Ci sono parole che non si vorrebbero mai sentire. Non ho elementi per esprimere un giudizio fondato, accurato e completo sull’intera vicenda del San Raffaele e sul suo fondatore, don Luigi Verzè. Ma di certo il quadro che sta emergendo è a dir poco sconcertante.
Come sapete la Santa Sede, per volere del cardinale Tarcisio Bertone, sta intervenendo nel tentativo di salvare l’ospedale – che è un centro di eccellenza – dal fallimento. In tanti, dentro e fuori il Vaticano, si sono chiesti perché la Santa Sede si debba impegnare in quest’operazione, per acquisire un ospedale italiano con un consistente esborso finanziario. Mi risulta che tra i cardinali che hanno espresso dubbi sull’acquisizione vi siano il presidente della Cei Bagnasco e l’arcivescovo di Milano Scola. Lo stesso Bertone, viste le generali riserve espresse anche al Papa dai cardinali, si sarebbe impegnato a rendere temporaneo l’impegno economico vaticano e a fare entrare nuovi soci entro sei mesi. La notizia di questi giorni, riguardante la possibilità per altre cordate di fare nuove offerte, rappresenta un’ottima via d’uscita per la Santa Sede. Vedremo che cosa succederà a fine gennaio, quando i creditori del San Raffaele dovranno esprimersi.
Dalle inchieste e dalle intercettazioni emerge la descrizione di una realtà ogni giorno più sconvolgente: spese senza controllo per inseguire manie di grandezza, intimidazioni di stampo mafioso, strani giri di denaro contante, il sospetto di mazzette ai politici. Rimane un mistero il suicidio di Mario Cal, il braccio destro di don Verzè. E’ vero, bisogna aspettare che la magistratura faccia il suo mestiere prima di formulare un giudizio. Ma ciò che si sa è già sufficiente per dire che il fondatore del San Raffaele in molti casi si è mosso quantomeno da manager spericolato, non da sacerdote.
È positivo che abbia voluto assumersi tutta la responsabilità di quanto accaduto. Quello che ho trovato del tutto sconveniente sono le parole della lettera nelle quali si paragona a Gesù. «Ora so cosa significa essere come Cristo tempestato da insulti, sulla croce. Fa parte del mio programma sacerdotale». Mi sarei aspettato, se proprio bisognava tirare in ballo Gesù, parole con una richiesta di perdono. Non nego ovviamente che l’anzianissimo don Verzé stia attraversando un periodo di tribolazione. Mi chiedo però se non sia un po’ azzardato il paragone con l’Agnello innocente condotto al macello sul Golgota. E mi chiedo anche se il suo «programma sacerdotale» contemplasse anche tutto ciò che leggiamo ormai quotidianamente sui giornali, che se anche fosse vero per un dieci per cento, sarebbe comunque troppo.
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