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lunedì 21 novembre 2011

De ritis est disputandum!

Rito bergamasco, esequie negate

Andrea Tornielli Lun Nov 21, 2011 08:43 
A Bergamo, nella Chiesa che ha dato i natali a uno dei Papi più amati degli ultimi secoli, il beato Giovanni XXIII, le disposizioni stabilite dal suo successore felicemente regnante sono considerate un optional. Chi scrive, come già sapete, non è tradizionalista né segue la liturgia secondo l’antico rito. Personalmente m’infastidisce un po’ anche il sentir definire la messa preconciliare «messa di sempre», come se quella antica fosse una costruzione cristallizzata e mai modificata nel tempo e come se quella che seguo io, insieme alla stragrande maggioranza dei fedeli cattolici, fosse invece un’assoluta e astrusa novità «inventata a tavolino».
Ma quanto è capitato ad Alessandro Gnocchi, che si è visto negare in parrocchia la messa antica per le esequie del padre, rappresenta un fatto grave, che dovrebbe far pensare. Qui non c’entra il tradizionalismo, non c’entrano le beghe sul messale. C’entra l’obbedienza a una legge promulgata dal Papa che ha valore universale e non è (meglio, non dovrebbe) essere sottoposta a interpretazioni interessate che ne stravolgano il contenuto.

I fatti sono stati raccontati da Gnocchi sul quotidiano Il Foglio la scorsa settimana. Subito dopo la morte del padre, Vittorino, la famiglia ha chiesto che i funerali venissero celebrati nella parrocchia di Sant’Andrea, a Villa d’Adda, che l’uomo aveva frequentato e dove aveva lavorato. Vale la pena di sottolineare come il motu proprio Summorum Pontificum, all’articolo 5, paragrafo 3, afferma: «Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi». Il parroco, don Diego, ha confessato ai familiari del defunto di non conoscere il documento papale, né l’istruzione applicativa di più recente pubblicazione, che in questi casi invita proprio il parroco a lasciarsi «guidare da zelo pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza». Si tratta pur sempre delle ultime volontà di una persona appena scomparsa, che chiede le esequie secondo il rito romano «straordinario»¸ quel rito che Benedetto XVI ha liberalizzato. Il parroco, che all’inizio appariva favorevole, consulta la curia bergamasca, e oppone alla famiglia Gnocchi un «no».
Spiega don Diego: «Se ci fosse stata la richiesta, per esempio, di un rito bizantino, allora, in virtù dell’ecumenismo, si sarebbe fatto. Perché, in quel caso, io con il mio rito incontro te con il tuo rito e ci arricchiamo a vicenda. Ma voi chiedete un rito della Chiesa cattolica e siccome non concorda con lo stile celebrativo della comunità si può dire di no». Motivazione a dir poco curiosa. Ed è anche comprensibile che la famiglia Gnocchi abbia rifiutato la proposta di mediazione della curia, quella di avere la messa antica non nella parrocchia dove è sempre vissuto, ma in una chiesa della città lontana venti chilometri, dove è stata concessa la celebrazione antica. I funerali si sono svolti nella parrocchia che il padre aveva sempre frequentato, con il nuovo rito.
È ancora il parroco a spiegare il perché del diniego: «Se la Messa viene concessa qui, poi bisogna concederla anche dalle altre parti». Tradotto: «Se applichiamo la legge universale della Chiesa stabilita dal Pontefice nella nostra parrocchia, poi questo potrebbe essere richiesto anche da altre parti». Cioè anche ad altri parroci potrebbe essere richiesto di obbedire al Papa. Non sia mai. Meglio un bel diniego, così si evitano i problemi. E poi, in fondo, che volete: il buon parroco – che mostra di conoscere il rito bizantino – non ha invece mai sentito parlare del motu proprio di Benedetto XVI. Capita.
Ricordo un episodio del genere accaduto nell’estate di nove anni fa in quel di Torino. Allora si trattava di uno stimato benefattore della Chiesa, l’ingegner Franco Manassero, scomparso prematuramente dopo una grave malattia. Anche lui affezionato all’antico rito, aveva supplicato la curia torinese – allora guidata dal cardinale Severino Poletto – di concedergli le esequie secondo il vecchio rito. La curia oppose il suo fermo diniego. Ma allora non c’era il motu proprio, c’era soltanto l’istruzione di Giovanni Paolo II, che invitava (invano) i vescovi ad essere magnanimi. In campo liturgico, la magnanimità episcopale non è prevista, nemmeno di fronte alle ultime volontà di un defunto. Così la curia di Torino disse di no. Ricordo ancora la reazione dispiaciuta che ebbe un certo cardinale Joseph Ratzinger, quando, durante un incontro avvenuto di lì a poco, ebbi modo di accennare all’episodio che egli peraltro già conosceva. Divenuto Papa, Ratzinger ha voluto venire incontro ai fedeli rimasti legati al rito preconciliare, e ha liberalizzato la vecchia messa.
Sono convinto che acconsentire alle richieste, essere magnanimi, concedere queste celebrazioni quando vengono richieste, non percepire i tradizionalisti come dei marziani mentre si aprono le chiese ai fratelli separati ortodossi o protestanti e si cerca il dialogo con tutti, sia una questione di buon senso prima che di obbedienza alla legge della Chiesa. Sono profondamente convinto allo stesso tempo, che la messa preconciliare necessitasse di una profonda riforma e nonostante gli abusi liturgici da evitare, rimango dell’idea che non si possa e non si debba tornare indietro, e che la via giusta sia quella di cercare di celebrare sempre meglio la messa Novus Ordo. Ma se il Papa ha liberalizzato l’uso del messale precedente, anche per celebrazioni in particolari ricorrenze, com’è quella delle esequie, davvero non comprendo perché si debbano e si possano negare. Non ero a conoscenza, infatti, che tra i riti latini vi fosse anche un rito bergamasco distinto da quello romano.

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