Dopo la bulimia da beatificazione
compulsiva, una riflessione sulla degenerazione del processo canonico. E
una domanda: ha ancora un senso fare dei santi?
In finale l’amaro j’accuse di don Ariel Levi di Gualdo sulla
Congregazione per le Cause dei Santi
..attorno alla Congregazione per le Cause dei Santi, circola anche e
soprattutto un piccolo esercito di ignoranti, in buona parte laici
falliti in vari settori lavorativi e professionali di questa nostra
spietata e competitiva società, pronti a ciucciare soldi a più non posso
a congregazioni ridotte a trenta suore litigiose in bilico tra isterico
e geriatrico, età media ottant’anni, che vogliono a tutti costi santo o
santa il fondatore o la fondatrice. Postulatori e tante postulatrici
rubate alle cucine dove con un po’ d’impegno avrebbero potuto imparare a
fare ottime marmellate biologiche per i loro figlioletti. Ignoranti
come pochi in teologia, latori di domande e confezionatori di documenti
nei quali si ignorano gli elementi basilari della storia della Chiesa e
soprattutto del diritto canonico. Azzeccagarbugli che promettono e che
al tempo stesso chiedono trenta o quarantamila euro di acconto spese,
per dei processi che alla fine non si sa quanto sono costati; non si sa
dove si è speso e perché si è speso, poiché di prassi non viene quasi
mai presentato un bilancio dettagliato (…) Credo eccome, nella Chiesa
intesa come Corpo Mistico di cui Cristo è capo e noi membra; e proprio
perché in essa credo, ritengo che vada quanto prima tutelata mediante la
salutare soppressione di questa chiesa clericale che ha dato vita a
situazioni ormai insostenibili sotto tutti gli aspetti più disparati.
Per salvare il Corpo Mistico del Cristo bisogna far fuori il “corpo
diplomatico” clericale. E chiunque lo faccia, chiunque concorra
attivamente a farlo, che sia proclamato santo.
Antonio Margheriti Mastino
DINANZI ALLA BULIMIA DI BEATIFICAZIONI MANGIANDO TRAMEZZINI
Il prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, card. Angelo Amato, presiede una beatificazione
E’ difficile dirlo, fa male anche, ma bisogna
infine decidersi a sputare il rospo: vi giuro che queste mie (e non solo
mie) riflessioni le scrivo in ginocchio, dolorante, senza rabbia. Dopo
la bulimia di “nuovi santi e beati” alla quale assistiamo inerti da un
trentennio, è difficile provare ancora vero interesse per aventi come le
beatificazioni o canonizzazioni. Soprattutto perché sembra smarrito il
significato reale e profondo di tali istituti. Un volta erano l’evento
più alto, solenne, indimenticabile della Chiesa. Tanto che i papi si
facevano scolpire sulla propria lapide, in bassorilievo, proprio
quell’evento, magari quell’unica canonizzazione che avevano officiato
nel loro pontificato, come “evento capitale” di questo. Fino
all’immediato dopoguerra, una beatificazione o canonizzazione mobilitava
tutti i media, gonfiava i cuori dei presenti all’evento sacro di
emozione, certissimi di essere presenti a un evento che sarebbe stato
ininterrottamente rievocato nei secoli a venire. Oggi è ordinaria
amministrazione di una farraginosa burocrazia clericale, lucrosa spesso.
Che qualcosa non andasse più me ne resi conto qualche anno fa.
Era domenica e mi trovavo nei dintorni di San Pietro, a cazzeggiare
annoiato. Sentivo che nella Piazza c’era un evento papale, e forse era
il caso di non perderselo, mi dicevo. Chiesi al barista, mentre
sorseggiavo il caffè che mi permettesse di mantenere viva l’attenzione
nelle ore a seguire, di cosa si trattasse. “Buh, pare stanno a fa’ n’artra fagottata de santi… prima o poi nun ce resteno più peccatori a botta de fa’ tutti santi”. Così disse. E un po’ di ragione ce l’aveva.
Sbadigliante e del tutto indifferente all’evento, andai lento pede
a dare un’occhiata alla cerimonia. C’era ancora Giovanni Paolo II, che
ormai biascicava come incomprensibili, poveraccio, stava proprio male.
C’erano gli arazzi giganti appesi di non so più quanti beati. Poi
scettico osservai la Piazza. Non sapevi se scarsamente mezza piena o
mezza vuota. Ma poi i presenti lì, allineati sotto le loro invitte
bandiere corporative: ciascuno stava beatificando il proprio fondatore,
parroco, sindaco, parente. Stavano un po’ anche beatificando se stessi,
quei presenti. Quasi un rito tribale. E praticamente una rimpatriata di
affetti del caro estinto ora beato. La cerimonia, la beatificazione,
questo venerabile ufficio canonico, tutte queste cose luccicanti,
sembravano star lì a loro esclusivo uso e consumo, quasi ad “uso
interno” non della Chiesa universale, della quale mancava il soffio
cosmico a tutto vantaggio di quello campanilistico. Non era più, mi
sembrava, la Congregazione delle cause dei Santi, ma un Ministero delle
Corporazioni. Che sapeva anche un tantino di “familismo amorale” stante
la miriade di famiglie religiose mignon, spesso ridotte a quattro vecchie, tutte intente a difendere il proprio orticello.
E ad aggravare la cosa c’è pure il fatto che non
solo oggi, ma già allora, un minuto dopo, non ricordavo più neppure un
solo nome dei beatificati o canonizzati che fossero. Anzi, forse non li
ho mai saputi i nomi. Mi capita sempre più spesso, semmai, dovendo
scrivere un articolo, di ricorrere a wikipedia per cercare di ricordare
se uno è stato fatto ultimamente beato o santo, o se è in corso ancora
il processo. E mi fa strano se qualche chierico o notabile democristiano
defunto ancora non ha neppure un processo in corso. Si
dimentica, si arriva a dimenticare chi è stato fatto beato e santo
addirittura, a questo siamo arrivati! E solo colpa del mio presunto
Alzheimer?
Visto questo povero spettacolo di decadenza per inflazione del sacro,
continuando a lacerare il mio tramezzino, quel giorno, me ne andai.
Pensando a che gran cosa era una volta una, e solo una, beatificazione,
per non parlare poi delle canonizzazioni, una ogni morte di papa,
concesse col contagocce, tanto che, assistendovi diventava un evento
centrale della tua vita, indimenticabile in ogni particolare, da
raccontare ai posteri. Andandomene andavo anche a ritroso con la memoria
dello storico in erba agli anni che furono, a cosa fu, a che tripudio
cosmico erano state le canonizzazioni di Maria Goretti, Rita da Cascia,
Giuseppe da Copertino, Giovanni Vianney, Francesco Saverio, Pio V, Pio
X. E oggi cosa era rimasto di tanto stupore e meraviglia umana dinanzi a
queste esplosioni di sacro? a questo momento di congiunzione perfetta
fra cielo e terra, quale era la beatificazione o la canonizzazione? Un
ragazzo (che poi ero io), che sbadigliante va a darci un’occhiata,
osservando continua a mangiare il suo tramezzino, un minuto dopo
annoiato se ne va continuando a masticare, liquidando tutto con un “già
visto nulla da aggiungere”, dinanzi a questa ordinaria ed esorbitante
amministrazione della santità elargita d’ufficio. Eppure, era quello
stesso ragazzo che, bambino, si rammaricava di essere nato così tardi da
non aver potuto assistere di persona nel XIII secolo alla
canonizzazione di Antonio da Padova, il suo santo. Tanto gli sembrava
cosa eccezionale, straordinaria, sovrannaturale, fiabesca quasi, la
santità.
Ma di questo mi riprometto da un anno di scriverne con dovizia di particolari, sulla Morte dei Santi, oggi è solo uno spunto, una improvvisazione en passant, ma ci ritorneremo con calma presto.
SE LA FABBRICA DEI SANTI DIVENTA LE POMPE FUNEBRI DEI SANTI
Momento
curioso, ed emblematico, di una beatificazione: l’ateo ex comunista
presidente della repubblica Napolitano costretto a sorbirsi la cerimonia
di una istituzione religiosa che, seppure in modi garbati, ha
combattuto per una vita; il premier Berlusconi non perde neppure
quest’occasione per farsi riconoscere…
Da parecchio mi capita di lamentarmi circa i
processi di beatificazione, dunque, per tacer di quelli di
canonizzazione. Perché da molti anni ormai stanno rischiando di
diventare una cosa poco seria, a malapena credibile se si vuol adoperare
un minimo di rigore scientifico, storiografico, dottrinale. Peggio: una
patacca mondana da spiaccicare “subito” sul bavero di chi volta per
volta, per i motivi più vaghi e quasi mai eminentemente cattolici, è
stato già beatificato in primo appello dalle redazioni dei giornali, in
genere quelli più lontani dal cattolicesimo, se non laicisti militanti.
“Decorazioni” sul campo nemico quanto meno sospette, che puzzano di
bruciato e dovrebbero far scattare le sirene antincendio. Invece pare
che certi se ne sentano rassicurati. “Se anche i nemici della Chiesa
ammettono la santità del tale…” ciò, a sentire questi, è “maggiore
garanzia di santità”, va da sé “ecumenica”. Già. Come no.
Il punto è che tali lobby giornalistiche non solo
non sanno in cosa consista la santità, ma l’hanno confusa, in un qui pro
quo pazzesco, con i criteri che presiedono all’assegnazione del
massonissimo nobel per la pace o di qualsiasi altro premio
strapaesano da sinistra dei presunti “diritti umani”… che oltretutto
sono la cosa più disumana partorita da umana mente dopo il Mein Kampf
di Hitler. Questo, quelli che sono in buonafede. Quelli in malafede,
invece, i più scafati, sanno benissimo di cosa si tratta, perciò fanno
di tutto per inquinarla, attraverso il pressing retorico del giornalismo
da salotto televisivo pomeridiano, con criteri e categorie mondane che
spesso sono in contraddizione non solo con “l’eroicità delle virtù
cristiane” ma proprio con la condotta del semplice buon cristiano.
Succede che ormai si voglia canonizzare pure, per dirne una, il tal
magistrato o questurino o politico morto per un attentato mafioso o per
un proiettile brigatista, e del quale talora si ignora persino che credo
professasse semmai ne aveva uno… eroe civile (e manco sempre), certo,
tanto di cappello, ma che c’entra con l’eroicità cristiana? È il
tentativo neppure più troppo velato di fondere (e dissolvere) la
religione cattolica entro le comode categorie della religione civile.
Qualsiasi storico serio, oggi, dovesse ripassarsi i
documenti con cui questo e quello sta per essere beatificato, a rigore
del metodo storiografico scientifico, dovrebbe dichiarare molta di
quella paccottiglia non dico come del tutto inattendibile ma almeno
discutibile assai, minimo suscettibile di ulteriore revisione. Ed è
naturale ciò, avendo sentore da molto tempo – persino dalla viva voce di
quelli più interni alla congregazione delle Cause dei Santi – che è
diventata l’istruzione di un processo canonico, la fiera della vanità,
un mercato delle vacche grasse, il trionfo della faciloneria, dove
spesso più che i fatti e la dottrina, più che la verità insomma, più di
tutto contano i titoli dei giornali coi loro luoghi comuni politicamente
corretti e la medesima nomea del candidato, e, soprattutto, il
portafogli pieno dei promotori della causa. Non a caso è venuto l’invito
del papa, nel 2008, ad avere più rigore nei processi canonici. Ma ad
oggi tutto procede come prima: si sono solo ridotte le canonizzazioni e
il papa evita di presiedere le beatificazioni, il che è cosa prudente
assai di questi tempi. Non so quanto i processi canonici di
beatificazione stiano messi meglio rispetto ai processi di nullità della
Sacra Rota… pure su questi ultimi, infatti, il papa ha invitato ad
essere più “rigorosi”… con quali risultati concreti non sappiamo.
L’ANSIA DA PRESTAZIONE DEL “SANTO SUBITO”. CHE RENDE IMPOTENTI ANCHE I SANTI
Ormai è un tormentone
Ed è stato così, così è stato, tramite queste
arruffonerie, che uno dei miracoli alla meno peggio messo su e usato per
la beatificazione in fretta e furia (perché?) di un celebre “neo-beato”
è risultato dopo un paio d’anni fasullo: la guarita si è riammalata
della stessa malattia, mentre invece il diritto canonico prevede la
guarigione permanente, totale e irreversibile. Per forza: nessuno ha
letto i documenti necessari, nessuno ha davvero enumerato e vagliato
prove inoppugnabili, nessuno ha approfondito niente, nessuno è stato al
suo posto a fare il suo dovere, tutti erano presi dalla fregola
maledetta e un tantino sediziosa del “santo subito”; ed ecco che ha
avuto la meglio l’attività lucrosa e simoniaca del collaboratore più
stretto di questo candidato, il portafogli traboccante della sua
fondazione. Il risultato è stato questo. Quasi, sembrerebbe, un castigo
divino. E così sta avvenendo per la causa, per dirne solo uno, di Tonino
Bello. Tutte cose, figure stercoree che minano la credibilità di questo
santissimo ufficio, e che si sarebbero potute evitare, se solo, come un
volta, saggiamente si fosse aspettato i tempi giusti, lunghi ma giusti,
i “tempi della Chiesa”, o magari anche solo la morte terrena dei
siddetti “miracolati” che ci avrebbero così evitato spiacevoli
incidenti.
E tutto ciò succede essenzialmente per una sola cosa:
la Chiesa rinunciando alla verticalità e cedendo alla sola
orizzontalità, ossia ai facili e fatui allori della gloria del mondo,
immergendosi sino a tal punto dentro i tempi, sino a risultarne
componente irrilevante e più d’altre compromessa, rinuncia alla sua
atemporalità, all’essere oltre tutti i tempi, dentro l’eterno.
Se la lentezza porta con sé la certezza, la fretta nasconde sotto il tappeto i dubbi.
Quella certezza della Chiesa di essere “oltre” e “altro” dai tempi, di
avere il lento sospiro di tutti i secoli passati e a venire, che fin non
troppi anni fa, le donava quella sua serafica calma, santa lentezza,
venerabile indifferenza agli isterici calendari mondani, allergica
com’era alle frenesie da vanitas vanitatis; quella certezza,
dunque, che la metteva anche al riparo dell’errore essendo ancora
capace la Chiesa di discernimento. Una causa di beatificazione durava
secoli talora: il tempo, vero giudice giusto, e la Provvidenza,
cancellavano man mano nomi che finché erano freschi di fama sembrava a
pronunciarli che ne rimbombasse il mondo, mentre era solo (oggi ce ne
rendiamo conto, scartabellando negli annali) tempesta di polvere,
vanitas vanitatis e sic transit gloria mundi. Casi patetici certi,
equivoci vergognosi altri – oggi lo sappiamo, possiamo vederlo – che in
un tempo lontano erano apparsi di santità mirabile e perfetta: erano un
inganno diabolico. Ma se pure allora, come oggi, si fossero fatti
prendere i supremi gerarchi dalla smania del “santo subito” Dio solo sa
quanti obbrobri ci saremmo ritrovati sugli altari. La lentezza è il
luogo naturale della Chiesa e il suo solo “tempo” possibile. La lentezza
contempla in sé le migliori e più grandi delle virtù cristiane. La
fretta da santo subito, invece, tutti i vizi e i peccati capitali e mortali.
Detto questo, lascio la parola a un sacerdote scrittore,
che m’ha mandato un messaggio a tal proposito, e per questo motivo ho
scritto la premessa che avete letto. Si tratta di don Ariel Levi di
Gualdo, che a quanto pare deve avere una certa confidenza con la
Congregazione dei Santi, con le sue prassi ultime almeno, che dimostra
di ben conoscere. Vi posto qui la sua riflessione pari pari come me l’ha
mandata. Fa riflettere, è amara, ma è una realtà che non si esorcizza
facendo finta clericalmente che non esista: va denunciata e affrontata. E
prima è meglio è. Lascio ora davvero la parola a don Ariel.
***
VI SPIEGO COSA E’ DIVENTATA LA CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI
L’AMARO J’ACCUSE DI DON ARIEL
Don Ariel S. Levi di Gualdo
Estrapolo solo un pezzo [da un articolo] del caro Mastino, questo: “Il
precedente pontificato, che ha ridotto [la beatificazione] a un nulla, a
una patacca mondana che non si nega a nessuno, che viene tributata dopo
processi sommari d’ufficio a chiunque ne faccia richiesta: burocrazia
da ‘fabbrica dei santi’. I processi canonici – dove persino è stata
annacquata e di fatto e de jure è scomparsa la figura utilissima e di
garanzia implacabile dell’avvocato del diavolo – ormai non sono manco
più una vera analisi dottrinale del soggetto canonizzando: ci si limita a
vagliarne la santità personale ed è già grasso che cola“.
Hai drammaticamente ragione.
Nel nostro ambiente prese a circolare una battuta caustica che a suo
modo dice tutto: “Per quel processo di beatificazione il Santo Padre ha
dispensato l’espletamento della fase storica. Per quel processo di
canonizzazione, il Santo Padre ha dispensato dal miracolo che di prassi e
rigore si richiede come prova. Per quel processo il Santo Padre ha
dispensato il candidato dalla santità”.
Taccio a chi era riferita questa terza battuta per non scatenare una ridda di fuochi.
Per varie ragioni che non sto a spiegare – perché
sarebbero davvero lunghe -, ho conosciuto l’ambito della postulazione
delle cause dei santi. Anzitutto perché è scritto pubblicamente nella
mia breve biografia che sono allievo di colui che per mezzo secolo,
assieme a Paolo Molinari s.j., portò avanti l’ufficio della postulazione
generale della Compagnia di Gesù, ossia Peter Gumpel s.j. Stiamo
naturalmente parlando degli “ultimi dei moikani”, i gesuiti della
vecchia scuola, quelli della Compagnia di Gesù vera, non degli attuali,
perlopiù appartenenti all’allegra Compagnia delle Indie. Ho avuto quindi
la grazia di vedere come questi due uomini di Dio, dotati di
straordinarie capacità e di incredibile cultura, hanno portato avanti,
talora per decenni, alcuni complessi processi, a partire da quello di
Pio XII, l’unico pontefice del XX secolo che assieme a San Pio X avrebbe
meritato gli onori degli altari.
Vi spiego cosa è oggi la Congregazione delle Cause dei Santi sotto
la prefettura del cardinale Angelo Amato: l’ennesima succursale di un
oratorio salesiano, come del resto vari altri dicasteri, come l’Osservatore Romano (o
se preferiamo il Bollettino Salesiano), il cui direttore andava
immediatamente licenziato dopo la pubblica e colossale figura di merda
fatta mesi fa al programma televisivo Gli Intoccabili, dove
parlando in un clericalese e con un atteggiamento clericale che supera
di gran lunga quello di certi preti curiali, pretendeva di giocare sulle
parole non rispondendo a domande chiare e precise.
Ma limitiamoci ai santi: attorno alla Congregazione
per le Cause dei Santi, circola anche e soprattutto un piccolo esercito
di ignoranti, in buona parte laici falliti in vari settori lavorativi e
professionali di questa nostra spietata e competitiva società, pronti a
ciucciare soldi a più non posso a congregazioni ridotte a trenta suore
litigiose in bilico tra isterico e geriatrico, età media ottant’anni,
che vogliono a tutti costi santo o santa il fondatore o la fondatrice.
Postulatori e tante postulatrici rubate alle cucine dove con un po’
d’impegno avrebbero potuto imparare a fare ottime marmellate biologiche
per i loro figlioletti. Ignoranti come pochi in teologia, latori di
domande e confezionatori di documenti nei quali si ignorano gli elementi
basilari della storia della Chiesa e soprattutto del diritto canonico.
Azzeccagarbugli che promettono e che al tempo stesso chiedono trenta o
quarantamila euro di acconto spese, per dei processi che alla fine non
si sa quanto sono costati; non si sa dove si è speso e perché si è
speso, poiché di prassi non viene quasi mai presentato un bilancio
dettagliato.
Siamo arrivati ormai al punto di avere figli,
figlie e nipoti di santi e sante che vanno in giro a fare conferenze,
con tanto di ricco gettone di presenza, portando un frammento di
lenzuolo, un pezzo di mutanda o un centimetro di spallina di reggiseno
del santo o della santa come reliquia in dono alla istituzione che li
ospita.
Siamo al teatrino delle zucche vuote.
In conclusione: io credo al mistero della Chiesa,
in essa e per essa sono stato consacrato nel sacerdozio. Credo eccome,
nella Chiesa intesa come Corpo Mistico di cui Cristo è capo e noi
membra; e proprio perché in essa credo, ritengo che vada quanto prima
tutelata mediante la salutare soppressione di questa chiesa clericale
che ha dato vita a situazioni ormai insostenibili sotto tutti gli
aspetti più disparati. Per salvare il Corpo Mistico del Cristo bisogna
far fuori il “corpo diplomatico” clericale. E chiunque lo faccia,
chiunque concorra attivamente a farlo, che sia proclamato santo. Forse
anche martire, perché andando a toccare certi potenti e certi potentati,
il martirio bianco è assicurato, ed è molto più doloroso e soprattutto
lungo, di quello subito dal martire che in odium fidei è stato fatto fuori in tre secondi con due colpi di machete.
E’ vero ciò che tu scrivi caro Antonio [Margheriti Mastino],
a proposito della “fabbrica dei santi” del precedente pontificato. Se
non erro, pare che sotto quel pontificato siano state fatte circa 1800,
tra beatificazioni e canonizzazioni. A maggior ragione mi chiedo: tra
questi circa 1800 nuovi beati e santi, ce ne è uno… uno soltanto, che
per la sua personalità, il ministero svolto e il servizio straordinario
reso alla Chiesa nel suo presente e soprattutto per i germi gettati nel
futuro, sia solo vagamente paragonabile a un Filippo Neri, a un Ignazio
di Loyola, a una Teresa d’Avila …?
Solo vagamente.
Perché, in caso contrario, dobbiamo prendere atto
che siamo diventati mediocri persino nella santità, che dovrebbe
continuare a basarsi sulla assoluta straordinarietà dei doni di grazia
ricevuti e sviluppati dal santo o dalla santa.
Che la santità sia accessibile a tutti e debba essere aspirazione e
scopo di ogni cristiano, non vuol dire però svilirla, per portarla alla
portata di tutti.
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