C’è stata sempre una caratteristica di alcune persone che mi ha dato ogni volta fastidio: erano le «pagelle» stilate dagli avversari, che facevano una loro stima del cattolicesimo mio o di altri o del movimento o associazione di cui si era parte. Per cui si era «buoni» o «cattivi» a seconda degli interessi in gioco. In più, questo atteggiamento portava a distinguere tra «I» cattolici (sempre vituperati) e «tu-che-non-sei-come-gli-altri», che eri per l’occasione il buono di turno.
Ho sempre sostenuto di non dover chiedere il permesso a nessuno per essere quello che sono, e che non mi interessano le graduatorie tra cattolici.
Per me c’è solo un tipo di cattolico: quello che vuole essere fedele, nonostante limiti e – purtroppo, a volte – incoerenze, al Papa e al suo magistero. Del resto è ciò che permette alla Chiesa di continuare ad essere presente nonostante noi. Quindi attraverso di noi.
Gesù poi diceva: «Dai frutti riconoscerete l’albero». E quindi un cattolico lo si riconosce dai frutti, primi tra i quali sono la testimonianza della carità di Cristo (pensiamo alla liturgia di Cristo Re) e la difesa di quei valori «non negoziabili» che il Santo Padre indica come frutto del Vangelo e possibilità di una vita buona. Così, non mi hanno convinto le varie affermazioni secondo cui siamo di fronte a un governo che ha al suo interno tanti cattolici. Quello che chiedo è che ci siano i frutti cattolici nel loro operato. Uno di questi frutti straordinari mi pare la difesa della famiglia fondata sul matrimonio. E la difesa della vita in ogni istante (senza cedere a posizioni tali per cui si possa permettere che un’altra Eluana venga fatta morire, come è accaduto poco tempo fa).
Non finiremo mai di ripetere che la sola autentica difesa dell’uomo sta in quella che si chiama «Dottrina sociale cristiana», che un ebreo credente e praticante come Joseph Weiler riconosce come la risorsa più utile e il contributo più autentico che i cattolici possono dare all’uomo di oggi e alla società.
Riceviamo questa straordinaria testimonianza di un nostro amico sui «cattolici adulti».
Quando l’espressione cattolici adulti fu usata impropriamente per indicare una distanza da certe prese di posizione della Chiesa, io mi definii cattolico infante secondo l’etimologia che mi pare sia balbettante, insomma che fa fatica a parlare. Dissi che io balbettavo come un bambino che aveva pertanto bisogno di stare tenacemente attaccato a sua madre come un’ostrica al suo scoglio. Fu questo l’invito di mio padre, grande uomo di fede capace di impegno religioso e civile nel secondo dopoguerra, indimenticato sindaco di Chioggia per due tornate negli anni della ricostruzione. “E soprattutto siate attaccati alla chiesa come ostriche allo scoglio…” ci disse, e noi ci stiamo provando dentro le circostanze che ci son date e con tutti i nostri limiti. L’altra lezione che mi rende fiducioso come un bambino è la voce di mia madre che mentre c’è l’elevazione mi soffia all’orecchio quella litania che mi rimarrà per tutta la vita: “Mio Signore e Mio Dio!”. E’ l’espressione di un bambino che si china di fronte ad una cosa che non può capire ma che accetta. Io credo che essere adulti significhi proprio accettare queste due lezioni: essere attaccati ad un punto sorgivo ed accettare il Mistero che incombe nella nostra vita…http://www.culturacattolica.it/?id=17&id_n=28976
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