G.L. Bernini, Sant'Atanasio sorregge la Cattedra di S. Pietro |
La
nostra Redazione, a seguito del risultato della visita canonica
all’Istituto del Buon Pastore, riceve delle domande che possono essere
riassunte dal titolo di questo intervento. La questione ci sembra avere
un rilevante interesse ecclesiale, anche tenendo conto della
sollecitazione a pronunciarsi racchiusa in articoli a riguardo come
quello del superiore italiano della Fraternità Sacerdotale San Pio X.
Esporremo quindi alcune considerazioni ai nostri lettori, le quali –
ovviamente – non impegnano se non la linea editoriale di questa libera
rivista.
Il testo che la Rev. da Pontificia Commissione Ecclesia Dei
ha prodotto offre all’Istituto del Buon Pastore alcune indicazioni,
d’ordine in parte pratico-giuridico e in parte teologico-ecclesiale,
toccando anche le “specificità” dell’Istituto, sebbene in termini non
perentori ma piuttosto di consiglio: la Commissione, in merito alla
celebrazione della Messa tradizionale come prevista dagli Statuti,
invita a parlare di “rito proprio”, citiamo letteralmente, “senza
parlare di esclusività” (ovvero, invito a modificare gli Statuti
fondativi?); e - su questo secondo punto con formulazione un po’ più
forte - chiede altresì di diminuire la “critica, sia pure seria e
costruttiva”, degli aspetti del Concilio Vaticano II che pongono
interrogativi, per insistere maggiormente sull’ “ermeneutica del
rinnovamento nella continuità”, adottando “come base” il “Nuovo
Catechismo”.
In
ordine a tali aspetti la questione, lungi dall’essere una mera
discussione terminologica, ci appare cruciale per il futuro del Buon
Pastore. Del resto la Commissione sembra aver voluto, nel suo insieme,
proporre il proprio punto di vista teologico-liturgico; non trattandosi
sempre di ordini formali essa lascia la scelta al Capitolo Generale.
La natura dello scritto di mons. Pozzo e le circostanze storiche
Il
documento è il risultato della visita canonica a distanza di sei anni
dalla fondazione dell’Istituto. Ricordiamo che il riconoscimento di
quest’ultimo è stato voluto personalmente dal Santo Padre Benedetto XVI,
offrendo la possibilità dell’ “esperienza della Tradizione” con due
specificità, espressamente previste dagli Statuti (approvati da Roma) e
in virtù delle quali abbiamo parlato di “avanzamento” della causa
tradizionale: la celebrazione esclusiva della “Messa gregoriana”
(secondo l’espressione del Card. Castrillon Hoyos) e la possibilità
esplicita di una “critica seria e costruttiva” dei punti del Concilio
Vaticano II che appaiano difficilmente conciliabili con la Tradizione.
Ora,
dal punto di vista liturgico il testo afferma che sarebbe auspicabile
uniformare allo “spirito” del più recente Motu Proprio Summorum Pontificum gli Statuti dell’Istituto, anteriori di un anno, eliminando la parola exclusive sostituendola
con il termine “rito proprio” (espressione che, essendo già presente
negli Statuti in due punti, è pertanto invocata in contrapposizione
all’altra e non ad integrazione di essa). Notiamo tuttavia che tale
termine, così come nella redazione approvata dalla Santa Sede nel 2006,
non è incompatibile con la recente legislazione in materia, essendo
piuttosto il riconoscimento giuridico d’una peculiarità. Nella Chiesa
l’esistenza d’una legge generale (e, in questo caso, semplicemente di un
orientamento) non impedisce il riconoscimento d’un diritto proprio: a fortiori
se si è in presenza d’una precedente approvazione dell’autorità
ecclesiastica. In questa prospettiva si può comprendere che tale
indicazione della Commissione sia nell’ordine dell’invito.
Dal
punto di vista teologico il documento invita a privilegiare l’
“ermeneutica del rinnovamento nella continuità” sulla “critica, sia pure
seria e costruttiva”, e più in generale l’attitudine “in positivo”. La
Commissione sembra riconoscere che l’attitudine del Buon Pastore non è
quella di una critica selvaggia, irrispettosa, estremistica e temeraria,
ma è rimasta nell’ambito degli impegni scritti del 2006. In quel
contesto l’Istituto, non essendovi pieno accordo su talune questioni
dottrinali, sottoscriveva un “accordo pratico-canonico” - comprensivo
anche dei due punti summenzionati -, in uno spirito di filiale
collaborazione con la Santa Sede e prendendo sul serio le dichiarazioni
di S. Em. il Card. Castrillon Hoyos, il quale ribadì che, se si ha
evidenza di incoerenze, “la critica costruttiva è un gran servizio da
rendere alla Chiesa”.
Una proposta di riflessione
Il
citato testo è da accogliere col rispetto che è dovuto ad un documento
proveniente da un Dicastero romano, e al contempo in quel medesimo
spirito d’apertura e franchezza nel quale allora ci impegnammo. Esso
contiene alcune indicazioni d’ordine pratico-giuridico che sono ispirate
dalla sollecitudine in vista d’un perfezionamento della giustizia
amministrativa che deve caratterizzare ogni società; preziosa ci appare
la sollecitazione ad approfondire “il pastoralato di Cristo”;
inevitabilmente in una giovane fondazione ci sono aspetti da migliorare,
e la Commissione offre indicazioni che non vanno sottovalutate. Ma il
documento chiede anche di riconsiderare due punti che costituiscono le
specificità dell’ Istituto; su questo aspetto, il nostro punto di vista
si discosta da quello del relatore.
La celebrazione “esclusivamente” nel rito tradizionale
Non vediamo una incompatibilità legislativa tra tale facoltà e il Motu Proprio Summorum Pontificum anche perché il riferimento in allusione che dice di non “escludere, in linea di principio, la celebrazione secondo i libri nuovi”,
non è contenuto nella parte normativa, ma nella lettera argomentativa.
Inoltre il passaggio può intendersi come raccomandazione a non escludere
che altrisacerdoti cattolici celebrino secondo i nuovi libri,
con le condanne generalizzate che talvolta sono state pronunciate in
taluni ambienti (i quali hanno asserito categoricamente che la
celebrazione secondo i riti nuovi è ipso facto materia di peccato mortale). In ogni caso non è stato posto dal Supremo Legislatore come obbligo di legge. Anche l’Istruzione Universae Ecclesiae (l’art. 19 ad esempio) afferma l’impossibilità di un’esclusività che si accompagni ad attacchi violenti (sint infensae)
e sentenze categoriche contro testi approvati dalla Santa Sede: il
documento tuttavia non esclude la possibilità di nutrire riserve
teologiche, non impedisce d’agire di conseguenza (si legga qui), non impone come obbligo il biritualismo.
Scrivemmo
in passato che a questo proposito facciamo nostre le riserve che ebbe a
condividere S. Em. il Card. Ottaviani nello scrivere la lettera di
accompagnamento del Breve esame critico del Novus Ordo Missae.
Tanti prelati del resto, non ultimo il Regnante Pontefice, hanno già
scritto chiedendo una “riforma della riforma”: evidentemente ve ne sarà
motivo… Ci sembra quindi che il termine “exclusive” bene esprima
la nostra posizione e come tale fu ammesso nei nostri Statuti dalla
Santa Sede, in una reciproca attitudine di lealtà. Senza volerci
sostituire ad un futuro pronunciamento dell’autorità ecclesiastica
affermiamo, con prudenza e moderazione ma senza nascondimenti, il nostro
avviso; esso non è perentorio, ma vorrebbe esser franco e suppone una
consequenzialità. Se così non agissimo e nascondessimo il pensiero dei
nostri cuori, o peggio ancora se agissimo contro coscienza, mancheremmo
realmente di rispetto a quell’Autorità che vogliamo servire nella
chiarezza di posizioni. Pensiamo quindi che il termine exclusive debba
essere mantenuto, anche in ottemperanza agli impegni da noi
pubblicamente presi. Il Buon Pastore infatti non è nato per occuparsi
del proprio interesse personale - vitam suam dat pro ovibus suis - ma per offrire una testimonianza della possibilità di una posizione ecclesiale che includa i citati presupposti.
La “critica seria e costruttiva”
In
effetti in questi sei anni ci siamo sforzati – anche qui ottemperando
agli impegni presi con la Santa Sede – di analizzare i documenti più
recenti in uno spirito sereno, ossequioso, ma che non nascondesse
aprioristicamente alcune reali difficoltà di conciliazione con la
Tradizione. Sarebbe stato quest’ultimo un atteggiamento non solo poco
scientifico teologicamente, ma soprattutto sleale nei confronti della
Chiesa. Non basta? Questo posizionamento non esclude - altrettanto
aprioristicamente - che alcuni punti problematici di taluni
pronunciamenti possano essere interpretati secondo una lettura di
“continuità dell’ermeneutica teologica”, pur presentando talvolta
espressioni ambigue. La critica “seria e costruttiva” non esclude
forzatamente l’eventualità, ove possibile, di leggere in continuità col
Magistero anteriore alcune recenti novità; ma vuole
esprimere anche la possibilità - e il dovere filiale - di far presente
alla Santa Sede che alcune cose potrebbero richiedere una
riconsiderazione. Stante il potere delle Chiavi, nel supremo ossequio
alla Verità e nell’interesse della Chiesa, il Sommo Pontefice può farlo
con testi magisteriali non infallibili, specie ove la continuità fosse
non dimostrata. Se, con la nostra storia, deliberatamente offuscassimo
tale umile testimonianza, ciò potrebbe essere la peggior mancanza di
rispetto verso la Sede Apostolica; saremmo alla ricerca d’un immediato
beneficio personale - foss’anche sociale - “pro domo sua”,
tralasciando l’impegno in virtù del quale alcuni hanno aderito proprio a
questa Congregazione, impegno che la Santa Sede ha approvato per
iscritto nel vicino 2006.
Il pericolo dell’ubbidienza indebita o servilismo e della perdita di ciò che rappresentiamo
Abbiamo
voluto offrire le nostre considerazioni, tenendo conto della natura
dell’Istituto del Buon Pastore. Esso, se si privasse delle sue
specificità statutarie, sarebbe – è l’avviso della nostra rivista –
radicalmente denaturato e ci chiediamo : senza l’ “exclusive” e
accantonando la “critica seria e costruttiva”, il Buon Pastore
conserverebbe la sua ragione d’esistere ? Perché non preferire allora
qualche altra Congregazione ? Dopo “lo spirito del Concilio” c’è proprio
bisogno anche dello “spirito del Motu proprio”, eretto a norma ? Negli
odierni frangenti, non è importante richiamare una chiara distinzione
tra un’argomentazione e un obbligo, un invito e una legge, un’opinione
(magari autorevole) e un chiaro insegnamento ? Se avallassimo
l’impressione che le concessioni previste da accordi sono instabili,
renderemmo un servizio alla Chiesa ? Uno studioso come mons. Nicola Bux
ha evitato di “dogmatizzare”, enfatizzandola oltremodo, l’ermeneutica
della continuità (che i progressisti continuano tranquillamente ad
ignorare), dicendo sobriamente che essa “ha fornito un criterio
per affrontare la questione e non per chiuderla”: saremmo credibili se
volessimo essere (o simulare di essere) più ratzingeriani di mons. Bux ?
Peraltro,
è realistico attendersi che la Fraternità San Pio X adotti, adesso o
tra sei anni, gli indirizzi che ci vengono suggeriti ? Eppure, se
determinati punti fossero giuridicamente incompatibili ed ecclesialmente
impossibili, essi lo sarebbero, in uno spirito di diritto, tanto per la
Fraternità San Pio X quanto per l’Istituto del Buon Pastore (che
peraltro non ha preteso la “contropartita” dei preliminari): dobbiamo
dunque ritenere, fiduciosi nella Provvidenza, che siano appunto degli
inviti. Non misconosciamo che oggi vi sono nella Chiesa spinte
disgregatrici e gravissime difficoltà; ma ci sembra che le citate
peculiarità dell’Istituto del Buon Pastore, più che un ostacolo al bene
del Corpo mistico, siano un umile e sincero servizio alla Chiesa.
Don Stefano Carusi, IBP
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.