ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 31 gennaio 2012

SCALFARO PRESTO SANTO PERCHE' MORTO. "IO NON CI STO!"

Se ne è andato da poco Oscar Luigi Scalfaro, decano della politica italiana, nonché IX Presidente della Repubblica, sebbene "per disgrazia ricevuta", come ebbe a dire Montanelli. Non ha neanche fatto in tempo a lasciare questo mondo, che già è iniziato il suo processo di beatificazione, come spesso avviene in casi analoghi. Stavolta, forse più che nelle altre circostanze, "io non ci sto!", giusto per fare il verso quella framosa frase che pronunciò in occasione dello scandalo Sisde. In quest'occasione, l'ex direttore dei Servizi Riccardo Malpica lo aveva accusato di aver intascato 100 milioni di lire ogni mese dal Sisde. Indignato, lo stesso Scalfaro chiese una trasmissione a reti unificate per pronunciare quel famoso "io non ci sto!" a quello che egli stesso definì un "gioco al massacro" che, a suo dire, fu orchestrato contro di lui da un manipolo di politici della prima repubblica per aver sostenuto la causa di Mani Pulite. Accusa che per chissà quale motivo non è mai stata dimostrata.

Per il suo settennato qualcuno, (giustamente), lo ha definito come "il peggior Presidente della Repubblica di sempre". E come si può dissentire da tale affermazione? Basti pensare che nel 1994, dopo lo strappo Lega-Berlusconi, invece di sciogliere le Camere e restituire la parola agli elettori, ordinò un rimpastone, affindando l'incarico di governo a Lamberto Dini. Un giochino politico che ha ripetuto nel 1998, dopo la caduta del governo Prodi, che sarà rimpiazzato da D'Alema su designazione dello stesso Scalfaro. Ironia della sorte, appena terminato il suo incarico come Capo dello Stato e quindi divenuto senatore a vita, votò apertamente la fiducia al governo D'Alema II, vale a dire ad un Presidente del consiglio da lui stesso nominato per il primo mandato. Insomma, un'ingerenza diretta e manifesta nell'indirizzo politico del Paese; una svergognata virata a sinistra, per niente affatto mascherata da quel suo continuo rimarcare il proprio ruolo super partes, puntualmente contraddetto dai fatti. Prova ne sia il fatto che, dopo il periodo trascorso al Quirinale, divenne una sorta di padre putativo e di protettore dei D.S. prima e del Partito Democratico poi.

Il suo attaccamento verso la "Repubblica Italiana nata dalla Resistenza" si vede soprattutto dal triplo stipendio che percepiva proprio dallo Stato italiano: 15 mila euro al mese per qualche apparizione a palazzo Madama, cui debbono sommarsi gli introiti come ex parlamentare e i quasi 5.000 euro mensili per essere stato magistrato dal 1943 al 1946.

Vale la pena di spendere due parole su quel periodo. Su richiesta degli Alleati, il giovane Scalfaro entrò a far parte dei Tribunali speciali, dove svolse il ruolo di consulente giuridico. In pratica, questi erano niente altro che delle assisi farlocche, buone per dare un'apparente veste legale alle ritorsioni partigiane. Lo stesso Scalfaro, non a caso, le definì "un tribunale militare di partigiani". Successivamente, lavorò nel gruppo dei pubblici ministeri della Corte straordinaria di Assise di Novara, che nel giro di tre giorni condannò a morte sei fascisti, presunti collaborazionisti. Si trattava di Enrico Vezzalini, (ex prefetto di Novara), e dei militi Arturo Missiato, Domenico Ricci, Salvatore Santoro, Giovanni Zeno e Raffaele Infante, mandati a morte il 23 novembre 1945 dopo una raffica di mitra che nemmeno li uccise, lasciandoli agonizzanti a terra mentre un gruppo di donne si accaniva sui feriti. Bisogna sottolineare che di Domenico Ricci egli era amico intimo. La figlia di Ricci, addirittura, lo considerava alla stregua di un padre. Eppure, non si oppose alla sua condanna a morte, sebbene non fosse affatto convinto della colpevolezza degli imputati per i quali chiedeva l'applicazione di pena. Un'incertezza risvegliata in Scalfaro proprio dalla figlia di Ricci, la quale nel 1996, vedendo su un giornale la foto del Presidente della Repubblica sul luogo dell'esecuzione di suo padre, scrisse per sapere se il genitore fosse colpevole o innocente. La risposta che diede Scalfaro fu sconcertante: " stia tranquilla perché suo padre dal Paradiso pregherà per lei"(fonte). Una risposta di comodo, per nascondere che della morte di quegli uomini, in realtà, non ne sapeva proprio nulla. Difatti nella sentenza, reperita presso un archivio di Torino, si leggerebbe: "il brigadiere Ricci, insieme al Missiato, costituì l' anima della Squadraccia, della quale, poi, pare abbia assunto il comando ufficiale allo scioglimento di essa"(fonte). Un "pare" che costò la vita a quegli uomini, barbarmente uccisi, pur nel dubbio della loro innocenza. Per un approfondimento di quei giorni vi consiglio questa lettura:

Ad ogni modo, questo è stato Oscar Luigi Scalfaro: un uomo con le mani sporche di sangue, reticente, dissimulatore, calcolatore, sfrontato ed opportunista. Soprattutto, un grande incoerente, giacché diceva di non credere nella pena di morte, eppure chiedeva condanne sommarie; uno che si proclamava super-partes ma che pendeva da una parte soltanto. Pecche umane che cercava di nascondere con una odiosa retorica, tipica del democristiano di ferro. Perdonatemi, ma di un uomo del genere è già difficile rispettare la memoria da morto; per favore, risparmiatemi di doverlo considerare uno dei padri nobili della Patria. Quelli sono ben altri!

Roberto Marzola.

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