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martedì 26 aprile 2011

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Un Papa e le sue ombre. Quelli che non si rassegnano alla beatificazione di Wojtyla

Giovanni Paolo II sarà beatificato domenica prossima davanti a centinaia di migliaia di persone in piazza San Pietro. La beatificazione sarà la più veloce della storia della chiesa tanto che
Wojtyla batterà madre Teresa di Calcutta di quindici giorni. Ma questo record, dicono alcuni critici, riprendendo anche posizioni interne alla chiesa, e nonostante si sia ormai a ridosso della grande cerimonia, è quantomeno strano.
Tra queste voci critiche si è inserito il settimanale Newsweek, che in un lungo articolo firmato dal vaticanista americano John Allen (Maureen Dowd sul New York Times ha ripreso due giorni fa gli stessi contenuti) dà voce a quelle spinte contrarie alla beatificazione e ancora oggi non dome. Contrarie perché, dicono, portando in piazza San Pietro Wojtyla in tempi così brevi il Vaticano mostra sì al mondo la forza della personalità del Papa polacco ma anche, ineluttabilmente, le sue ombre.
Wojtyla ha presieduto una fabbrica dei santi senza precedenti, producendo più beatificazioni (1.338) e canonizzazioni (482) di tutti i predecessori messi insieme, e dal momento che la tradizione cattolica annovera 263 Pontefici prima di lui, la cosa è impresa non da poco. Ma questo è stato il frutto di una strategia ben precisa, che ha portato Giovanni Paolo II a rivoluzionare il processo di beatificazione e canonizzazione, eliminando l’istituzione dell’“avvocato del diavolo”, ovvero di colui che deve raccogliere prove a sfavore del candidato per portarle all’attenzione di chi deciderà. Il suo scopo era chiaro, mostrare al mondo secolarizzato che la santità c’è ancora.
La dichiarazione di santità si suppone arrivi dopo un processo democratico che comincia da un sentimento popolare che nasce dal basso. Invece, scrive Newsweek, nel caso di Wojtyla questo processo non ci sarebbe stato.
Già al suo funerale si gridava “santo subito”. I cardinali che si sono riuniti per eleggere il suo successore hanno firmato immediatamente una petizione per chiedere alla chiesa di rinunciare al normale periodo di cinque anni di “decantazione” necessario per avviare una causa di beatificazione, richiesta che Benedetto XVI ha rapidamente soddisfatto. Oggi, tuttavia, che l’entusiasmo è stato temperato dalle rivelazioni sul ruolo di Wojtyla nello scandalo dei preti pedofili, qualche perplessità resta e dovrebbe far riflettere.
Il caso negativo più clamoroso ripreso da Newsweek per sostenere questo punto di vista è ovviamente quello del sacerdote messicano padre Marcial Maciel Degollado, fondatore del “controverso ordine conservatore” dei Legionari di Cristo. Giovanni Paolo II fu un grande mecenate di Maciel, di cui ammirava la fedeltà a Roma e al papato, e il suo successo nel generare vocazioni sacerdotali tra i giovani cattolici. Eppure, nella metà degli anni Novanta, le inchieste hanno cominciato a far emergere che il volto pubblico di Maciel nascondeva una vita privata profondamente sbagliata. Una denuncia fu presentata a Roma presso l’ufficio guidato dal cardinale Joseph Ratzinger, nella quale si affermava che Maciel aveva abusato sessualmente di un certo numero di ex membri dell’ordine. Tale causa restò dimenticata fino alla fine del 2001, e nessuna azione fu adottata fino alla morte di Giovanni Paolo II. Solo con il nuovo Papa la diga si ruppe.
Agli occhi dei critici, il caso Maciel illustra un modello di negazione e di intralcio alla giustizia in materia di abusi sessuali da parte di Wojtyla. Un modello che, secondo le critiche liberal cui dà voce Newsweek, è stato invertito da Benedetto XVI: ma le responsabilità di Karol Wojtyla resterebbero innegabili. Coloro che optano per dare a Giovanni Paolo II il beneficio del dubbio sostengono che è ingiusto giudicarlo per gli standard odierni.
Inoltre, dicono, quando gli scandali scoppiarono e la colpa di Maciel fu chiara, il Papa era già in punto di morte. Mentre il suo contributo principale alla lotta contro la piaga degli abusi clericali, sostengono, ha ispirato una nuova generazione di sacerdoti consacrati e santi, uomini che hanno preso il dovere di stare “nella persona di Cristo” sul serio. Il Vaticano ha del resto spiegato che dichiarare un santo o un beato, anche se si tratta di un Papa non equivale a ratificare tutte le scelte politiche del suo pontificato. Quando Pio IX venne beatificato nel 2000 proprio da Giovanni Paolo II, per esempio, i funzionari del Vaticano si preoccuparono di dire che il gesto non voleva significare l’approvazione della sua politica ebraica.
I pellegrini e devoti che affolleranno piazza San Pietro il primo maggio saranno senza dubbio grati per la possibilità di recuperare la “magia” di Giovanni Paolo II. Altri, invece, si chiederanno – è sempre opinione di Newsweek – se non fosse questo il caso in cui la leggendaria lentezza del Vaticano nelle decisioni non fosse da confermare.
Pubblicato sul Foglio martedì 26 aprile 2011

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