ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 19 gennaio 2012

Riformatori all'attacco.

Santa Croce e Vaticano II
L'università dell'Opus Dei mette un punto fermo sulla questione dell'accettabilità o meno dei decreti del Concilio Vaticano II in evidente relazione alle trattative che i lefebvriani stanno conducendo con la Santa Sede, e alla loro riluttanza ad accettare l'insieme del Concilio stesso.

                                               Marco Tosatti

L'università dell'Opus Dei mette un punto fermo sulla questione dell'accettabilità o meno dei decreti del Concilio Vaticano II in evidente relazione alle trattative che i lefebvriani stanno conducendo con la Santa Sede, e alla loro riluttanza ad accettare l'insieme del Concilio stesso


“Il Concilio Vaticano II è, e deve rimanere per la Chiesa cattolica espressione del magistero solenne e supremo della nostra epoca”. Al tempo stesso, deve assumere “la corrispondente importanza nel dialogo ecumenico, vale a dire, in qualsiasi unione con altre Chiese o comunità cristiane separate dalla Chiesa cattolica”. Resta inteso, “che non si può rinunciare alla necessità di una ricezione di questi testi fondamentali, come non si può rinunciare ad una ricezione degli altri concili ecumenici della Chiesa del passato”.

È quanto affermato ieri mattina dal Rev. Prof. Johannes Grohe, ordinario di Storia della Chiesa, nel corso della sua lezione magistrale su “Il Concilio Vaticano II nell’insieme dei concili ecumenici” tenuta in occasione della festa accademica di San Tommaso d’Acquino, patrono della Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce. Non vi è dubbio – ha aggiunto lo studioso – che nell’insieme dei Concili ecumenici dei due millenni, il Concilio Vaticano II rappresenti un evento di “importanza epocale”, “fondamentale per la vita della Chiesa di oggi”, in cui ha lasciato “le maggiori tracce”.
Nel suo intervento il Prof. Grohe ha anche fatto accenno a quanti “mettono in dubbio la stessa ecumenicità del Vaticano II”, fornendo una serie di riferimenti teologici e storici e presentando studi che smentiscono tali affermazioni evidenziando l’errata impostazione metodologica di determinati autori. Anche coloro che sin dall’inizio – come, ad esempio, “alcuni esponenti della minoranza conciliare” (Lefebvre e i suoi seguaci) – hanno contestato l’“autorevolezza” del Sinodo Vaticano, e quindi il “carattere vincolante dei testi conciliari” – ha spiegato Grohe – salvaguardanotuttavia “l’ecumenicità del Concilio”, collocandolo “sulla stessa linea dei 20 concili precedenti”. Deve restare bene inteso che il Concilio aperto l’11 ottobre del 1962 da Papa Giovanni XXIII “non ha voluto definire dogmi nuovi”, ma proporre “con suprema autorità per l’intera comunità cristiana la dottrina tradizionale in modo nuovo e con un atteggiamento pastorale nuovo”.
Tutti suoi decreti hanno perciò “valore universale” e “sono vincolanti e devono essere accettati anche da coloro che vorrebbero entrare in comunione con la Chiesa cattolica”. L’intervento del Prof. Grohe, che tra l’altro è direttore della Rivista Annuarium Historiae Conciliorum (http://ahc.pusc.it/) fondata nel 1968 da Walter Brandmüller e Remigius Baümer, si inserisce a pieno titolo nel dibattito per il 50mo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e in preparazione all’Anno della Fede indetto dal Santo Padre Benedetto XVI che avrà inizio proprio nella speciale ricorrenza.
Su questa stessa linea, la Facoltà di Teologia ha organizzato per i prossimi 12 e 13 marzo un Convegno di studi sul tema “Parola e testimonianza nella comunicazione della fede. Una rilettura di un binomio critico alla luce del Concilio Vaticano II” (http://www.pusc.it/teo/conv2012), allo scopo di analizzare la questione del rapporto tra testimonianza e parola nel contesto religioso e sociale del mondo odierno.


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