Cronaca di una svolta cruciale |
Articolo di Giovanni Vinciguerra, tratto dal sito di Identità Europea, dicembre 2003.
Premessa
L'articolo che state per leggere racconta la svolta americanista diComunione e Liberazione. È particolarmente interessante perché proviene da persone che in passato sono state vicine all'organizzazione di Don Giussani. Personalmente, non sono d'accordo con l'eurocentrismo dell'autore, né con le sue preoccupazioni storiografiche, ma questo non è importante: non è necessario condividere tutto ciò che dice per capire che si tratta di riflessioni davvero importanti.
Le prime volte che ho incontrato Comunione e Liberazione, negli anni Settanta, mi sembrava un movimento certamente clericale e quindi lontano dalla mia esperienza e sensibilità; mi turbava l'aggressivo proselitismo e i discorsi di Don Giussani mi sembravano poi fabbriche di purissimo fumo. Però ammiravo l'entusiasmo sincero dei suoi seguaci, e mi rendevo conto che erano capaci di parlare con quella che potremmo chiamare l'anima profonda dell'Italia, mettendo insieme Don Camillo e Peppone. A volte con lucide intuizioni sulla malvagità del capitalismo trionfante.
CL ha fatto una lunga strada da allora. Mi chiedo se ciò sia dovuto all'accumulazione di capitali, oppure alle scelte del fondatore di Comunione e Liberazione; o al fatto che tutte le terze vie per uscire dal capitalismo sembrano destinate a finire nel grande alveo.
In ogni caso, vale un principio fondamentale: ciò che conta non è da dove viene un movimento, e nemmeno quale sia il suo linguaggio, ma la direzione che prende. Oggi Comunione e Liberazione, e il suo vasto contorno, sta prendendo una direzione davvero pessima: la direzione deicristianisti, di coloro che sentono più vicino un predicatore evangelico di Milwaukee che un ortodosso di Betlemme, solo perché occidentale.
Una strada aperta dalla teologia del satanista Baget Bozzo e che culmina in quello che abbiamo chiamato il Manifesto dei cristianisti che trasforma ogni ribellione contro il dominio in peccato di invidia.
Credo che sia importante cogliere questi fenomeni, che sono molto più importanti del passeggero sostegno di questi ambienti all'ala di destra del nostro regime poloulivista, come lo chiama Costanzo Preve. L'autore dell'articolo correttamente segnala come la Compagnia delle Opere si stia già preparando a fare affari con D'Alema. Mentre Comunione e Liberazione, come ci spiega l'autore, auspica di svolgere il ruolo di evangelizzatori del nuovo impero romano, quello degli USA.
Si veda anche questo articolo sull'idea di don Giussani, secondo cui la fiaccola di Dio dovrebbe passare da Roma agli Stati Uniti, inaugurando un messianico "futuro infinitamente aperto al miglioramento umano".
Miguel Martínez
Il contenuto del Meeting è costantemente cambiato nel corso degli anni, riflettendo gli spostamenti dei promotori, e gli ultimi accostamenti, sia culturali che politici, puzzano di pesce. I promotori fanno acrobazie veramente ammirevoli per spiegare che in realtà la Manifestazione riflette una preoccupazione innanzitutto educativa con grandi ed obbligati riferimenti al “senso religioso” giussaniano, ma sempre più si constata che c’è dell’altro, in quantità sempre maggiore, e questo altro francamente ci piace sempre di meno
Il Meeting per l’Amicizia fra i Popoli di Rimini, che da vent’anni e passa si raduna nell’agosto canicolare della Riviera, in Italia è come la Mamma: non se ne può parlar che bene. Grande prova di forza organizzativa annuale di (una volta) Comunione e Liberazione - (a suo tempo) Movimento Popolare - (ed ora) Compagnia delle Opere, tradizionale vetrina d’estate per tutti i Governi e le opposizioni che in Italia si sono succedute negli ultimi decenni, da quando c’è il governo Berlusconi bis è anche un catalogo ragionato degli Enti locali di centro-destra italiani, che con efficacia prussiana vengono tassati per finanziare la manifestazione in cambio di una fila interminabile di stands tristissimi che diffondono montagne di dèpliant turistici ad un pubblico che è lì per tutt’altro. Ma si tratta di una manifestazione che costa milioni di Euro, e qualcuno deve pure pagarla.
Bruciato il dovuto grano di incenso alle dimensioni e all’efficacia della macchina, rimane da guardare alla sua direzione e al suo contenuto. E qui oseremo dire qualcosa di politicamente scorrettissimo, soprattutto all’interno di una maggioranza di centro-destra dove si deve andare d’amore e d’accordo sennò il capofila si incazza: il contenuto del Meeting è costantemente cambiato nel corso degli anni, riflettendo gli spostamenti dei promotori, e gli ultimi accostamenti, sia culturali che politici, puzzano di pesce. I promotori fanno acrobazie veramente ammirevoli per spiegare che in realtà la Manifestazione riflette una preoccupazione innanzitutto educativa con grandi ed obbligati riferimenti al “senso religioso” giussaniano, ma sempre più si constata che c’è dell’altro, in quantità sempre maggiore, e questo altro francamente ci piace sempre di meno.
Il primo dato che ci ha colpito scorrendo il Programma del Meeting 2003 è la sproporzione della presenza della Compagnia delle Opere, dilagante oltre ogni limite: nata come aggregazione delle iniziative economiche promosse dall’ambiente dell’ex-Movimento Popolare è oggi la vera padrona del Meeting. Ha gestito direttamente (a proprio nome) tre cicli di incontri che hanno occupato le sale e gli orari migliori della settimana, ed ha svolto un ruolo discreto ma ferreo nel scegliere e pilotare tutte le altre iniziative interne alla settimana del Meeting: per cui il Meeting gode della curiosa caratteristica di essere fatto in Romagna ma pensato e gestito dalla Lombardia, e la CDO ha un peso enorme – misurato in Euro - nel pilotare le scelte milanesi.
Questo peso si fa sentire soprattutto nella selezione dei contenuti culturali del Meeting, così come li si può percepire estrapolando dal Programma della settimana le iniziative culturali non concesse graziosamente a terzi in spazi collaterali e periferici, e che impegnano direttamente il nome della manifestazione. Nel corso degli ultimi due anni, sotto il peso di unapesantissima lobby economico-culturale, sono stati progressivamente emarginati tutti i contenuti “scomodi” per il potere: svuotato l’interesse per una rilettura critica della storia (quella che anni fa era definita “l’avventura del popolo cristiano”), cancellate dall’alto le Mostre che possano far a qualsiasi titolo discutere riducendole a compitini senza infamia e senza lode di volonterose comunità di studenti universitari interni al movimento, ridotti i problemi della scuola al finanziamento alle scuole private (e pertanto cancellando, in ossequio alla linea del ministro Letizia Moratti, ogni riferimento al problema dei libri di testi faziosi come se non fosse mai esistito), quest’anno si è giunti all’apogeo dell’assenza dal Meeting persino dei tradizionali momenti di incontro e formazione professionale per i docenti delle scuole promossi da testate interne al movimento come Lineatempo, rifiutando nel contempo di dar spazio alla presentazione pubblica delle novità della Collana di sussidi per l’insegnamento della storia L’Altrotesto, pensata dalle Edizioni Il Cerchio di Rimini in collaborazione con Itaca, storica editrice ciellina. Persino figure storiche del movimento come don Luigi Negri sono state snobbate e rifilate in qualche spazio di periferia. Una pulizia ideologica veramente impressionante.
Un’Europa da non farsi. Il risultato di questo sfoltimento risulta evidente in alcune operazioni politiche. La prima riguarda l’Europa unita e le sue radici culturali e spirituali, tema essenziale in tutto il dibattito politico internazionale da almeno due anni. Gli organizzatori del Meeting hanno fatto una scelta precisa, evitando accuratamente di far parlare su questo tema sia gli esponenti politici che a nome del governo italiano hanno lavorato nella Convenzione europea (Gianfranco Fini è stato presente a titolo di cortese interlocutore di Massimo d’Alema, uno tra i tanti DS che saranno i prossimi partner in affari della CdO), sia i Ministri direttamente competenti in materia (il Ministro per le Politiche Comunitarie, Rocco Buttiglione, dato per presente in due appuntamenti minori non organizzati a nome del Meeting, ha dato forfait), sia gli studiosi italiani che hanno affrontato l’argomento a livello internazionale, siano essi cattolici o meno (ha brillato soprattutto l’assenza, che dura da alcuni anni, di Franco Cardini, scomunicato per le sue prese di posizione politicamente scorrette attorno alla guerra in Iraq, e nel versante di una sinistra capace di identità e non solo di gestire affari un Massimo Cacciari). Persino i parlamentari europei provenienti dal Movimento più attivi su questo fronte, come il milanese Mario Mauro e il riminese Giorgio Lisi (entrambi di FI), sono stati deviati a gestire incontri di seconda fila, spesso falciati da importanti e diplomatiche assenze. In questa desolazione, l’unico appuntamento sul tema, pompato attraverso una serie di anticipazioni, conferenze stampa ed iniziative editoriali ad hoc ha partorito un bizzarro topolino dalla coda avvelenata.
Annunciato trionfalmente come il grande analista di tutti i problemi ancora irrisolti nel cammino dell’integrazione europea, all’inizio del Meeting è stato calato l’asso del prof. Joseph H.H. Weiler, costituzionalista titolare di una delle circa 500 Cattedre Jean Monnet, quella di New York. Pertanto, la discussione attorno all’integrazione europea e alle radici cristiane dell’Europa è stata appaltata ad uno statunitense, come se il Movimento non conoscesse alcuno in questo povero continente capace di dire qualcosa di europeo. Veramente singolari e preoccupanti poi le tesi sostenute da Weiler:
a) In maniera stupefacente ha iniziato accusando il mondo cristiano europeo di non aver saputo scrivere, negli ultimi venticinque anni, «una sola opera di rilievo che esplori in profondità l’eredità cristiana e il significato cristiano dell’integrazione europea» (Intervista su Tracce, mensile di Comunione e Liberazione n°7/2003), lamentando anche «la voce assente del pensiero cristiano nel discorso specifico dell’integrazione europea». Weiler quindi ignora o non considera “di rilievo” alcune decine di iniziative e di studi ben note al lettore europeo non troppo americanizzato [vedi box].
b) Ha fatto iniziare la storia dell’integrazione europea dal secondo dopoguerra, semplicemente eliminando tutto il lavoro fatto dopo il 1919 fino al 1940 dai pionieri dell’integrazione europea, come R. Coudenhove-Kalergi, e semplicemente tenendo in non cale il retroterra storico, culturale e spirituale che dai tempi di Carlomagno ad oggi ha dato sostanza all’idea di unità dell’Europa, in ciò degno concittadino dei gestori di quell’Istituto Universitario Europeo di Firenze in cui la storia del continente viene insegnata… a partire dal 1492. Questo gli ha consentito di scrivere una fesseria come quella che segue: «L’Europa, a quanto pare, non rientra in nessuna forma significativa nell’angolo visuale cristiano» (Un’Europa cristiana, saggio esplorativo, p. 67), e anche quest’altra: «la costruzione europea fu concepita come parte di un imperativo morale rispetto all’eredità della Seconda Guerra Mondiale»: per Weiler anche l’unità europea è frutto del piano Marshall.
c) Lo scopo di tutto ciò è apertamente la demolizione preventiva delle nascenti istituzioni europee, a partire dal Parlamento europeo di cui si nega la rappresentatività «del processo comunitario», negando anche la ferrea evidenza dell’esistenza di «partiti europei transnazionali» come ad esempio il PPE o il PSE, per giungere al progetto di Costituzione europea di cui si sostiene tutto il male possibile, ad esempio che «Il principio della rappresentanza proporzionale risulta compromesso sia nel Consiglio che nel Parlamento Europeo» a causa della voce data, in ossequio al principio di sussidiarietà, «ai cittadini di piccoli stati, come il Lussemburgo». E quindi dagli al piccolo Stato. La costruzione dell’Europa unita è quindi liquidata come di «dubbia democraticità», e all’insegna di un nazionalismo messianico di cui non si udiva traccia – qui da noi – da cinquant’anni abbiamo da lui imparato che «Nazione e Stato sono strumenti particolarmente efficaci nel rispondere al bisogno esistenziale di senso e di scopo che la modernità e la post-modernità sembrano negare», come se il dato caratteristico della modernità dopo il 1789 non sia stato esattamente l’onnipotenza ideologica dello Stato e la pretesa di ogni nazionalità di ergersi a Stato messianico, inaugurando un secolo – dal 1848 al 1945 - di bagni di sangue che hanno sconvolto il continente europeo. Tutto serve a ripetere in maniera assillante un mantra troppo chiaramente made in USA: «Il fallimento dell’Europa è colossale». Il bersaglio di questa singolare offensiva politica, ben poco intonata alle labbra di un costituzionalista statunitense poco noto, è uno solo: la prossima firma della Costituzione Europea, dopo la Conferenza Intergovernativa che coronerà il semestre di presidenza italiana dell’UE. La tesi è apparentemente scaltra: siccome il testo della futura Costituzione europea approvato dalla Convenzione non contiene riferimenti all’identità cristiana dell’Europa, non va firmata. Si demolisca quel poco che di buono è stato fatto in Europa: ovviamente in nome del cristianesimo e dell’Europa stessa.
Secondo copione reggono poi il bordone alle capriole di Weiler le uscite diGiorgio Vittadini, leader carismatico della CdO, ora Presidente di una Fondazione che diverrà il braccio politico del mondo ciellino. Ovviamente quello che si può perdonare ad uno studioso americano non cristiano – il non conoscere quello che il mondo cattolico italiano ed europeo ha detto e scritto sulle radici cristiane dell’Europa – è imperdonabile per Vittadini, il quale con scarso senso del ridicolo ripete in un’intervista all’Eco di Bergamola fanfaluca weileriana della «voce assente del pensiero cristiano nel discorso specifico dell’integrazione europea», facendo finta di non aver mai sentito un Franco Cardini o un Joseph Ratzinger, terminando col rilanciare in tono barricadiero la proposta a Berlusconi di non firmare il testo della Costituzione europea, ottenendo in cambio un silenzio più imbarazzato che diplomatico. Peccato che Robi Ronza, che di Europa e di cultura se ne intende, sia costretto dal suo ruolo di portavoce a rilanciare lo stesso aut aut. Dubitiamo del suo entusiasmo.
Siamo tutti americani. Cosa ci sia dietro questo improvviso e singolare impeto barricadiero si comprende annotando come oramai il Meeting attenda che qualcuno arrivi dagli Stati Uniti anche per scrivergli i discorsi di don Giussani. Se il Meeting 2002 si era chiuso con la discesa in campo della “Banda del Bozzo”, coalizzata attorno alla rivista Tempi, tutta intenta a predicare l’identità assoluta fra America, Occidente, Europa e Cristianesimo e più recentemente una nuova crociata in favore degli OGM(con risultati esilaranti, quale quello di definire un paese strutturalmente anticattolico e strategicamente antieuropeo come gli Stati Uniti deifondamentalismi protestanti come una, anzi la “nuova Cristianità”), il 2003 ha visto la conversione all’americanismo del grande capo Vittadini, che ha chiuso il Meeting gridando “Siamo tutti americani” in nome di «quell’anelito alla libertà che è nel punto 1 della Costituzione americana». In realtà non la CdO, ma Comunione e Liberazione ha deciso di espandersi negli Stati Uniti, e per farsi accettare da quelle parti è necessario bruciare il grano di incenso agli idola tribus del luogo; per cui è apparso loro opportuno esagerare, bruciando una raffica di grani d’incenso, ché non si sa mai. La speranza espressa ufficialmente dai vertici di CL – e condivisa da svariati movimenti cattolici filo-americani, come l’Opus Dei - è quella di evangelizzare “il nuovo Impero romano”, ossia gli USA. Facendo finta di ignorare che questo Impero non è stato fatto da pagani “naturalmente religiosi” e quindi alla ricerca della pienezza del divino, ma dalla schiuma delle più scatenate sètte protestanti che coscientemente ha bollato e bolla come “Anticristo” tutto ciò che ancor oggi il Ministro per la Difesa USA riunisce nel termine “Vecchia Europa”: quella Roma onde Cristo è Romano. Intanto prendiamo atto che, in attesa che gli Stati Uniti si convertano al cattolicesimo – come auspicato da don Giussani -, Comunione e Liberazione si è convertita in anticipo all’americanismo, fino all’assurdo di un teologo “cattolico” americano buon amico della “Banda del Bozzo”, don Albacete, che ha avuto persino il coraggio di sostenere che il protestantesimo è uno storico “baluardo contro il nichilismo”. Parole in Libertà: quella, probabilmente, dell’Art 1 della Costituzione americana.
Box
Quello che gli europei non hanno scritto sulle radici dell’Europa.Partiamo da alcuni storici italiani: Franco Cardini, medievista di fama internazionale, da anni affronta il tema delle radici cristiane dell’Europa: si parte da L’Invenzione dell’Occidente, Solfanelli 1995, va ricordato il celebre Carlo Magno. Un padre della Patria europea, Rusconi 1998, e poi Europa anno Mille: le radici dell’Occidente, De Agostini, ed ultimamente Europa: le radici cristiane, Il Cerchio 2003. Di Marta Sordi, prestigiosa antichista dell’Università Cattolica di Milano rammentiamo solamente il testo da lei curato, L'Europa nel mondo antico, Vita e Pensiero. Curato da A. Krali vi è poi il testo L'identità culturale europea tra germanesimo e latinità, edita dalla Casa editrice Jaca Book, storicamente vicina a CL, nel 1998. Della stessa casa editrice segnaliamo Il Mediterraneo e la formazione dei popoli europei, di M. Guidetti, 2000. A livello antropologico è affascinante G. Charuty, Antropologia dell'Europa cristiana, Liguori 1995. I primi passi concreti del processo di integrazione europea dopo il 1945 sono approfonditi in G. Audisio-A. Chiara, I fondatori dell'Europa unita: Robert Schuman, Konrad Adenauer, Alcide de Gasperi, Effatà 1999.
La Fondazione Paolo VI di Gazzada (VA), da più di vent’anni celebra annualmente un importante Convegno internazionale sulla storia religiosa dell’Europa, dedicato a un diverso paese del continente, dall’Armenia all’Irlanda e dagli Stati baltici al Portogallo. I bellissimi volumi che ne radunano gli Atti sono editi dalla Casa di Matriona (consigliamo quello sull’Irlanda). Dallo stesso staff proviene i volumi coordinati da L. Vaccaro Europa cristiana. Progetto, Morcelliana 1979 e Quale federalismo per quale Europa. Il contributo della tradizione cristiana, Morcelliana 1996.
Lo studio delle radici cristiane dell’Europa procede anche a partire dal ruolo di alcune figure-chiave della storia del continente dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente; ad es. vedi I. Biffi, Anselmo d'Aosta figura europea, Jaca Book; W.P. Romans, Bonifacio, costruttore dell’Europa, SEI; V. Paronetto, Gregorio Magno. Un maestro alle origini cristiane d'Europa, Studium.
Il lavoro di Joseph Ratzinger andrebbe almeno tenuto presente, a partire da Svolta per l’Europa? Chiesa e modernità nell'Europa dei rivolgimenti, Paoline 1992, e per rimanere in Vaticano si rammenti anche il saggio di Mons. Poul Poupard L'identità culturale dell'Europa, trad.it. Piemme 1994, mentre diMons. Giacomo Biffi ricordiamo L'Europa unita: un'incognita e una speranza, Mimep 1998. Per chi non l’abbia ancora letta, aggiornatissima è l’Ecclesia in Europa di Giovanni Paolo II.
Poi alcune opere di giuristi: l’utile Federalismo e regionalismo in Europa di A. D’Atena, Giuffrè 1994, e alcune opere curate dall’instancabile Danilo Castellano dell’Università di Udine: Il contributo della cultura all'unità europea, ESI 1990, e Rivoluzione francese e coscienza europea oggi: un bilancio, ESI 1991. Utile è anche il testo curato da M. Napoli, Principio di sussidiarietà, Europa, Stato sociale, Vita e Pensiero 2003. Del domenicano p. Raimondo Spiazzi va ricordato Dalle Nazioni alle Regioni. Solidarietà e sussidiarietà per la nuova Europa, ESD 1995.
E’ poi comprensibile che sfuggano all’attenzione di un lontano professore statunitense opere importanti per il pensiero tradizionale come Il tempio del Cristianesimo di Attilio Mordini, Settecolori 1979, e, sul versante non cattolico, l’antologia di Julius Evola Europa una. Forme e presupposti, Fondazione Evola, 1999 e Una cultura per l'Europa di A. Romualdi, Settimo Sigillo 1986. Più strano che nessun interesse riscuotano opere filosofiche come L'eredità dell'Europa di H.G. Gadamer, Einaudi 1991, oppure il volume curato da A. Dentone Michele Federico Sciacca: Europa o "occidentalismo"?, Unicopli 1992.
Infine, persino un micro-stato come San Marino da’ vita da 8 anni ad un’Università estiva con Docenti internazionali dedicata integralmente all’Integrazione europea ed alle radici spirituali del continente, organizzata da Paneuropa San Marino e da Identità Europea. Gli Atti dei Corsi sono editi da Il Cerchio, da L'Europa di fronte all'occidente del 1997 a Educare all’Europa. Come si diventa europei del 2003.
Ma passiamo a titolo d’esempio ad un’altra lingua europea, il tedesco. Per limitarci al frutto del lavoro della più antica Associazione europeista cristiana, l’Unione Paneuropea Internazionale attualmente presieduta da SAIR Otto von Habsburg, citiamo il suo saggio più recente Die Paneuropaische Idee, Amaltbea ed.; da ricordare è H.A Lucker, Robert Schumann und die Einigung Europas, Verlag Bouvier 2002; sempre interessante è K. Von Habsburg (a c.), Europa Burger Nah, Wien 1998. Di Otto Von Habsburg esiste anche una storica antologia tradotta in italiano: Europa Imperiale. Storia e prospettive di un ordine soprannazionale, ECIG 1990.
Dalla Francia ricordiamo il lavoro di Jacques Le Goff, L'Europa medievale e il mondo moderno, trad. it. Laterza 1995, e Il Medioevo. Alle origini dell'identità europea, trad. it. Laterza 1999; un altro storico francese, R. Braque, ha scritto l’interessante Il futuro dell'Occidente. Nel modello romano la salvezza dell'Europa, trad. it. Rusconi 1998.
In Svizzera, è indispensabile ricordare i Rencontres Coudenhove-Kalergi promossi da Marco Pons e i loro preziosi volumi di Atti.
Dalla Russia, quantomeno il saggio dell’ortodosso S. Averincev, Cose attuali, cose eterne. La Russia e la cultura europea, trad.it. Casa di Matriona.
Infine, ricordiamo un testo di un autore di sinistra, che ci ricorda molte verità: Romolo Gobbi, America contro Europa. L'antieuropeismo degli americani dalle origini ai giorni nostri, M&B 2003.
Insomma, alla fine un vuoto desolante c’è sul serio: quello della preparazione culturale di alcune università statunitensi. Ma anche questa non è una novità.
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