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lunedì 21 novembre 2011

Dessert

Témoignage chrétien alla frutta, è la crisi del progressisimo cattolico

Témoignage chrétien
Che il cattolicesimo tradizionalista francese sia vivo e vegeto lo dicono tante cose. Tra queste le recenti proteste avanzate da 1.500 “integralisti” – così li definiscono i principali giornali di Francia – nei confronti dello spettacolo teatrale “Sul concetto di volto nel figlio di Dio” di Romeo Castellucci giudicato “cristianofobico e blasfemo”.
E il cattolicesimo del dissenso? “Non pervenuto”, spiega il Monde in un reportage dedicato al prestigioso settimanale cattolico progressista Témoignage chrétien nel quale, riportando la notizia che dopo settant’anni di glorioso impegno la rivista soffre pesanti difficoltà economiche, mette in luce una verità amara: mancano i lettori perché manca un mondo che al cattolicesimo di sinistra si riferisce.
Per sopravvivere c’è chi ha avanzato una proposta choc: togliere l’aggettivo “chrétien” dalla testata, al fine di stampare un prodotto che si rivolga il più possibile a un pubblico vasto.
L’aggettivo “chrétien” è “magnifico”, dicono i responsabili del settimanale, ma talvolta “pesante da portare”. Ma Jérôme Anciberro, 38 anni, redattore capo, e Philippe Clanché, 43 anni, che nella rivista è lo specialista delle religioni, per niente al mondo cambierebbero il nome del loro giornale: “Il cristianesimo è il nostro punto di riferimento”, assicurano.
Vittima annunciata dei venti contrari nella chiesa e nella stampa generalista e militante, il settimanale cristiano festeggia i suoi settant’anni nel momento più difficile. Dal mese di giugno la rivista non è più in vendita nelle edicole. Solo circa settemila abbonati – dieci volte meno che negli anni 50 e 60 – mantengono ogni settimana uno degli ultimi monumenti della stampa francese. Un appello “alle offerte detassate” è stato lanciato in settembre. “Il giornale ha bisogno di 150 mila euro per continuare e di altri 500 mila per svilupparsi”, spiega Anciberro. Ma già due anni fa Témoignage chrétien era in cattive condizioni e solo un appello disperato ai lettori gli aveva permesso di non soccombere.
Nella sua sede parigina, sobriamente indicata da una targa dorata avvitata alla porta di un appartamento borghese, la squadra della rivista, ridotta della metà in due anni, ci crede ancora: “Con 10 mila abbonati, si può ricominciare a investire”, assicura il redattore capo. Ma per la sociologa delle religioni Danièle Hervieu-Léger, la verità è un’altra, e cioè che “la messa è finita”. Dice: “Témoignage chrétien è la punta avanzata di una corrente molto datata, che è a fine corsa”. I lettori, “cristiani di sinistra” politicizzati o militanti, sono invecchiati con il giornale. “Il cristianesimo progressista che hanno incarnato è diventato minoritario nel corso del pontificato di Giovanni Paolo II”, riconoscono i responsabili del giornale, che fanno notare l’affermazione conservatrice della chiesa in materia di morale e la mancata evoluzione in seno all’istituzione.
Mentre il giornale progressista va sempre peggio, il settimanale conservatore Famille chrétienne ha trovato un suo pubblico. “I lettori di Témoignage chrétien appartengono a quella generazione che ha conosciuto una serie di ‘dispiaceri’ sul piano politico e religioso: caduta dell’utopia comunista, disillusione terzomondista, delusione dopo le promesse non mantenute del Concilio, l’esperienza del socialisme gestionnaire, dice Danièle Hervieu-Léger.
La discesa è di fatto iniziata negli anni Sessanta. “La guerra d’Algeria è stata un momento di spaccatura”, assicura Anciberro. Témoignage chrétien ha preso posizione per l’indipendenza, la cosa ha provocato dei conflitti nelle chiese, dove il giornale allora era ampiamente distribuito”. Anche la decolonizzazione, la causa palestinese, il sostegno ai preti operai diventano elementi caratterizzanti del giornale, dove i maggiori teologi progressisti del Concilio hanno la possibilità di esprimersi. Ma a livello religioso, fin dal 1968 e con la pubblicazione da parte del Vaticano dell’enciclica Humanae Vitae, che proibisce la contraccezione, i cattolici progressisti cominciano a prendere le distanze dall’istituzione.
“Queste persone deluse non lasciano necessariamente la chiesa ma, se vi restano, si sentono a disagio”, riassume Clanché. Così, non hanno trasmesso ai loro figli e nipoti le loro pratiche religiose, la loro fede. “E non hanno trasmesso loro neanche l’abbonamento”, si rammarica il giornalista.
In questo contesto, la rivista, che non si definisce “giornale di chiesa” – “qui non si parla di devozioni o di oggettistica religiosa” –, si sforza di rendere “udibile il messaggio della chiesa diventato inudibile”. Dice ancora Clanché: “Vogliamo far capire alla gente che essere cristiani non significa necessariamente essere papisti, reazionari e bloccati sulla sessualità”.
Oggi un dato è evidente: il mondo cattolico, quantitativamente ristretto, è sempre meno interpretato da una differenza sinistra-destra. “Le differenze ci sono maggiormente tra coloro che si interessano alla crescita, all’ambiente, ai problemi antropologici, e gli altri. Si possono firmare dei testi con Christine Boutin – candidata del Partito cristiano-democratico alle presidenziali – senza mettere in discussione la nostra eredità storica!”. E ancora: “Più in generale, si nota nella chiesa una volontà di far sì che parlino tra loro persone molto diverse”, nota Clanché. “Per alcuni, il fatto di sentirsi in minoranza fa sì che ci si stringa gli uni agli altri in una società che si suppone ostile. Per noi, si tratta di dibattere; e pensiamo che tra cattolici possiamo litigare in maniera intelligente”. La stampa cattolica segue questa evoluzione. Ai due poli, quello conservatore, rappresentato dieci anni fa da Bayard Presse (la Croix, il Pélerin) e quello progressista, rappresentato da La Vie (pubblicazione del gruppo Monde), si sostituisce un campo dove le opinioni sono più mescolate.
Del resto, i nuovi lettori rivendicati “non sono necessariamente impegnati in politica o nella chiesa istituzionale ma cercano uno sguardo cristiano su ciò che nel mondo non va per il verso giusto”, dice Anciberro. “Riceviamo anche qualche domanda da studenti universitari”, conferma Clanché. E’ su questo nuovo pubblico, in particolare altermondialista, che scommettono i responsabili del giornale per il suo rilancio: “Ci piacerebbe convincere coloro che osano ancora pensare che un cambiamento della società è possibile”.
A sostegno di questa convinzione, il giornale ha scelto di festeggiare i suoi settant’anni, dopodomani, organizzando a Parigi le prime Assises nationales de la diversité culturelle, “per rispondere a tutti coloro che decretano il fallimento del multiculturalismo”.
Pubblicato sul Foglio giovedì 17 novembre 2011

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