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venerdì 4 maggio 2012


I cristianisti postmoderni e la dissimulazione della controtradizionePDFStampaE-mail
Image4 maggio 2012

Negli ultimi anni, in particolare a partire dalle guerre scatenate dagli USA contro l’Afghanistan e l’Iraq, si è andata rafforzando una stravagante “alleanza” tra alcuni settori che potremmo definire “libertari” -molti degli esponenti dei quali già comunisti, liberali e socialisti- ed alcuni cattolici “anticomunisti”, talora anche sedicenti “tradizionalisti”. A nostro parere, ciò individua uno dei nodi fondamentali del “nuovo ordine” che caratterizza questo inizio di secolo: la paradossale relazione tra cattolici “di destra” (in realtà, talora provenienti dalle file moderniste e finanche “di sinistra”, ma, oggi, tatticamente situati “a destra”) e radicalismo “gnosticheggiante”; i rappresentanti di un tale côté sono stati non a torto etichettati come “cristianisti”.
L’alleanza in oggetto non è solo strategico-politica, anche se tale fattore rimane centrale; noi riteniamo, infatti, che essa riveli fondi ideologici almeno parzialmente condivisi, il cui denominatore comune è un universo di valori “umanistico”, ed ultimamente massonico-protestante, a sua volta alimentato da un immaginario che, confondendo Occidente e Cristianesimo, produce un’immagine di “cristianità” mai esistita di fatto. Ricordiamo che qui non si tratta di disquisire su questioni “astratte”, visto che, come è noto, le idee formano (in questo caso deformano) l’uomo ed il mondo; si pensi solamente al cosiddetto “Sessantotto”, che di questa ideologia “radicale” costituisce l’epifania più pagliaccesca.
A far da collante, tra gli altri, i temi della laicità, della libertà e della “accettazione critica” del mondo moderno –e delle sue ancor più temibili propaggini postmoderne–, generalmente in funzione antiislamica (l’unica grande forza che mostra di reggere l’impatto con l’”Occidente” è infatti l’Islâm); la premessa maggiore, indimostrabile ma declamata a gran voce –un po’ come, in altro ambito, “l’ermeneutica della continuità”–, è la identità o compatibilità tra “civiltà cristiana” ed “Occidente”. Esito di ciò è la sacralizzazione della politica (oltre che, specularmente, la politicizzazione del “sacro”), carattere essenziale di una “religione del dominio” già ben analizzata in vari lavori.Da un certo punto di vista, una delle fonti remote di questo “avvicinamento” è certamente stata la dichiarazione “Dignitatis Humanae”, in evidente opposizione alla enciclica di Pio IX “Quanta Cura”, come già scritto e dichiarato dall’attuale Pontefice. Mentre fino al 1965 si sosteneva che la Verità (Dio) era assolutamente prioritaria rispetto alla “libertà” (uomo), oggi si afferma il contrario, e si equivoca sulla nozione stessa di “libertà” (non esiste, a rigore, la libertà di fare il male o di credere a dottrine o religioni erronee). A tale proposito, la cd. “libertà religiosa”, anche pubblica, risulta teoreticamente fondata su di un antropocentrismo deteriore, a sua volta produttivo di inedite adunate ecumeniche, cui partecipano liberali di ogni risma e, ultimamente, anche irreligiosi (ma non, tanto per fare un nome, la Fraternità San Pio X!), che sarebbero gli “uomini di buona volontà” (!); da ciò discende pure l’abbraccio intellettuale di certi uomini di Chiesa –si pensi a Ratzinger stesso– con i cdd. “atei devoti”, oltre che un aziendalismo tipico di alcuni “movimenti” sorti o rafforzatisi con il Concilio Vaticano II. Al fondo di questa autentica “rivoluzione copernicana”, oltre al detto dato antropologico, vi è una nuova nozione di Chiesa, non più gerarchica “società sovrannaturale” il cui capo invisibile è Cristo, di cui Pietro è vicario, ma “popolo di Dio in cammino” nel tempo.Ma, a ben guardare, il fatto che più sorprende è che un tale relativismo, benedetto dal Vaticano II, è oggi criticato da molti degli stessi che, a suo tempo, contribuirono ad introdurlo nella “dottrina” della Chiesa: quegli stessi che, nella gran parte dei casi, non hanno mai mostrato segni di pentimento, contro ogni evidenza fattuale (oltre che dottrinale). Non si capisce, allora, come si possa essere occidentali e antirelativisti, quando l’anima dell’Occidente moderno è in radice relativista. A scavare, ma neppure molto, si comprende che l’attuale pontefice, come scrisse nel suo “Principles of Catholic Theology”, accetta, della Rivoluzione francese, i suoi principi “liberali”, ma non quelli “giacobini”. Ecco svelato l’arcano, e mostrata la cerebrale distinzione –oltre che la profonda contraddizione teoretica, e quindi pratica– che avvince oggi la Chiesa, finanche sul trono più alto: abbiamo un papa che, nel solco dei suoi ultimi predecessori, è liberale.Quello “cristianista”, pur apparendo, a chi guarda le cose di questo mondo da “esterno” e con fare distratto, un’espressione tradizionalmente cristiana, costituisce in realtà un fondamentalismo di derivazione ideologica anglosassone, una elaborazione postmoderna sapientemente operata in vitro e successivamente inoculata in menti sprovvedute ovvero interessate sulla base di un totale –e volgare– disconoscimento della tradizione. Tale disconoscimento ebbe il suo momento centrale e propulsivo nel Vaticano II, quando, oltre allo sfiguramento della liturgia, si propose un adattamento “a tavolino” della Chiesa alla modernità. Non si facciano, per carità di patria, sciocche distinzioni tra i documenti del Concilio e la sua applicazione, visto che si potrebbe facilmente dimostrare l’inanità di una tale tesi (ma altri, ben più qualificati di noi, l’hanno già fatto, mai confutati ed anzi talora confortati, pur da un punto di vista opposto, dal Pontefice regnante); e comunque, se anche quanto appena detto fosse vero, si confermerebbe l’incredibile inettitudine dell’autorità dagli anni ’60 ad oggi. Non tanto, dunque, “il mondo è cambiato”, come si dice oggi senza neppure porre mente a quanto si proferisce, ma la Chiesa, e quindi il mondo, è cambiata; l’apocalittica questione è, in una parola, se tale mutamento abbia toccato la sua essenza.Andrea Antonacci

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