Giovanni paolo II e di San Pio X.
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