Joseph Ratzinger e Walter Kasper, il più “romano” e il più “anti
romano” e anti curiale tra i vescovi-teologi di una gloriosa generazione
tedesca, si ritrovano a fine agosto a Castel Gandolfo per il consueto
raduno con gli ex alunni del “Ratzinger Schuelerkreis”, che il Papa ha
voluto dedicare quest’anno a un tema quantomai attuale tra le diverse
sensibilità teologiche della chiesa di Roma: i rapporti tra cattolici,
luterani e anglicani, che sarà sviscerato proprio anche a partire da un
libro di Kasper del 2009: “Raccogliere i frutti”, una summa del rapporto
tra le chiese cristiane.
Il tema ribolle non da oggi. In passato, infatti, ha diviso Ratzinger e Kasper, come ha diviso le anime della cattolicità. Convinto del necessario primato della chiesa universale sulla chiesa locale, Ratzinger si è dovuto confrontare per anni con colui che Giovanni Paolo II mise a capo del “ministero” vaticano che si occupa di ecumenismo, Kasper appunto, sostenitore al contrario che il primato spettasse alle chiese locali. Che in estrema sintesi significa: perché non dare maggiore autonomia alle chiese locali, magari concedendo loro la possibilità di eleggersi i vescovi?
Sotto c’è la grande controversia dell’esercizio del primato di Pietro, dibattuta da secoli e anche, aspramente, durante il Concilio Vaticano II. E’ stato Hermann Josef Pottmeyer, per più quinquenni membro della commissione Teologica internazionale, a riassumere con un’immagine suggestiva l’essenza della controversia: “Se si paragona la teologia a un paesaggio, la tradizione teologica intorno al ministero petrino assomiglia a una regione di frontiera tra due paesi da lungo tempo nemici. Si inciampa dappertutto sulle tracce dei combattimenti: antiche trincee, vecchi bunker e, tra i residuati bellici più pericolosi, alcune mine. La mina più pericolosa è il dogma sul primato del successore di Pietro, pronunciato al Concilio Vaticano I”.
Secondo il teologo ribelle Hans Küng, il Vaticano I aveva definito il primato come una monarchia papale assoluta e l’infallibilità papale come un’infallibilità a priori. Mentre il Vaticano II parla di ecclesiologia di comunione. Riusciranno le due visioni a conciliarsi? Riuscirà Ratzinger a sorprendere e a trovare una terza via? La storia insegna che, in passato, Ratzinger e Kasper si sono trovati spesso divisi su più questioni, seppure non siano mai in nessun modo arrivati alla rottura.
Al di là delle vicende ecumeniche, celebre fu la controversia che negli anni Novanta riguardò il rapporto tra chiesa universale e chiese locali, con Ratzinger che assegnava il primato alla prima e Kasper alle seconde. Un’altra controversia, di carattere più pastorale, riguardò la comunione ai divorziati risposati: Kasper, assieme al cardinale tedesco Karl Lehmann, era più possibilista, mentre Ratzinger più rigorista. E ancora lo scontro sul lasciapassare all’aborto indirettamente rilasciato dai consultori cattolici in Germania. All’epoca, a mediare tra l’episcopato tedesco e l’ex Sant’Uffizio governato da Ratzinger c’era, come nunzio in Germania, Giovanni Lajolo.
Ma su altre vicende i due si ritrovarono, a sorpresa, vicini. In particolare sul concetto di Gesù Cristo “unico salvatore di tutta l’umanità”, oggetto della dichiarazione “Dominus Iesus” emessa da Ratzinger nel 2000. Kasper si distaccò dal coro dei critici, tra i quali anche alti ecclesiastici, e contestò “le interpretazioni cosiddette liberali, che si definiscono progressiste, ma che sono in realtà sovversive”. Così anche su un altro tema particolarmente sensibile per Ratzinger: la liturgia. Kasper arrivò a dire, contro coloro che intendono la liturgia come collaterale alla vita di fede: “La crisi della concezione dell’eucaristia è il nucleo stesso della crisi della chiesa odierna”.
E oggi? A cosa serve l’incontro di fine agosto al “castello”? E’ solo un modo tramite il quale il Papa intende farsi un’idea più approfondita dello stato dei lavori oppure c’è di più? Rispondere non è facile. Di certo c’è un fatto: la Costituzione apostolica Anglicanorum Coetibus che permette agli anglicani che lo desiderano di tornare alla piena comunione con Roma pur mantenendo i propri riti e le proprie tradizioni, come anche altri segnali lanciati dal Papa ai protestanti (non ultima l’effettiva riabilitazione di Lutero che Benedetto XVI ha voluto fare pubblicamente durante la celebrazione ecumenica a Erfurt) confermano che un certo fermento è in atto.
Tra l’altro, è con dovizia di particolari e competenza che un officiale della Dottrina della fede, Riccardo Bollati, ha da poco dato alle stampe per Città Nuova un lavoro che senz’altro Ratzinger avrà modo di visionare: “L’alba dell’unità. In dialogo con Jean-Marie Tillard”. Ecumenista domenicano scomparso nel 2000, Tillard partecipò ai lavori del Vaticano II come esperto insieme a Ratzinger – allora entrambi ricevettero la nomina giovanissimi – e fu poi, nel dopo Concilio, protagonista ai massimi vertici del dialogo teologico della chiesa cattolica sia con le chiese ortodosse, sia con la comunione anglicana, due straordinarie avventure di dialogo che molto hanno prodotto e che sono ancora in corso.
Fra i frutti di questi dialoghi, vi sono numerosi documenti di accordo. Di grande interesse è l’ecclesiologia soggiacente ad alcuni di quei testi, dietro cui si intravede l’importante contributo del pensiero di Tillard, la cui lezione – “chissà perché rimasta per anni al margine della querelle Kasper-Ratzinger”, ha scritto recentemente la rivista Jesus – puntava appunto sulla natura della chiesa di Gerusalemme. Essa, per Tillard, era chiesa locale, nella quale la chiesa di Dio si realizza come cattolica e apostolica: le altre chiese locali non aggiungono nulla e non sono appendici di quella, perché con essa comunicano, in una economia che è la stessa dell’Incarnazione.
Per Tillard, in sostanza, il primato di Pietro resta, seppure occorrerebbe che la chiesa di Roma restituisse alle altre chiese quei loro diritti che essa si è invece riservata. E ciò varrebbe, in primo luogo, per la nomina dei vescovi. Si tratta di una prospettiva interessante, colma di spunti e di provocazioni, di luci e di ombre, la cui ricchezza, forse, si sta cominciando solo ora a sondare a fondo. In questa direzione va il tentativo di Bollati. Di certo, il contributo che proviene dal pensiero di teologi come Ratzinger, Kasper e Tillard, ha ancora molto da dire ai dialoghi ecumenici in corso e sarà oggetto di discussione anche nel corso dell’annuale “schülerkreis” di Castel Gandolfo.
Pubblicato sul Foglio sabato 14 luglio 2012
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