La particella di Dio
di Luciano Fuschini - 05/03/2012Si è fatto molto clamore sugli esperimenti del CERN che hanno portato alla scoperta che il neutrino viaggia più veloce del fotone e quindi della luce, scoperta che se confermata obbligherebbe a ripensare la teoria della relatività; ma soprattutto si è parlato dell’individuazione del bosone che Higgs aveva ipotizzato ma che mai era stato rilevato dagli strumenti. Il bosone di Higgs è la particella che interagendo con le altre ha permesso che esse assumessero una massa. Cosa non di poco conto perchè se non si fosse verificata non si sarebbe creato l’Universo che ci ospita. Non a caso il linguaggio giornalistico ne parla come “la particella di Dio”.
L’entusiasmo per la scoperta non dovrebbe far dimenticare un’altra informazione che ci viene dagli astrofisici: la materia a noi nota è solo il 4%di quella complessivamente esistente nell’universo. Il restante 96%, la cui esistenza si può dedurre dai comportamenti della materia registrabile dagli strumenti e dai calcoli matematici, ci è totalmente ignoto perché è materia oscura, non osservabile in alcun modo. Dire che la realtà circostante ci è sconosciuta al 96% è ammettere che sappiamo poco più di nulla. Inoltre sul restante 4% le opinioni, o meglio le teorie, restano discordanti. Aristotele pensava che gli astri fossero infissi in sfere di cristallo che ruotano attorno alla Terra immobile al centro di un cosmo finito. Questa concezione ha imperato per un paio di millenni, finché non è stata fatta a pezzi da Copernico e Galileo. Newton ha scoperto le leggi della gravitazione universale, sullo sfondo di uno spazio e di un tempo concepiti come delle costanti immutabili ed eterne. Sembrava una teoria inattaccabile perché suffragata dalla sperimentazione scientifica e dai calcoli matematici, invece è durata grosso modo 200 anni. Einstein infatti ha a sua volta dimostrato che il tempo è una dimensione dello spazio ed entrambi non sono degli assoluti ma sono relativi al punto di osservazione e alla velocità con cui si muovono l’osservatore stesso e l’oggetto osservato. La curvatura nello spazio determinata dalla gravità degli astri attrae e rallenta anche i raggi di luce, per cui spazio e tempo non sono assoluti indipendenti dalle cose ma sono prodotti dall’interazione con le cose stesse. Tutto ciò però contrasta con i calcoli dei fisici che studiano l’infinitamente piccolo, i quark. Nel mondo delle particelle, che sono i mattoni dell’universo, il quadro grandioso disegnato da Einstein si dissolve. Da decenni si cerca una teoria unificante che possa conciliare la relatività di Einstein e l’indeterminazione di Planck, ma gli sforzi finora sono stati vani. In conclusione: il 96% della realtà a noi circostante ci è completamente ignoto e sul restante 4% non c’è una teoria scientifica che ci dia certezze (altri riducono al 75% la parte di universo consistente in materia oscura a noi ignota, ma la sostanza non cambia).Con ciò non si vuole sminuire l’importanza di un progetto come quello del CERN di Ginevra. Un reticolo di 27 km di gallerie, di tubi e di macchinari complessi nelle viscere della terra, una delle più grandi concentrazioni di cervelli che si sia mai vista su questo pianeta, per riprodurre le condizioni dell’Universo pochi istanti dopo il big bang (ma anche sul big bang i pareri sono discordi): un’impresa grandiosa dell’intelligenza umana, capace di risalire alle origini dell’Universo, una prova definitiva di quanto sia infondata la spocchia dei positivisti che fanno risalire a qualche sinapsi in più rispetto al cervello delle scimmie l’enorme potenzialità della nostra mente. Nessuna sottovalutazione dunque: si vorrebbe soltanto riportare la scienza entro i suoi limiti.Quel 96% di materia oscura dà più forza a quanto sosteneva Vico, quando affermava che l’uomo non può conoscere il mondo della fisica perché, essendo quel mondo creato da Dio, sfugge alla nostra comprensione. A noi è concessa invece la conoscenza delle leggi della storia, perché scaturisce dai comportamenti umani. Possiamo dedurle studiando noi stessi, i nostri pensieri, le nostre reazioni, i nostri comportamenti. Tuttavia Vico, il più grande dei nostri pensatori fra XVII e XVIII secolo, più grande di Galileo e ben superiore a Bruno, non giunge alla conclusione che l’uomo è l’unico artefice della propria sorte. In lui non c’è alcun prometeismo. La concezione ciclica della storia, scandita dai corsi e ricorsi, implica una legge che ci è data e ci trascende. Del resto proprio Vico ha introdotto il concetto di "eterogenesi dei fini", che delinea un accadere il quale va sempre oltre il senso del nostro agire, una continua deviazione dagli intenti degli individui e delle nazioni, come se una Mano invisibile tirasse fili da noi inattingibili.Tutto ciò è traducibile in conclusioni operative. Ci dice che siamo tenuti a fare la nostra parte nel processo storico e nella contingenza del periodo che la sorte ci ha assegnato, ma nella consapevolezza che il corso delle cose sarà profondamente diverso da quello per il quale abbiamo operato. Esserne convinti non ci esime dall’impegno e nello stesso tempo è il migliore antidoto al fanatismo.Fonte: giornaledelribelle [scheda fonte]
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