ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 29 ottobre 2012

Dalla Fabbrica dei Santi alla morte dei santi?


Dopo la bulimia da beatificazione compulsiva, una riflessione sulla degenerazione del processo canonico. E una domanda: ha ancora un senso fare dei santi?

In finale l’amaro j’accuse di don Ariel Levi di Gualdo sulla

Congregazione per le Cause dei Santi

..attorno alla Congregazione per le Cause dei Santi, circola anche e soprattutto un piccolo esercito di ignoranti, in buona parte laici falliti in vari settori lavorativi e professionali di questa nostra spietata e competitiva società, pronti a ciucciare soldi a più non posso a congregazioni ridotte a trenta suore litigiose in bilico tra isterico e geriatrico, età media ottant’anni, che vogliono a tutti costi santo o santa il fondatore o la fondatrice. Postulatori e tante postulatrici rubate alle cucine dove con un po’ d’impegno avrebbero potuto imparare a fare ottime marmellate biologiche per i loro figlioletti. Ignoranti come pochi in teologia, latori di domande e confezionatori di documenti nei quali si ignorano gli elementi basilari della storia della Chiesa e soprattutto del diritto canonico. Azzeccagarbugli che promettono e che al tempo stesso chiedono trenta o quarantamila euro di acconto spese, per dei processi che alla fine non si sa quanto sono costati; non si sa dove si è speso e perché si è speso, poiché di prassi non viene quasi mai presentato un bilancio dettagliato (…) Credo eccome, nella Chiesa intesa come Corpo Mistico di cui Cristo è capo e noi membra; e proprio perché in essa credo, ritengo che vada quanto prima tutelata mediante la salutare soppressione di questa chiesa clericale che ha dato vita a situazioni ormai insostenibili sotto tutti gli aspetti più disparati. Per salvare il Corpo Mistico del Cristo bisogna far fuori il “corpo diplomatico” clericale. E chiunque lo faccia, chiunque concorra attivamente a farlo, che sia proclamato santo.

 Antonio Margheriti Mastino

 DINANZI ALLA BULIMIA DI BEATIFICAZIONI MANGIANDO TRAMEZZINI

Il prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, card. Angelo Amato, presiede una beatificazione

E’ difficile dirlo, fa male anche, ma bisogna infine decidersi a sputare il rospo: vi giuro che queste mie (e non solo mie) riflessioni le scrivo in ginocchio, dolorante, senza rabbia. Dopo la bulimia di “nuovi santi e beati” alla quale assistiamo inerti da un trentennio, è difficile provare ancora vero interesse per aventi come le beatificazioni o canonizzazioni. Soprattutto perché sembra smarrito il significato reale e profondo di tali istituti. Un volta erano l’evento più alto, solenne, indimenticabile della Chiesa. Tanto che i papi si facevano scolpire sulla propria lapide, in bassorilievo, proprio quell’evento, magari quell’unica canonizzazione che avevano officiato nel loro pontificato, come “evento capitale” di questo. Fino all’immediato dopoguerra, una beatificazione o canonizzazione mobilitava tutti i media, gonfiava i cuori dei presenti all’evento sacro di emozione, certissimi di essere presenti a un evento che sarebbe stato ininterrottamente rievocato nei secoli a venire. Oggi è ordinaria amministrazione di una farraginosa burocrazia clericale, lucrosa spesso.

Che qualcosa non andasse più me ne resi conto qualche anno fa. Era domenica e mi trovavo nei dintorni di San Pietro, a cazzeggiare annoiato. Sentivo che nella Piazza c’era un evento papale, e forse era il caso di non perderselo, mi dicevo. Chiesi al barista, mentre sorseggiavo il caffè che mi permettesse di mantenere viva l’attenzione nelle ore a seguire, di cosa si trattasse. “Buh, pare stanno a fa’ n’artra fagottata de santi… prima o poi nun ce resteno più peccatori a botta de fa’ tutti santi”. Così disse. E un  po’ di ragione ce l’aveva.

Sbadigliante e del tutto indifferente all’evento, andai lento pede a dare un’occhiata alla cerimonia. C’era ancora Giovanni Paolo II, che ormai biascicava come incomprensibili, poveraccio, stava proprio male. C’erano gli arazzi giganti appesi di non so più quanti beati. Poi scettico osservai la Piazza. Non sapevi se scarsamente mezza piena o mezza vuota. Ma poi i presenti lì, allineati sotto le loro invitte bandiere corporative: ciascuno stava beatificando il proprio fondatore, parroco, sindaco, parente. Stavano un po’ anche beatificando se stessi, quei presenti.  Quasi un rito tribale. E praticamente una rimpatriata di affetti del caro estinto ora beato. La cerimonia, la beatificazione, questo venerabile ufficio canonico, tutte queste cose luccicanti, sembravano star lì a loro esclusivo uso e consumo, quasi ad “uso interno” non della Chiesa universale, della quale mancava il soffio cosmico a tutto vantaggio di quello campanilistico. Non era più, mi sembrava, la Congregazione delle cause dei Santi, ma un Ministero delle Corporazioni. Che sapeva anche un tantino di “familismo amorale” stante la miriade di famiglie religiose mignon, spesso ridotte a quattro vecchie, tutte intente a difendere il proprio orticello.

E ad aggravare la cosa c’è pure il fatto che non solo oggi, ma già allora, un minuto dopo, non ricordavo più neppure un solo nome dei beatificati o canonizzati che fossero. Anzi, forse non li ho mai saputi i nomi. Mi capita sempre più spesso, semmai, dovendo scrivere un articolo, di ricorrere a wikipedia per cercare di ricordare se uno è stato fatto ultimamente beato o santo, o se è in corso ancora il processo. E mi fa strano se qualche chierico o notabile democristiano defunto ancora non ha neppure un processo in corso. Si dimentica, si arriva a dimenticare chi è stato fatto beato e santo addirittura, a questo siamo arrivati! E solo colpa del mio presunto Alzheimer?

Visto questo povero spettacolo di decadenza per inflazione del sacro, continuando a lacerare il mio tramezzino, quel giorno, me ne andai. Pensando a che gran cosa era una volta una, e solo una, beatificazione, per non parlare poi delle canonizzazioni, una ogni morte di papa, concesse col contagocce, tanto che, assistendovi diventava un evento centrale della tua vita, indimenticabile in ogni particolare, da raccontare ai posteri. Andandomene andavo anche a ritroso con la memoria dello storico in erba agli anni che furono, a cosa fu, a che tripudio cosmico erano state le canonizzazioni di Maria Goretti, Rita da Cascia, Giuseppe da Copertino, Giovanni Vianney, Francesco Saverio, Pio V, Pio X. E oggi cosa era rimasto di tanto stupore e meraviglia umana dinanzi a queste esplosioni di sacro? a questo momento di congiunzione perfetta fra cielo e terra, quale era la beatificazione o la canonizzazione?  Un ragazzo (che poi ero io), che sbadigliante va a darci un’occhiata, osservando continua a mangiare il suo tramezzino, un minuto dopo annoiato se ne va continuando a masticare, liquidando tutto con un “già visto nulla da aggiungere”, dinanzi a questa ordinaria ed esorbitante amministrazione della santità elargita  d’ufficio. Eppure, era quello stesso ragazzo che, bambino, si rammaricava di essere nato così tardi da non aver potuto assistere di persona nel XIII secolo alla canonizzazione di Antonio da Padova, il suo santo. Tanto gli sembrava cosa eccezionale, straordinaria, sovrannaturale, fiabesca quasi, la santità.

Ma di questo mi riprometto da un anno di scriverne con dovizia di particolari, sulla Morte dei Santi, oggi è solo uno spunto, una improvvisazione en passant, ma ci ritorneremo con calma presto.

SE LA FABBRICA DEI SANTI DIVENTA LE POMPE FUNEBRI DEI SANTI

Momento curioso, ed emblematico, di una beatificazione: l’ateo ex comunista presidente della repubblica Napolitano costretto a sorbirsi la cerimonia di una istituzione religiosa che, seppure in modi garbati, ha combattuto per una vita; il premier Berlusconi non perde neppure quest’occasione per farsi riconoscere…

Da parecchio mi capita di lamentarmi circa i processi di beatificazione, dunque, per tacer di quelli di canonizzazione. Perché da molti anni ormai stanno rischiando di diventare una cosa poco seria, a malapena credibile se si vuol adoperare un minimo di rigore scientifico, storiografico, dottrinale. Peggio: una patacca mondana da spiaccicare “subito” sul bavero di chi volta per volta, per i motivi più vaghi e quasi mai eminentemente cattolici, è stato già beatificato in primo appello dalle redazioni dei giornali, in genere quelli più lontani dal cattolicesimo, se non laicisti militanti. “Decorazioni” sul campo nemico quanto meno sospette, che puzzano di bruciato e dovrebbero far scattare le sirene antincendio. Invece pare che certi se ne sentano rassicurati. “Se anche i nemici della Chiesa ammettono la santità del tale…” ciò, a sentire questi, è “maggiore garanzia di santità”, va da sé “ecumenica”. Già. Come no.

Il punto è che tali lobby giornalistiche non solo non sanno in cosa consista la santità, ma l’hanno confusa, in un qui pro quo pazzesco, con i criteri che presiedono all’assegnazione del massonissimo nobel per la pace o di qualsiasi altro premio strapaesano da sinistra dei presunti “diritti umani”… che oltretutto sono la cosa più disumana partorita da umana mente dopo il Mein Kampf di Hitler. Questo, quelli che sono in buonafede. Quelli in malafede, invece, i più scafati, sanno benissimo di cosa si tratta, perciò fanno di tutto per inquinarla, attraverso il pressing retorico del giornalismo da salotto televisivo pomeridiano, con criteri e categorie mondane che spesso sono in contraddizione non solo con “l’eroicità delle virtù cristiane” ma proprio con la condotta del semplice buon cristiano. Succede che ormai si voglia canonizzare pure, per dirne una, il tal magistrato o questurino o politico morto per un attentato mafioso o per un proiettile brigatista, e del quale talora si ignora persino che credo professasse semmai ne aveva uno… eroe civile (e manco sempre), certo, tanto di cappello, ma che c’entra con l’eroicità cristiana? È il tentativo neppure più troppo velato di fondere (e dissolvere) la religione cattolica entro le comode categorie della religione civile.

Qualsiasi storico serio, oggi, dovesse ripassarsi i documenti con cui questo e quello sta per essere beatificato, a rigore del metodo storiografico scientifico, dovrebbe dichiarare molta di quella paccottiglia non dico come del tutto inattendibile ma almeno discutibile assai, minimo suscettibile di ulteriore revisione. Ed è naturale ciò, avendo sentore da molto tempo – persino dalla viva voce di quelli più interni alla congregazione delle Cause dei Santi –  che è diventata l’istruzione di un processo canonico, la fiera della vanità, un mercato delle vacche grasse, il trionfo della faciloneria, dove spesso più che i fatti e la dottrina, più che la verità insomma, più di tutto contano i titoli dei giornali coi loro luoghi comuni politicamente corretti e la medesima nomea del candidato, e, soprattutto, il portafogli pieno dei promotori della causa. Non a caso è venuto l’invito del papa, nel 2008, ad avere più rigore nei processi canonici. Ma ad oggi tutto procede come prima: si sono solo ridotte le canonizzazioni e il papa evita di presiedere le beatificazioni, il che è cosa prudente assai di questi tempi. Non so quanto i processi canonici di beatificazione stiano messi meglio rispetto ai processi di nullità della Sacra Rota… pure su questi ultimi, infatti, il papa ha invitato ad essere più “rigorosi”…  con quali risultati concreti non sappiamo.

L’ANSIA DA PRESTAZIONE DEL “SANTO SUBITO”. CHE RENDE IMPOTENTI ANCHE I SANTI
Ormai è un tormentone

Ed è stato così, così è stato, tramite queste arruffonerie, che uno dei miracoli alla meno peggio messo su e usato per la beatificazione in fretta e furia (perché?) di un celebre “neo-beato” è risultato dopo un paio d’anni fasullo: la guarita si è riammalata della stessa malattia, mentre invece il diritto canonico prevede la guarigione permanente, totale e irreversibile. Per forza: nessuno ha letto i documenti necessari, nessuno ha davvero enumerato e vagliato prove inoppugnabili, nessuno ha approfondito niente, nessuno è stato al suo posto a fare il suo dovere, tutti erano presi dalla fregola maledetta e un tantino sediziosa del “santo subito”; ed ecco che ha avuto la meglio l’attività lucrosa e simoniaca del collaboratore più stretto di questo candidato, il portafogli traboccante della sua fondazione. Il risultato è stato questo. Quasi, sembrerebbe, un castigo divino. E così sta avvenendo per la causa, per dirne solo uno, di Tonino Bello. Tutte cose, figure stercoree che minano la credibilità di questo santissimo ufficio, e che si sarebbero potute evitare, se solo, come un volta, saggiamente si fosse aspettato i tempi giusti, lunghi ma giusti, i “tempi della Chiesa”, o magari anche solo la morte terrena dei siddetti “miracolati” che ci avrebbero così evitato spiacevoli incidenti.

E tutto ciò succede essenzialmente per una sola cosa: la Chiesa rinunciando alla verticalità e cedendo alla sola orizzontalità, ossia ai facili e fatui allori della gloria del mondo, immergendosi sino a tal punto dentro i tempi, sino a risultarne componente irrilevante e più d’altre compromessa, rinuncia alla sua atemporalità, all’essere oltre tutti i tempi, dentro l’eterno.

Se la lentezza porta con sé la certezza, la fretta nasconde sotto il tappeto i dubbi. Quella certezza della Chiesa di essere “oltre” e “altro” dai tempi, di avere il lento sospiro di tutti i secoli passati e a venire, che fin non troppi anni fa, le donava quella sua serafica calma, santa lentezza, venerabile indifferenza agli isterici calendari mondani, allergica com’era alle frenesie da vanitas vanitatis; quella certezza, dunque, che la metteva anche al riparo dell’errore essendo ancora capace la Chiesa di discernimento. Una causa di beatificazione durava secoli talora: il tempo, vero giudice giusto, e la Provvidenza, cancellavano man mano nomi che finché erano freschi di fama sembrava a pronunciarli che ne rimbombasse il mondo, mentre era solo (oggi ce ne rendiamo conto, scartabellando negli annali) tempesta di polvere, vanitas vanitatis  e sic transit gloria mundi. Casi patetici certi, equivoci vergognosi altri – oggi lo sappiamo, possiamo vederlo – che in un tempo lontano erano apparsi di santità mirabile e perfetta: erano un inganno diabolico. Ma se pure allora, come oggi, si fossero fatti prendere i supremi gerarchi dalla smania del “santo subito” Dio solo sa quanti obbrobri ci saremmo ritrovati sugli altari. La lentezza è il luogo naturale della Chiesa e il suo solo “tempo” possibile. La lentezza contempla in sé le migliori e più grandi delle virtù cristiane. La fretta da santo subito, invece, tutti i vizi e i peccati capitali e mortali.

Detto questo, lascio la parola a un sacerdote scrittore, che m’ha mandato un messaggio a tal proposito, e per questo motivo ho scritto la premessa che avete letto. Si tratta di don Ariel Levi di Gualdo, che a quanto pare deve avere una certa confidenza con la Congregazione dei Santi, con le sue prassi ultime almeno, che dimostra di ben conoscere. Vi posto qui la sua riflessione pari pari come me l’ha mandata. Fa riflettere, è amara, ma è una realtà che non si esorcizza facendo finta clericalmente che non esista: va denunciata e affrontata. E prima è meglio è. Lascio ora davvero la parola a don Ariel.

***

VI SPIEGO COSA E’ DIVENTATA LA CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI

L’AMARO J’ACCUSE DI DON ARIEL

Don Ariel S. Levi di Gualdo

Estrapolo solo un pezzo [da un articolo] del caro Mastino, questo: “Il precedente pontificato, che ha ridotto [la beatificazione] a un nulla, a una patacca mondana che non si nega a nessuno, che viene tributata dopo processi sommari d’ufficio a chiunque ne faccia richiesta: burocrazia da ‘fabbrica dei santi’. I processi canonici – dove persino è stata annacquata e di fatto e de jure è scomparsa la figura utilissima e di garanzia implacabile dell’avvocato del diavolo – ormai non sono manco più una vera analisi dottrinale del soggetto canonizzando: ci si limita a vagliarne la santità personale ed è già grasso che cola“.

Hai drammaticamente ragione.

Nel nostro ambiente prese a circolare una battuta caustica che a suo modo dice tutto: “Per quel processo di beatificazione il Santo Padre ha dispensato l’espletamento della fase storica. Per quel processo di canonizzazione, il Santo Padre ha dispensato dal miracolo che di prassi e rigore si richiede come prova. Per quel processo il Santo Padre ha dispensato il candidato dalla santità”.

Taccio a chi era riferita questa terza battuta per non scatenare una ridda di fuochi.

Per varie ragioni che non sto a spiegare – perché sarebbero davvero lunghe -, ho conosciuto l’ambito della postulazione delle cause dei santi. Anzitutto perché è scritto pubblicamente nella mia breve biografia che sono allievo di colui che per mezzo secolo, assieme a Paolo Molinari s.j., portò avanti l’ufficio della postulazione generale della Compagnia di Gesù, ossia Peter Gumpel s.j. Stiamo naturalmente parlando degli “ultimi dei moikani”, i gesuiti della vecchia scuola, quelli della Compagnia di Gesù vera, non degli attuali, perlopiù appartenenti all’allegra Compagnia delle Indie. Ho avuto quindi la grazia di vedere come questi due uomini di Dio, dotati di straordinarie capacità e di incredibile cultura, hanno portato avanti, talora per decenni, alcuni complessi processi, a partire da quello di Pio XII, l’unico pontefice del XX secolo che assieme a San Pio X avrebbe meritato gli onori degli altari.

Vi spiego cosa è oggi la Congregazione delle Cause dei Santi sotto la prefettura del cardinale Angelo Amato: l’ennesima succursale di un oratorio salesiano, come del resto vari altri dicasteri, come l’Osservatore Romano (o se preferiamo il Bollettino Salesiano), il cui direttore andava immediatamente licenziato dopo la pubblica e colossale figura di merda fatta mesi fa al programma televisivo Gli Intoccabili, dove parlando in un clericalese e con un atteggiamento clericale che supera di gran lunga quello di certi preti curiali, pretendeva di giocare sulle parole non rispondendo a domande chiare e precise.

Ma limitiamoci ai santi: attorno alla Congregazione per le Cause dei Santi, circola anche e soprattutto un piccolo esercito di ignoranti, in buona parte laici falliti in vari settori lavorativi e professionali di questa nostra spietata e competitiva società, pronti a ciucciare soldi a più non posso a congregazioni ridotte a trenta suore litigiose in bilico tra isterico e geriatrico, età media ottant’anni, che vogliono a tutti costi santo o santa il fondatore o la fondatrice. Postulatori e tante postulatrici rubate alle cucine dove con un po’ d’impegno avrebbero potuto imparare a fare ottime marmellate biologiche per i loro figlioletti. Ignoranti come pochi in teologia, latori di domande e confezionatori di documenti nei quali si ignorano gli elementi basilari della storia della Chiesa e soprattutto del diritto canonico. Azzeccagarbugli che promettono e che al tempo stesso chiedono trenta o quarantamila euro di acconto spese, per dei processi che alla fine non si sa quanto sono costati; non si sa dove si è speso e perché si è speso, poiché di prassi non viene quasi mai presentato un bilancio dettagliato.

Siamo arrivati ormai al punto di avere figli, figlie e nipoti di santi e sante che vanno in giro a fare conferenze, con tanto di ricco gettone di presenza, portando un frammento di lenzuolo, un pezzo di mutanda o un centimetro di spallina di reggiseno del santo o della santa come reliquia in dono alla istituzione che li ospita.

Siamo al teatrino delle zucche vuote.

In conclusione: io credo al mistero della Chiesa, in essa e per essa sono stato consacrato nel sacerdozio. Credo eccome, nella Chiesa intesa come Corpo Mistico di cui Cristo è capo e noi membra; e proprio perché in essa credo, ritengo che vada quanto prima tutelata mediante la salutare soppressione di questa chiesa clericale che ha dato vita a situazioni ormai insostenibili sotto tutti gli aspetti più disparati. Per salvare il Corpo Mistico del Cristo bisogna far fuori il “corpo diplomatico” clericale. E chiunque lo faccia, chiunque concorra attivamente a farlo, che sia proclamato santo. Forse anche martire, perché andando a toccare certi potenti e certi potentati, il martirio bianco è assicurato, ed è molto più doloroso e soprattutto lungo, di quello subito dal martire che in odium fidei è stato fatto fuori in tre secondi con due colpi di machete.

E’ vero ciò che tu scrivi caro Antonio [Margheriti Mastino], a proposito della “fabbrica dei santi” del precedente pontificato. Se non erro, pare che sotto quel pontificato siano state fatte circa 1800, tra beatificazioni e canonizzazioni. A maggior ragione mi chiedo: tra questi circa 1800 nuovi beati e santi, ce ne è uno… uno soltanto, che per la sua personalità, il ministero svolto e il servizio straordinario reso alla Chiesa nel suo presente e soprattutto per i germi gettati nel futuro, sia solo vagamente paragonabile a un Filippo Neri, a un Ignazio di Loyola, a una Teresa d’Avila …?

Solo vagamente.

Perché, in caso contrario, dobbiamo prendere atto che siamo diventati mediocri persino nella santità, che dovrebbe continuare a basarsi sulla assoluta straordinarietà dei doni di grazia ricevuti e sviluppati dal santo o dalla santa.

Che la santità sia accessibile a tutti e debba essere aspirazione e scopo di ogni cristiano, non vuol dire però svilirla, per portarla alla portata di tutti.

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