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giovedì 29 marzo 2012

Perché il Vaticano non ha intenzione di abbattere il Muro dell’Avana


Fidel Castro  ha  incontrato il Papa

GALLERIE IMMAGINI:
Se un incontro coi dissidenti ci sarà, avrà luogo domani, nella piazza della Rivoluzione dell’Avana, dopo la messa. Ma per Cuba non sarebbe altro che una concessione di facciata, alla stessa stregua di quanto avvenne nel 1998 durante la visita di Giovanni Paolo II (21-26 gennaio). Allora il comandante en jefe liberò qualche carcerato, ma poi tutto tornò come prima.

La sensazione è che il Vaticano non voglia in alcun modo salire sul carro degli oppositori al regime: “Nessuno ha il diritto di trasformare le chiese in trincee politiche”, ha detto in un comunicato l’arcidiocesi dell’Avana a riguardo delle tredici persone che hanno occupato qualche giorno fa la chiesa di Nostra Signora della Carità nel centro della capitale chiedendo un incontro col Papa. Parole che confermano che la linea della chiesa è una: lavorare perché la transizione dal regime a un qualcosa di diverso avvenga senza strappi. Se così non fosse, Raúl Castro non avrebbe detto in dicembre ricevendo una delegazione del Vaticano: “Aspetto il Papa con affetto e rispetto”. Insomma, non ha tutti i torti Foreign Policy quando scrive che “la visita papale, in fondo, contribuisce all’agenda del governo cubano perché consolida il dialogo istituzionale tra il governo di Raúl Castro e la chiesa cattolica, offrendo incentivi perché quest’ultima partecipi, nella forma prevista, al rinnovamento del sistema attuale; contribuisce a creare un ambiente internazionale favorevole ai progetti di apertura e riforma senza abbandonare il monopartitismo, e rafforza l’immagine di un paese in transizione che paga i costi della rigida posizione statunitense di isolamento nei confronti di Cuba”.
La linea vaticana non è mutata negli anni. Nel 1998, durante la visita di Wojtyla, molte furono le aperture della Santa Sede. Il Papa polacco non mostrò di volere abbattere il Muro dell’Avana ma anzi criticò apertamente l’embargo americano che egli considerava un fallimento. E’ la medesima linea tenuta in queste ore da Papa Ratzinger: Contrario alla politica di regime change praticata dalle varie Amministrazioni statunitensi e favorevole a cambiamenti economici e sociali decisi tuttavia attraverso un dialogo e un confronto i cui protagonisti non sono soggetti esterni all’isola, ma il governo, la chiesa locale, la popolazione.
Forte fautore di questa linea è l’arcivescovo dell’Avana Jaime Ortega. Il Papa non ne ha volutamente accettato le dimissioni che egli ha presentato lo scorso ottobre, quando ha compiuto 75 anni. Serve ancora la sua astuzia diplomatica: attraverso il dialogo col governo, infatti, Ortega non solo ha ottenuto la liberazione di 130 prigionieri politici ma è anche riuscito, appoggiandosi alla popolosa comunità cubano-americana della Florida, a raggiungere l’Amministrazione Obama che, si dice non a caso, ha adottato recentemente verso Cuba una linea più morbida.
Su Avvenire il 19 marzo è stato lo stesso Ortega a snocciolare i risultati della sua linea: “Il numero di sacerdoti e religiose è cresciuto. E’ stato costruito un nuovo seminario nazionale all’Avana, la chiesa ha varie pubblicazioni diffuse e apprezzate. E’ cresciuto il numero di aspiranti al sacerdozio, la chiesa ha un accesso maggiore, sebbene ancora non sistematico, ai mezzi di comunicazione, le espressioni pubbliche di fede sono ormai abituali”. E ancora: “In vista della visita del Papa e per celebrare l’Anno giubilare, Raúl Castro ha concesso un indulto a quasi 3 mila prigionieri comuni per ragioni umanitarie e su invito della chiesa cattolica e di altre confessioni cristiane. La chiesa valuta positivamente il fatto che il governo cubano le abbia chiesto di partecipare a questo processo”.
In Vaticano Ortega ha una sponda importante nella persona dell’attuale sostituto della segreteria di stato, l’arcivescovo Angelo Becciu, dal 2009 al 2011 nunzio a Cuba. A suo dire, la chiesa a Cuba è oramai “uscita dalla sagrestie”. Queste le sue parole rilasciate all’Osservatore Romano: “Il termometro vero per misurare le buone relazioni tra Santa Sede e stato è la situazione dei rapporti tra il governo e la chiesa locale. Nell’ultimo periodo le relazioni sono diventate molto più scorrevoli, sono diventate molto più efficienti, perché la chiesa è riuscita ad avere maggiori spazi per la sua azione. Si può dire che è uscita dalle sagrestie dove era stata costretta a vivere, ha sviluppato una maggiore attività catechetica e inoltre le è stata data la possibilità di svolgere la sua attività caritativa”.

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