ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 7 gennaio 2012

De corona dolioque (il cerchiobottismo)

L'OSSERVATORE ROMANO

Vaticano

Città del Vaticano, 7 gennaio 2012.

E Paolo VI svelò il mistero
del capitolo mancante

Nel corso dell’udienza generale dell’8 marzo 1967, Paolo VI si soffermò a illustrare — in preparazione all’anno speciale che sarebbe stato aperto il successivo 29 giugno, in occasione del centenario del martirio dei santi Pietro e Paolo — i richiami alla fede contenuti nei documenti del concilio Vaticano II. Riportiamo integralmente il suo discorso così come venne pubblicato su «L’Osservatore Romano» del 9 marzo.
Diletti Figli e Figlie! L’Udienza alla quale voi partecipate dovrebbe riuscire nel Nostro desiderio, e fors’anche nel vostro, di conforto alla vostra fede cattolica. Quale altro dono migliore possiamo Noi desiderare per voi? Noi pensiamo all’immenso travaglio in cui si devono trovare i vostri animi, quasi per forza di cose, immersi come sono nel mare tempestoso della mentalità moderna in ordine alla religione, e più precisamente in ordine alla fede; e pensiamo che voi attendiate, venendo a questo incontro, di godere un momento di tranquillità spirituale, un momento di sicurezza religiosa, un momento di gaudioso respiro nell’interiore esperienza del potere tonificante della fede. Qui è il porto della serenità, qui è la terra ferma della stabilità: e a voi il Nostro voto e la Nostra benedizione vogliono ottenere questo beatificante e determinante conforto.
Paolo VI introduce il Vangelo nell’Aula conciliareIl Nostro ministero apostolico Ci dà a tal fine obbligo e potestà. Ed è per diffondere in tutto il Popolo di Dio questo sovrano beneficio, che abbiamo annunciato la prossima celebrazione del centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Ma intanto possiamo presentare a voi una considerazione che bene si collega con il periodo post-conciliare in cui la Chiesa tutta va studiando e meditando il tesoro dottrinale a noi lasciato dal Vaticano secondo. E la considerazione riguarda il pensiero che il Concilio ha espresso in ordine alla fede. Sarà questo certamente tema per grande studio da parte dei teologi e degli storici. Noi qui Ci contentiamo di accennarvi appena.

Qual è la dottrina del Concilio Ecumenico Vaticano II sulla fede? Chi pone questa domanda s’accorge subito che l’ultimo Concilio non ha lasciato una trattazione vera e propria sulla fede, come invece altri Concilii hanno fatto. Rimane celebre, ad esempio, l’insegnamento del ii Concilio d’Orange (529) Concilio «Arausicanum» ii, presieduto da S. Cesario d’Arles; non fu Concilio ecumenico, ma ebbe molta importanza per le polemiche e le discussioni in cui si svolse e per le dottrine che, a seguito di S. Agostino, insegnò, specialmente circa la grazia necessaria per arrivare alla fede giustificante, e che Papa Bonifacio ii confermò (cfr. Mansi, VIII, 714; 735; Hefele-Leclercq, ii; Denz. Schoen., 375, ss. [178]). Così non possiamo dimenticare gli insegnamenti del Concilio di Trento sulla fede, specialmente sulla necessità che la fede sia integrata dalla carità (Denz. Schoen., 1559 [819]) e dalla grazia sacramentale (ibid. 1561-1566 [821-826]). Parlò poi espressamente della fede il Concilio Vaticano i, nella sua famosa Costituzione «Dei Filius» (1870), specialmente ai capi III e iv, dove sono precisate le funzioni dell’intelligenza e della volontà, operanti con la grazia, nell’atto della fede, e sono indicati i rapporti fra la fede e la ragione (ibid. 3008-3020 [1789-1800]): questi insegnamenti hanno dato materia di studio e di discussione alla teologia, all’apologetica, alla spiritualità e anche all’attività pratica della Chiesa fino ai nostri giorni (cfr. R. Aubert, Questioni attuali intorno all’atto di fede, inProblemi e Orientamenti di Teol. domm., vol. ii, 655 ss.).
Come mai invece il Concilio Ecumenico Vaticano II non ci ha lasciato un «capitolo» espressamente dedicato alla fede, quando essa è tuttora al centro della controversia e della vitalità religiosa? Bisogna fare attenzione. Questa supposta omissione è stata messa in relazione da alcuni con uno dei punti programmatici del recente Concilio, quello cioè di non dare nuove solenni definizioni dogmatiche; il che ha generato in alcuni il sospetto che le definizioni dogmatiche fossero forme superate dell’insegnamento cattolico, e che perciò il Concilio potesse essere considerato come una liberazione dagli antichi dogmi e relativi anatemi. La fede, si dice, non è il dogma verbalmente considerato; questo consiste in formule fisse che tentano di definire e di racchiudere verità immense, ineffabili e inesauribili. E sta bene; anche S. Tommaso c’insegna che l’atto di fede non termina alle formule che la espongono, ma alla realtà a cui esse si riferiscono; ma non senza una visione integrale di questa dottrina (cfr. ii, ii, 1, 2, ad 2). Inoltre si osserva che la fede è una virtù dataci dallo Spirito Santo, e perciò sembrerebbe che nessun intermediario debba imporle una disciplina particolare; non si vedrebbe così quale funzione possa avere un magistero che la definisca e la tenga sotto tutela; così che la fede dovrebbe essere libera da vincoli esterni ed avere per strumento interno di decifrazione la coscienza; e potrebbe perciò avere fra gli uomini differenti concezioni e differenti contenuti.
Non vogliamo pensare che a queste conclusioni si voglia arrivare: la fede resterebbe senza «simboli» che la definiscono e la esprimono; resterebbe senza catechesi univoca e autorevole; resterebbe fonte di divisione e non più di unione (una fides!), resterebbe senza la guida, stabilita da Cristo, d’un magistero incontestabile, che ne vigila le espressioni, ne promuove l’insegnamento e la diffusione, ne difende l’integrità, di cui i fedeli si alimentano, e per cui è doverosa la testimonianza.
Vogliamo piuttosto osservare che, se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine. Basterebbe ricordare le affermazioni conciliari sulla necessità congiunta della Chiesa insegnante e della fede (Lumen Gentium, 14, 48), sul senso della fede che, sotto la guida del sacro magistero, anima tutto il Popolo di Dio (ibid., 12), sulla doverosa purezza della fede, asserita proprio in funzione del dialogo ecumenico (Unit. red., 11), sull’opera dei Vescovi nell’insegnamento delle verità della fede (Christus Dominus, 36), sull’incontro della fede e della ragione in un’unica verità al livello degli studi superiori (Graviss. educ., 10), sulla sintesi nuova, che s’intravede possibile e magnifica fra la fede antica e la cultura moderna (Gaudium et spes, 57), e così via, per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa.
A voi, dunque, Figli carissimi, cercare, trovare e godere il conforto della fede in questo incontro con Chi della fede vi fa, in nome di Cristo, garanzia; in questa riflessione sul Concilio ecumenico, che alla fede ha dato nuova testimonianza e nuovo splendore; in questa professione del nostro Credo che ora insieme canteremo e che Noi confermeremo con la Nostra Benedizione Apostolica.

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