ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 13 giugno 2012

VELENI NELLA CHIESA


"Allo Ior i soldi degli affari
con la mafia"


Nella lotta di potere tra l’ex vescovo e l’ex economo della diocesi di Trapani l’inchiesta sta evidenziando vicinanze con gli uomini di Cosa

Trapani, l’ombra di Cosa
Nostra dietro lo scandalo

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A TRAPANI
Questa è la storia di una guerra per il «potere» e il «denaro» in terra di mafia, combattuta all’interno della Chiesa e che ha avuto delle vittime: un vescovo destituito, un economo diocesano sospeso a divinis e indagato dalla magistratura italiana. L’uno e l’altro fino a ieri - e chissà se non ancora - con pesanti coperture, con cardinali e ministri che dalla Santa Sede hanno dispensato loro benedizioni. «Il Vescovo Miccichè per parte di madre ha stretti legami parentali con uomini d’onore di San Giuseppe Jato». Benvenuti a Trapani.
Il narratore di questa storia è un prelato influente. Tanto che le precisazioni della Procura di Trapani di non nominare il nome di Matteo Messina Denaro invano, sono superate dalla «terribile preoccupazione» che non viene nascosta neppure tra i collaboratori più stretti del Santo Padre. E cioè che tra i soldi trapanesi transitati su conti Ior, «si nascondono soldi orribili». E il perché lo spiega il nostro prelato: «È emerso solo uno spruzzo di lava, sotto c’è una bomba a orologeria che è pronta a esplodere». E, dunque, colpisce che il vescovo defenestrato, Francesco Miccichè, che pure aveva avuto la proposta di dimettersi in cambio di un coperchio sullo scandalo, sia «accusato» di essere «vicino ad ambienti mafiosi».

Rimosso dal Pontefice

Il suo processo - con condanna - l’ha subito in tempi strettissimi. Il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, era stato inviato dal Papa a ispezionare e riferire direttamente a lui. L’istruttoria, da giugno a dicembre, si è conclusa con una «camera di consiglio» e al termine (a maggio), il Pontefice ha sostituito Micciché. Quali le colpe, i reati e i peccati di Miccichè? Purtroppo, nell’inchiesta della Procura di Trapani sugli imbrogli dell’ex economo della diocesi, don Ninni Treppiedi, il vescovo è parte lesa, è la vittima di una campagna diffamatoria e calunniatoria che don Ninni ha orchestrato con due giornalisti locali. Ma il sospetto è che i due abbiano «alienato beni della diocesi» che non potevano alienare perché sarebbe stato necessario il consenso del Vaticano, essendo di valore superiore al milione di euro. E le operazioni sono state prive di autorizzazioni interne come sarebbe stato necessario.

Vista da Oltretevere, questa di Trapani è la storia di due soci in affari, il Vescovo e l’economo, che a un certo punto rompono il loro rapporto per questione di affari. In un’intervista a un mensile siciliano, don Ninni Treppiedi ha detto: «Credo che quando due persone dopo dieci anni che stanno insieme divorziano (il riferimento è alla rottura con il Vescovo Miccichè, ndr) quanto meno devono avere la buona creanza di lavare i propri panni, soprattutto se si tratta di cose molto delicate, in casa, in questo caso tra le stanze del Vaticano e non andarsi a sputtanare».

Forse possono infastidire certe parole, ma la sostanza è più grave: non portare fuori dalla Chiesa le beghe interne è un messaggio tipicamente mafioso. Secondo i testimoni di questa faida, in realtà, la rottura avviene quando il Vescovo promuove l’economo nominandolo arciprete di Alcamo. Don Ninni si «allarga», bypassando il vescovo nella promozione di affari immobiliari.

La rottura definitiva

La rottura tra i due avviene dunque per motivi di potere e denaro. Era stato don Ninni a introdurre il Vescovo nel mondo della politica locale, alla corte di Antonio D’Alì, ex sottosegretario all’Interno con delega a gestire i fondi dedicati al culto. Si cementa così un rapporto d’interesse intenso. Il sottosegretario è molto attento a soddisfare le richieste del vescovo per ristrutturare chiese, conventi, luoghi di culto. E don Ninni cresce grazie a certe frequentazioni.

Trapani è città di massonerie e logge coperte. Il senatore D’Alì, poiché il padre di Matteo Messina Denaro era campiere nelle terre di famiglia, conosceva bene il capo dei Corleonesi nel Trapanese. E il senatore, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, ha ottenuto il rito abbreviato.

La storia di questa guerra tra due schieramenti interni alla Chiesa sembra la metafora di una guerra incruenta interna a Cosa nostra. In carcere tutti i «viddani» (da Riina a Provenzano), della vecchia guardia è libero solo Matteo Messina Denaro. È un reduce. Defenestrato il vescovo, don Ninni si pensa vincitore, anche se è stato sospeso a divinis. E presto la giustizia italiana farà il suo corso. Per don Ninni è questione di ore e poi dovrà vedersela in Tribunale.

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