ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 10 luglio 2012

“La ragione di non obbedire”




 (papa Leone XIII)
Premessa
Papa Leone XIII nell’enciclica Diuturnum del 29 giugno 1881 insegna che: «Una sola ragione possono avere gli uomini di non obbedire, se cioè si pretende da essi qualsiasi cosa che contraddica chiaramente al diritto divino e naturale, poiché ogni cosa, nella quale si vìola la legge di natura e la volontà di Dio, è egualmente iniquità sia il comandarla che l’eseguirla. Quindi se capita a qualcuno di vedersi costretto a scegliere tra queste due alternative, vale a dire infrangere i comandamenti di Dio o quelli dei Governanti, si deve obbedire a Gesù Cristo, […], e ad esempio degli Apostoli si deve coraggiosamente dire: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (Act. V, 29). Perciò, non si possono accusare coloro che hanno agito così di aver mancato all’obbedienza, poiché se il volere dei Prìncipi [civili ed ecclesiastici] contraddice quello di Dio, essi sorpassano il limite della loro Autorità e pervertono il diritto e la giustizia. Dunque in tal caso non vale la loro Autorità, la quale è nulla quando è contro la giustizia».

Ora – per fare un esempio di estrema attualità – con la “Libertà religiosa”, proposta pastoralmente dal Concilio Vaticano II nel Decreto Dignitatis humanae personae del 7 dicembre 1965 e riproposta ultimamente in ambiente “tradizionalista” come fosse in continuità con la Tradizione si chiede di obbedire ad una dottrina che contraddice apertamente la S. Scrittura, la Tradizione apostolica e il Magistero costante e tradizionale della Chiesa, da papa Gelasio sino a Pio XII. Quindi non obbedire a tale “iniquità”, come la qualifica papa Leone XIII, è un dovere.
La Sacra Scrittura
Il Vangelo Secondo Giovanni (V, 22) ci rivela che “Il Padre […] ha rimesso ogni giudizio nelle mani del Figlio”. Ora è il re che giudica, legifera e fa eseguire gli ordini dati. Quindi Cristo è re, è il Verbo Incarnato venuto in questo mondo per riconciliarlo con Dio e per fondare il Regno di Dio già su questa terra: “Il Regno di Dio è già in mezzo a voi” (Lc., XI, 20), anche se esso sarà pieno e perfetto solo in Paradiso. Questo Regno di Dio fondato da Cristo continuerà, mediante la Sua Chiesa, sino alla fine del mondo.
Il Vangelo Secondo Luca (I, 31-32) ci rivela che l’Arcangelo Gabriele annunziò alla Beata Vergine Maria: “Darai alla luce un figlio, cui porrai nome Gesù […] e il suo regno non avrà fine”.
Gesù stesso risponde a Pilato: “Tu lo dici, Io sono re” (Gv., XVIII, 37). È altresì rivelato che chi appartiene al suo Regno, il giorno del Giudizio, sarà chiamato da Cristo Giudice ad entrare in Paradiso, chi non ne fa parte sarà condannato al fuoco eterno (Mt., XXV, 34, 41). Quindi è di fondamentale importanza conoscere il vero Regno o Chiesa di Cristo sulla terra per salvarsi l’anima in eterno. Infatti il Regno di Dio nasce nel mondo, ma si perfeziona e fiorisce in Paradiso. Quando Gesù è asceso in Cielo ha lasciato qui sulla terra degli uomini: “come il Padre ha inviato Me, così Io invio voi” (Gv., XX, 21) perché il suo Regno continui “tutti i giorni sino alla fine del mondo” (Mt., XXVIII, 20) ed ha conferito il primato di giurisdizione a Pietro: “Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa. Ti darò le chiavi del Regno dei Cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nel Cielo…” (Mt., XVI, 18-20).
Gli Atti Degli Apostoli insegnano esplicitamente che “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” quando comandano il male. Quindi è rivelato, implicitamente, che il potere temporale è subordinato a quello spirituale (V, 29)[1].
La retta ragione
La retta ragione insegna con Aristotele (Politica, V) e San Tommaso D’Aquino (De regimine principum, lib. I, cap. 14) che l’uomo per natura è socievole o “animale sociale”, cioè fatto per vivere non da solo, “silvestre e solivago”, ma in una società prima imperfetta (la famiglia) e poi perfetta (lo Stato). Ora se per natura – che è creata da Dio – l’ uomo è socievole, anche la Società familiare e civile sono creatura e opera di Dio e quindi anch’esse devono adorarLo e prestarGli il culto col quale Egli vuole essere adorato. Ne consegue che la famiglia e lo Stato devono essere sottomessi alla Chiesa che in terra rappresenta Dio. La separazione tra Stato e Chiesa, dunque, è contraria non solo alla divina Rivelazione (Tradizione e Scrittura), ma anche alla sana filosofia e alla retta ragione. La Chiesa l’ha condannata ininterrottamente per circa 1400 anni nel Suo Magistero costante, e quindi infallibile, a partire da papa Gelasio I (+496) sino a Pio XII (+1958). Purtroppo essa è stata fatta propria dall’ insegnamento pastorale, non dogmatico e quindi non infallibile, del Concilio Vaticano II nella Dichiarazione Dignitatis humanae personae del 7 dicembre 1965 sulla “Libertà religiosa” interpretata e applicata autoritativamente da Paolo VI e Giovanni Paolo II nei Concordati con la Spagna (1978) e con l’Italia (1984).
I Padri ecclesiastici
●San Gregorio Nazianzeno (+390) insegna che “come la carne è sottomessa all’anima, le cose terrene a quelle celesti, così i magistrati imperiali devono esserlo all’autorità dei vescovi” (Homilia XVII).
●San Giovanni Crisostomo (+407) afferma che “come la luna riceve e riflette i raggi e la luce del sole così il potere temporale riflette l’autorità di quello spirituale” (Homilia XV super IIam Cor.).
●Sant’Ambrogio (+ 397) scrive nel 386 che “l’imperatore è dentro la Chiesa e non sopra di essa” (Sermo contra Auxentium de basilicis tradendis).
●Sant’Agostino (+430) asserisce che “uno dei doveri dell’imperatore è di mettere il suo potere regale al servizio di Dio” (De civitate Dei, lib. V, cap. 24). Inoltre insegna che “i re temporali servono Dio prima proibendo e poi punendo le trasgressioni della Legge divina. Mentre l’ individuo serve Dio vivendo la Fede informata dalla Carità, il re in più deve promulgare leggi conformi a quella divina, che proibiscano il male e comandino il bene” (Epistula ad Bonifatium).
La stessa dottrina, pur con sfumature accidentali, è stata esposta da S. Isidoro Da Siviglia (+636, Sent., III, 51) e S. Bernardo Di Chiaravalle (+1173, Epistola a papa Eugenio III sulle due spade) che per la grandezza di dottrina è considerato l’ultimo Padre della Chiesa anche se “fuori tempo” (XII secolo).

I Dottori della Chiesa
S. Tommaso D’Aquino (+1274), In IVum Sent., dist. XXXVII, ad 4, Quaest. quodlib., XII, a. 19; S. Th., II-II, q. 40, a. 6, ad 3; e in III, qq. 58-59 come in Quodlib. XII, q. XII, a. 19, ad 2, Cajetanus (+1534), De comparata auctoritate Papae et Concilii, tratt. II, pars II, cap. XIII, S. Roberto Bellarmino (+1621), De controversiis e F. Suarez (+1617), Defensio Fidei catholicae insegnano la stessa verità anche se con le differenze accidentali di cui sopra (plenitudo potestatis cioè potere diretto sia nelle cose spirituali sia nelle cose temporali o potere indiretto in temporalibus e diretto in spiritualibus).

I teologi e i canonisti e la sintesi del card. Ottaviani
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[1] Certamente il Regno di Dio è “principalmente” spirituale ed è finalizzato alla salvezza eterna delle anime. “Tuttavia – puntualizza Pio XI – errerebbe gravemente chi volesse restringere il Regno di Dio solo al piano spirituale” (Quas primas, 1925). Ma occorre dire che Gesù e la sua Chiesa non esercitano il potere nelle cose temporali e lo lasciano ai prìncipi, deputati a governare le cose temporali: “Non eripit mortalia, Qui Regna dat coelestia” (Inno dei Vespri dell’Epifania). Nella Chiesa vi sono delle differenze accidentali sulla dottrina della Regalità sociale di Cristo. Infatti la scuola della “plenitudo potestatis” (S. Gregorio VII, Innocenzo III, Innocenzo IV, Bonifacio VIII) insegna che Cristo, e quindi il Papa Suo Vicario in terra ha il potere diretto nelle cose sia spirituali che temporali, ma che non vuole esercitarlo direttamente in temporalibus e lo delega ai prìncipi, mentre i Dottori della Controriforma (S. Roberto Bellarmino e Francisco Suarez) insegnano la dottrina del potere diretto in spiritualibus e indiretto in temporalibus ratione peccati, ossia solo quando il principe legifera malamente interviene l’Autorità spirituale a correggere il suo errore: per esempio un Principe che legalizza l’aborto o il divorzio può e deve essere corretto dal Papa “ratione peccati” a causa del peccato che ha commesso nel promulgare una legge difforme da quella divina. Ma, nonostante queste differenze accidentali, nessuno ha mai insegnato la separazione tra potere spirituale e temporale. Anzi chi lo ha fatto (Marsilio da Padova, Filippo il Bello, Guglielmo Ockam, Nicolò Machiavelli, Felicité de Lammennais, Camillo Cavour, Romolo Murri) è stato condannato dalla Chiesa.
 http://www.sisinono.org/anteprime-2012/185-anno-xxxviii-nd-12

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