Il numero luglio-agosto 2012 della rivista Il Timone contiene
un articolo della prof.ssa Ilaria Ramelli, socio onorario della Fraternitas
Aurigarum, dal titolo “Gesù: nessuno sgarbo a Maria”;
l’articolo è la sintesi di un ampio saggio uscito su una pubblicazione
specializzata1.
In effetti tale sgarbo ci sarebbe stato se si prestasse fede alla traduzione,
dal greco originario, di una risposta data da Gesù a Maria durante la festa di
nozze, descritta nel secondo capitolo del Vangelo di Giovanni. Di seguito il
capitolo in questione, nella traduzione approvata dalla Conferenza Episcopale
Italiana (CEI) nel 2008, con la risposta di Gesù a Maria è evidenziata in
grassetto (Gv 2,1-11):
“1Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a
Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle
nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il
vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù
le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua
madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”.
6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”.
Ugualmente sgarbata suonava la risposta di Gesù nella
traduzione dello stesso capitolo, come approvata dalla CEI nel 1974:
Il commento della Bibbia di Gerusalemme al
Vangelo di Giovanni 2,4 alla traduzione CEI del 2008 precisa che la frase: « …
che vuoi da me?», se tradotta letteralmente dal greco, sarebbe invece «Che
cosa a me e a te?» [in greco, appunto, Ti emoi kai soi gynai];
sempre la Bibbia di Gerusalemme aggiunge che si tratta di un“semitismo
piuttosto frequente nell’A.T. (Gdc 11,12; 2Sam 16,10; 2Sam19,23; 1Re17,18; ecc)
e nel N.T. (Mt 8,29; Mc 1,24; Mc 5,7; Lc 4,34; Lc 8,28). Lo si usa per
respingere un intervento giudicato innopportuno o per manifestare a qualcuno
che non si vuole avere con lui alcun rapporto. Solo il contesto consente di
precisare la sfumatura esatta”3.
Già il confronto con la traduzione letterale fa vedere come
la CEI sia nel 1974 che nel 2008 abbia dato della risposta di Gesù a Maria
delle interpretazioni “a senso”, che come spesso avviene in casi del genere
sono del tutto opinabili. Rimanendo più aderenti alla traduzione letterale,
visto che per renderla più chiara in italiano è necessario aggiungere un verbo,
si poteva dire nel testo della CEI del 1974 “che cosa si può fare sia io che
te” oppure nel testo della CEI del 2008 “la cosa non ci riguarda”4 .
Anche esaminando due dei passi biblici proposti dalla Bibbia
di Gerusalemme in nota a Gv 2,4, si nota come la traduzione avrebbe
dovuto avere una “sfumatura differente” rispetto a quella proposta dalla CEI.
Riportiamo dapprima il passo 2Sam 16,5-10 dove troviamo il Re Davide che viene
insultato da un certo Simei; un seguace del Re chiede di intervenire per
metterlo a tacere; in grassetto il dialogo tra questi due ultimi:
5Quando poi il re Davide fu giunto a Bacurìm,
ecco uscire di là un uomo della famiglia della casa di Saul, chiamato Simei,
figlio di Ghera. Egli usciva imprecando 6e gettava sassi contro
Davide e contro tutti i servi del re Davide, mentre tutto il popolo e tutti i
prodi stavano alla sua destra e alla sua sinistra. 7Così diceva
Simei, maledicendo Davide: «Vattene, vattene, sanguinario, malvagio! 8Il
Signore ha fatto ricadere sul tuo capo tutto il sangue della casa di Saul, al
posto del quale regni; il Signore ha messo il regno nelle mani di Assalonne,
tuo figlio, ed eccoti nella tua rovina, perché sei un sanguinario». 9Allora
Abisài, figlio di Seruià, disse al re: «Perché questo cane morto dovrà maledire
il re, mio signore? Lascia che io vada e gli tagli la testa!». 10Ma
il re rispose: «Che ho io in comune con voi, figli di Seruià? Se maledice, è
perché il Signore gli ha detto: «Maledici Davide!». E chi potrà dire: «Perché
fai così?»».
Nel greco dei LXX l’inizio della risposta
di Davide (quella tradotta con “Che ho io in comune con voi, figli di
Seruià”) alla lettera è: “Che cosa a me e voi figli di Seruià”. Una
sua migliore traduzione a senso, vista la giustificazione di Davide perché si
lasci dire a Simei quello che vuole, sarebbe stata allora:” Cosa
possiamo fare io e voi figli di Seruià, se maledice è perché il Signore gli ha
detto5 …”
Considerazioni analoghe si possono fare su un altro dei
passi citati dalla Bibbia di Gerusalemme a titolo
esemplificativo: si tratta della cacciata dei demoni, che possedevano un uomo,
descritta nel Vangelo di Marcoal capitolo 5,1-10; la parte che
interessa è come al solito in grassetto:
1 Giunsero all’altra
riva del mare, nel paese dei Gerasèni. 2Sceso dalla barca,
subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro.
… 6Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi 7e,
urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio
altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». 8Gli
diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». 9E gli
domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché
siamo in molti». 10E lo scongiurava con insistenza perché non
li cacciasse fuori dal paese.
Come
prima abbiamo una traduzione a senso dal greco che alla lettera dice: “Che
cosa a me e a te6“ e
che quindi poteva essere tradotto meglio con “Lasciami stare” oppure
con “Noi non abbiamo nulla in comune”oppure con “Che vuoi
da me?” . Questa due ultime espressioni sono identiche a quelle
adottate dalla CEI per la risposta di di Gesù a Maria, rispettivamente nel 1974
e nel 2008. Ma come è evidente il contesto è diverso e quindi la traduzione
deve tenerne conto.
In definitiva è proprio il contesto a dare la giusta
sfumatura alla frase e quindi alla sua traduzione, come ha dimostrato nel suo
saggio, citato alla nota 1, la prof.ssa Ramelli, dissentendo dalle traduzioni
della CEI sia del 1974 che del 2008 e arrivando ad affermare: “Il
problema risiede nella traduzione dal greco che è sbagliata”.
Oltre al contesto, la prof. Ramelli ha tenuto conto del
senso e della logica del racconto evangelico di Giovanni: in primo luogo, fa
notare, come sia impossibile che Gesù abbia offeso la Madre pubblicamente,
durante un ricevimento al quale era Lei ad essere stata invitata in una
posizione di riguardo, come evidenzia il racconto: è anche strano credere che
Gesù, nel momento che la offendeva, le avesse dato della Donna,
ossia della Signora. Fra l’altro, se si volesse prestare attenzione
alla traduzione CEI del 1974: «Che ho da fare con te, o donna?», come
osserva argutamente la Prof.ssa Ramelli, può un figlio dire che non ha nulla a
che fare con sua madre?
Inoltre il senso della frase di Gesù si può comprendere
solo tenendo conto dell’osservazione di Maria (“non hanno più vino!”) e
della spiegazione successiva di Gesù (“non è ancora venuta la mia ora”);
ci troviamo nello stessa situazione di Davide, quando dice a “cosa ci
possiamo fare sia io che te; è Dio che lo ispira”. E, infine, si chiede
giustamente la prof.ssa Ramelli, è possibile che il Discepolo prediletto di
Gesù, quello che ha accolto sua Madre con sé a partire dal Calvario, nel suo
Vangelo abbia voluto ricordare una “sgarberia” del Maestro nei riguardi della
Madre?
Molto più importante è il confronto fatto dalla prof.
Ramelli tra il testo greco originario e le sue antiche traduzioni in altre
lingue antiche7.
Essa dapprima afferma che l’espressione Ti emoi kai soi (Che
cosa a me e te?) si ritrova nelle lingue semitiche, ma non è esclusivamente
loro, tanto da ritrovarsi in un passo di Platone ed in altri scritti greci sia
precristiani che postcristiani. La traduzione antica della risposta di Gesù in
altre lingue (siriaco, copto, latino) rispetta l’espressione originale meglio
delle traduzioni moderne come quelle della CEI del 1974 e del 2008. Anzi fa
notare la prof. Ramelli è interessante la traduzione della Vulgata che
recita Quod mihi et tibi est, mulier [']; nondum venit hora mea; l’aggiunta
del verbo essere dà l’esatta percezione che i latini avevano
della risposta di Gesù, certo ben diversa da quella della traduzione CEI.
In definitiva, secondo la prof. Ramelli, la traduzione
giusta della frase di Gesù alla Madre dovrebbe essere: “Cosa importa a me e
a te, o Donna (Signora); non è ancora giunta la mia ora”.
A conferma di quanto da lei affermato, la prof. Ramelli fa
notare che già alcune traduzioni moderne sia in italiano che in francese ed in
inglese8 sono
coerenti con la sua conclusione.
E’ interessante infine che il prof. Renato De Zan, noto
biblista e conoscitore delle lingue aramaica e greca, sia arrivato allo stesso
convincimento della prof.ssa Ramelli: infatti nel volume, pubblicato assieme a
don Roberto Laurita La Parola della Chiesa – Commento alle letture
delle domeniche e delle feste – Anno C, egli scrive:
“La frase di Gesù a sua madre non ha niente di
irriverente. Per un semita dire: «Che ho a che fare con te, o donna?» equivale
a dire per un occiedentale: «C’è mai stato un contrasto tra noi?», oppure: «E’
una cosa che non dovrebbe interessarci». Chiamare, poi, sua Madre con il nome
di gyne, donna, è un modo nobilissimo e profetico : Lei è la donna-madre, che
ai piedi della croce accoglierà, come figlia la Chiesa di suo Figlio (Gv 19,26)
e, inoltre, Lei è la «donna» annunciata misteriosamente nella «donna»
di Genesi 3,15 (il protovangelo)”9.
Salvatore Scuro
NOTE
1Il saggio ha per titolo TI
EMOY KAI SOI GYNAI (John 2,4): philological, contextual and exegetical
arguments for understanding “What does this matter to me and to you?” ed è
stato pubblicato in «Exemplaria Classica», 12 (2008), pp.103-133.
Tale saggio è facilmente reperibile nel web.
2Per Giovanni “l’ora di Gesù” è
il tempo della sua missione, il tempo in cui Egli compirà “segni” che
serviranno ad accreditarlo come il Messia ed il Figlio Dio; è “l’ora” che
culminerà sul Calvario e nel Sepolcro, ma che porterà anche alla sua
Resurrezione gloriosa (in contrapposizione “all’ora delle tenebre”).
3La Bibbia di Gerusalemme non
spende una parola per spiegare il vocativo “donna” utilizzato
da Gesù nella sua risposta a Maria, che sembrerebbe rafforzare il supposto
sgarbo; è come se Gesù dicesse “Che hai da parlare tu che sei solo una
donna”. Si deve precisare, invece, che la donna nell’antico oriente semita
godeva di molto rispetto e, inoltre, è proprio con lo stesso appellativo “Donna” che
inizia la frase di Gesù appeso alla croce, quando affida il discepolo favorito
alla Madre. Il termine greco che viene tradotto con “donna” è gynaivocativo
di gyne; a questa voce il Vocabolario della lingua greca di
Franco Montanari (Loescher Editore, Torino 1995) precisa che al vocativo
significava proprio Signora; era l’equivalente del Domina in
latino. Piuttosto sarebbe interessante se qualche buon conoscitore della lingua
aramaica potesse ipotizzare quale fosse il termine con cui Gesù si è rivolto
nell’occasione a Maria; e se questo termine, reso in greco da Giovanni con gynai, fosse
usato per dire donna nel senso di Madre, in senso appunto di rispetto? Questo
spiegherebbe bene la frase di Gesù in croce che non sarebbe più “Donna (nel
senso di Signora) ecco tuo figlio”, ma di “Madre
ecco tuo figlio”.
4Non si può nemmeno dire che
l’espressione “che cosa a me e a te” sia tipicamente semitica:
anche in italiano l’espressione “E a me e a te?” come risposta
o commento a qualcosa detto da un interlocutore è chiarissima e di uso
corrente, magari accompagnata da un verbo, come nella frase: “E a me e
te cosa ne viene?”.
5Il versetto 10 in greco, nella sua
interezza, è: καὶ εἶπεν ὁ βασιλεύς· τί ἐμοὶ καὶ ὑμῖν, υἱοὶ Σαρουΐας; ἄφετε
αὐτὸν καὶ οὕτως καταράσθω, ὅτι Κύριος εἶπεν αὐτῷ καταρᾶσθαι τὸν Δαυίδ, καὶ τίς ἐρεῖ,
ὡς τί ἐποίησας οὕτως.
6Il versetto 7 in greco nella sua
interezza è: καὶ κράξας φωνῇ μεγάλῃ λέγει· Τί ἐμοὶ καὶ σοί, Ἰησοῦ υἱὲ τοῦ θεοῦ τοῦ ὑψίστου; ὁρκίζω σετὸν θεόν, μή με βασανίσῃς
7La prof.ssa Ramelli conosce numerose
lingue antiche, tra le quali l’ebraico, il siriaco, il copto, l’armeno, tanto
da essere spesso interpellata per tradurre antichi testi. Numerossissime sono
le sue pubblicazioni, la maggior parte delle quali si trova in riviste
specializzate.
8Gli esempi di traduzione più vicini
al giusto senso, citati dalla prof.ssa Ramelli nel suo saggio, sono quelli:
- in
inglese della New Revised Standard Version (NRSV): “Whoman,
what concern is that to you and to me? My hour has not yet come”;
- in
spagnolo della Sagrada Biblia (Facultad de Teología,
Universidad de Navarra): “Qué tenemos que ver nosotros?” (che
risolve i pronomi emoi kai soi in un pronome plurale);
- in
italiano di Piero Rossano (Vangelo secondo Giovanni, Milano 1984): “E
che importa a me e a te?”.
9Anche don Ennio Innocenti sottolinea
nel cap. 12 del suo libro sull’Apocalisse (Il senso teologico della storia:
breve commento all’Apocalisse, ed. Fraternitas Aurigarum Urbis, Roma 2008)
che la Donna è proprio la Madre di Gesù.
Solo per completezza di informazione, vista la discordanza
con quanto sostiene la prof. Ramelli, si riporta il commento di Padre Silvano
Fausti al dialogo tra Gesù e Maria (Una comunità legge il Vangelo di
Giovanni, ed. EDB, Milano 2008, pag. 48): “«Che a me e a te?». La
risposta di Gesù è una domanda. L’espressione, a noi oscura, è presa dal
linguaggio diplomatico dell’epoca, che significa: «Che c’è tra me e te?». Con
queste parole si interpellano due alleati, richiamandosi al patto che esiste
tra loro, quando c’è da chiarire qualcosa che lo mette in questione. Non esige
risposta; fa solo riflettere sui doveri reciprocamente assunti … «Non è
forse ancora giunta la mia ora?»» … alla solita traduzione «non è
ancora venuta la mia ora» prefereriamo questa in forma interrogativa. Infatti
quanto Gesù dice non è un diniego; lo si vede chiaramente da come lo intende
Maria. E’ invece un richiamo al fatto che è giunta l’ora in cui lo Sposo
manifesta la sua gloria”.
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