Il romano Ponte Milvio è oggi noto per i lucchetti ivi
apposti dalle coppie innamorate, finalmente rimossi dal Comune; è invece quasi
dimenticato per la vittoria militare ivi ottenuta, il 28 ottobre 312,
dall’imperatore Flavio Valerio Costantino (detto “il Grande”) sull’usurpatore
Massenzio. Questa vittoria permise la promulgazione, avvenuta il 13 febbraio
313, del cosiddetto Editto di Milano, che sancì la definitiva accettazione del Cristianesimo
nell’impero. Ricorre ormai il XVII centenario di questi due grandi fatti
storici, che prepararono la nascita della Cristianità e segnarono il passaggio
dall’età antica a quella impropriamente detta “medioevale”.
Nell’età moderna, potenti intellettuali (Petrarca, Erasmo,
Lutero, Voltaire), illustri storici (Gibbon, Michelet, Burckhardt), e perfino
teologi e letterati alla moda hanno accusato Costantino di essere stato un
falso cristiano e un vero tiranno e di aver creato la “Chiesa costantiniana”:
ossia quella Chiesa che avrebbe abbandonato la via evangelica del servizio,
dell’umiltà, della rinuncia e della povertà, per intraprendere la via imperiale
del potere, del trionfalismo, della conquista e della ricchezza. Oggi però gli
studiosi seri (1) ammettono che Costantino prima si convertì sinceramente al
Cristianesimo e poi liberò, favorì e difese la Chiesa cattolica: un merito,
questo, che ci appare oggi più prezioso di ieri, dato che la libertà cristiana
viene repressa in molte terre in cui prima esisteva, a volte fin dai tempi
costantiniani.
Costantino“ecumenista”e libertario?
Il dibattito pubblico in corso sul citato XVII centenario è
caratterizzato da una strana novità: Costantino viene oggi riabilitato da
alcuni fra quegli ambienti progressisti che prima l’avevano sempre condannato:
ambienti cattolici “ecumenisti”, neopagani relativisti r laicisti “devoti”.
Secondo costoro, Costantino avrebbe concepito il Cristo non
tanto come Logos quanto come Nomos, per cui
avrebbe professato non tanto una Verità rivelata da accettare come ortodossia
quanto una Norma rituale da rispettare come ortoprassi. A fondamento religioso
del riunificato impero, egli avrebbe posto un generico culto del “Sommo Dio”,
che era interpretabile in senso sia monoteistico che politeistico o panteistico
e quindi era accettabile sia da convinti cristiani che da scettici pagani (2)
(com’è recentemente accaduto col culto massonico del Grande Architetto
dell’Universo). Inoltre, avendo rinunciato a identificarsi con una religione, Costantino
avrebbe secolarizzato l’autorità politica e posto le premesse di una civiltà
“ecumenica” e “pluralistica”, fondata su quella libertà di pensiero e di culto
che favorirebbe la fratellanza e la pace universali. Di conseguenza, la riforma
politica costantiniana si sarebbe limitata ad estendere a tutte le religioni
quel generico diritto alla “libertà religiosa” già concessa a pagani, gnostici
ed ebrei, ma incoerentemente rifiutata ai cristiani.
Secondo i progressisti, questo embrione di civiltà “ecumenica”
e libertaria finì presto abortito per colpa della sete di potere sia
degl’imperatori, che vollero imporre un’unica religione al riunito impero, sia
della gerarchia cattolica, che volle imporre la propria Chiesa alle numerose
sette religiose dissidenti. Col Concilio Ecumenico di Costantinopoli (381),
l’episcopato impose ai fedeli il dogma trinitario; parallelamente, con l’Editto
di Tessalonica (28 febbraio 380), l’imperatore Teodosio I impose il
Cristianesimo cattolico come unicareligio licita, ridusse la
generica libertà religiosa alla specifica libertà di praticare il solo culto
cattolico, escluse pagani, eretici e scismatici dalla libertà prevista
nell’Editto costantiniano, avviò quella persecuzione della dissidenza religiosa
che avrebbe caratterizzato la cupa epoca “medioevale”. Così, invece della
tollerante civiltà “ecumenica” e libertaria, sarebbe nato l’intollerante regime
fondamentalista e repressivo noto come Cristianità; da perseguitata e vittima,
la Chiesa sarebbe diventata persecutrice e carnefice (3), come lamentava il
Pascoli nei suoi Poemi Cristiani. In questo modo, imperatori,
vescovi e Papi avrebbero vanificato l’opera dei primi màrtiri, i quali
avrebbero sopportato le persecuzioni per testimoniare non Gesù Cristo come Dio,
Redentore e Re e il Suo diritto di conquistare il mondo, ma solamente la
dignità della coscienza umana e il suo diritto alla “libertà religiosa”.
Pertanto, i progressisti oggi assolvono Costantino e la “Chiesa costantiniana”
per avere promosso la religiosità “ecumenica” e la libertà di culto, ma
condannano Teodosio e la “Chiesa teodosiana” per averle soppresse.
Orbene, le cose stanno proprio così? Davvero Costantino
venerò una divinità generica e progettò una civiltà “ecumenica”? Davvero la
riforma costantiniana realizzò una generale libertà di culto e uno Stato
neutrale in materia religiosa? Davvero si può opporre il libertario Editto di
Milano al liberticida Editto di Tessalonica e il tollerante Costantino,
ispirato dall’ “ecumenico” Lattanzio, al fanatico Teodosio, ispirato dal
“fondamentalista” sant’Ambrogio? Esaminata da vicino, questa rivalutazione
progressista di Costantino va respinta come storicamente falsa, giustificabile
solo con la pretesa di rendere il governo costantiniano accettabile alla
relativistica mentalità moderna.
Il riformatore cristiano ortodosso
Com’è noto, quel “Sommo Dio”, che Costantino aveva adorato
da ragazzo, gli si rivelò con il volto del Cristo che, apparendogli in sogno
nel 312 nell’accampamento di Saxa Rubra, gli chiese consacrazione e obbedienza
e gli promise vittorie sotto il segno della Croce, stabilendo una sorta di
patto feudale tra Signore e vassallo. Da allora, Costantino credette in Lui
come sola vera divinità, nel Cristianesimo come sola vera religione e in quella
cattolica come sola vera Chiesa. Inoltre si convinse di aver ricevuto da Lui la
missione di riordinare il mondo elevando quella cristiana al rango di unica
fede del riunificato impero: «Sono convinto che tutto sarà migliore e più
sicuro quando, grazie alla pura e retta fede cristiana, Dio deciderà di riunire
a sé l’umanità intera nella concordia della comune religione» (4); «Io sarò
soddisfatto solo quando vedrò che tutti pregheranno, con fraterna concordia
d’intenti, nell’autentico culto della Chiesa cattolica» (5). Egli riteneva che
la legge romana dovesse garantire il pacifico e ordinato svolgimento del culto
religioso, innanzitutto per favorire la stabilità e la sicurezza dell’impero,
ma anche per far sì che «coloro che sono caduti in errore per paura o per
mancanza di fede, si avvicinino alla giusta e retta regola di vita riconoscendo
Colui che è veramente Dio» (6). Costantino quindi condannava superstizioni,
eresie e scismi, dicendo: «Perché dovremmo tollerare oltre tali nefandezze? Una
trascuratezza prolungata fa in modo che anche i sani siano contagiati da un
morbo letale. Per quale motivo dunque non recidere al più presto le radici di
una tale sciagura, usando misure di pubblica sicurezza?» (7)
Ma c’era un ostacolo enorme: i fedeli cristiani erano appena
l’8% della popolazione, la quale era ancora pagana sia nei ceti bassi che in
quelli alti, specialmente nelle istituzioni fondative dell’impero come il
Senato. Se Costantino avesse osato imporre il Cristianesimo con la sola forza,
le conseguenti ribellioni avrebbero abbattuto il trono e rigettato l’impero nel
caos. Egli allora scelse una strategia graduale, tipica del suo carattere che
armonizzava prudenza e audacia. Innanzitutto egli diede un palese esempio
personale come imperatore cristiano; poi favorì il Cristianesimo e ostacolò il
paganesimo in tutti i modi possibili, soprattutto realizzando una profonda
riforma politico-giuridica mediante quasi cento provvedimenti imperiali (8).
Non potendo vietare il paganesimo come tale, Costantino vietò per legge molte
usuali ma discusse pratiche cultuali pagane – come il culto dell’imperatore, i
sacrifici di animali, la “prostituzione rituale”, l’ “omosessualità sacra”,
l’evocazione dei morti, la magia nera – e fece chiudere i templi che le
praticavano; inoltre egli vietò per legge religioni pericolose come il
manicheismo e lo gnosticismo.
Il cosiddetto Editto milanese del 313, concordato tra
Licinio e Costantino, si limitò ad estendere al Cristianesimo una generica
libertà religiosa. Ma questa liberalizzazione si basò su una motivazione non
“laica” (la dignità della coscienza) bensì teologica: il riconoscimento di un
culto voluto da Dio (9). Inoltre, quello che per il pagano Licinio era il
massimo da concedersi, per il già cristiano Costantino era invece il minimo
ottenibile, in attesa di privilegiare la Chiesa cristiana non appena divenuto signore
unico del riunito impero. Difatti così fu: «Il cosiddetto Editto di Milano
toglie al paganesimo tradizionale il carattere di religione di Stato e prepara
indubbiamente il passaggio al Cristianesimo come nuova religione dello Stato
romano» (10); «Il ruolo storico di Costantino non fu quello di porre fine alle
persecuzioni, (…) ma di fare del Cristianesimo (…) una religione favorita in
ogni modo, a differenza del paganesimo» (11). Prima di Costantino, imperatori
come Alessandro Severo e Gallieno avevano già concesso libertà di culto ai
cristiani, ma «nessuna religione aveva fino ad allora goduto di una
legislazione così capillare e favorevole, coerentemente strutturata e destinata
a facilitarne l’unità e l’espansione» (12).
La politica costantiniana affidò alla Chiesa una funzione di
guida spirituale del popolo e all’episcopato un ruolo direttivo nella vita
dello Stato, in modo che il clero diventasse non oggetto ma soggetto della
politica imperiale. Col tempo, Costantino favorì i cristiani nell’accesso
agl’impieghi statali; riconobbe alla Chiesa la personalità giuridica con i
relativi diritti, privilegi, immunità ed esenzioni; concesse ai vescovi poteri
paragonabili a quelli dei funzionari imperiali; fece applicare norme, decreti e
sentenze ecclesiali usando la forza pubblica. «Costantino fu il primo
imperatore romano che accolse nella sua legislazione l’etica cristiana. (…) La
normativa interna delle comunità cristiane fu avvalorata e, in più, decisioni e
princìpi sanciti dai cristiani poterono inserirsi nel diritto romano» (13),
come dimostrano le leggi varate a tutela del matrimonio, delle vedove, degli
orfani, dei poveri, dei carcerati e degli schiavi. Insomma, come ha
riconosciuto Benedetto XVI, quella costantiniana fu «una riforma giuridica
cristianamente ispirata» (14); a partire da essa, il diritto romano si
cristianizzò gradualmente e gettò le basi dell’odierna civiltà giuridica. Alla
fine del secolo IV, il poeta pagano Pallada di Alessandria esclamò con
sgomento: «ormai nel mondo tutto è stato sconvolto!»
Il persecutore di scismatici ed eretici
Costantino aveva capito che la civiltà romana poteva
salvarsi solo se l’impero si fosse convertito al Cristianesimo grazie
all’influenza di una Chiesa unita e concorde; pertanto egli dichiarò: «Il mio
primo obiettivo è quello di adoperarmi affinché la santissima moltitudine dei
fedeli della Chiesa cattolica mantenga una sola fede, un puro amore e un
unanime culto riguardo al Dio onnipotente» (15). Quando vide che questa Chiesa,
benché uscita vittoriosa dalle persecuzioni, rischiava di soccombere alle
deviazioni eretiche e alle divisioni scismatiche, Costantino espresse a Dio
questo impegno: «Io aspiro a prendere sulle mie spalle il còmpito di restaurare
la Tua santissima Casa, che quegli uomini abominevoli e sommamente empi hanno
offeso con un’oltraggiosa distruzione» (16). A questo scopo, l’imperatore prese
«i primi provvedimenti penali varati al servizio della Chiesa» (17): represse
le sette eretiche e scismatiche ribelli, ne mandò in esilio i capi, ne bruciò i
libri e ne requisì i templi, specialmente nei tormentati casi del donatismo e
dell’arianismo. «La novità più rilevante, che emerge dalla legislazione
costantiniana, è il fatto che ora la legge riconosce una categoria di persone
prima impensabile: l’eretico. Si avvia così una evoluzione, che doveva alla
fine del secolo, con Teodosio, finire per considerare l’ortodossia religiosa
legge dello Stato» (18).
Fu quindi anche grazie al favore imperiale che la minoranza
cristiana, debole e calunniata ma convinta e compatta, alla fine del secolo IV
s’impose sulla grande maggioranza pagana, potente e prestigiosa ma scettica e
divisa. Se prima di Costantino il Cristianesimo era condannato ed emarginato
come religione empia, esigente, esclusivista, nemica della pace e dello Stato,
dopo di lui esso fu elogiato e favorito come fattore di pietas, certezza,
sicurezza e pace. Se prima di lui la Chiesa era al massimo tollerata come una
bizzarra setta difficile da sopprimere ma facile da emarginare, dopo di lui fu
il paganesimo ad essere tollerato come un’atavica superstizione difficile da
sopprimere ma che col tempo doveva essere emarginata (19). Per facilitare e
abbreviare la conversione del proprio regno alla vera religione, Costantino fu
il primo sovrano a usare una pratica che univa il persuasivo prestigio
dell’autorità alla costrittiva forza dei provvedimenti legali. Col tempo,
questa pratica favorì la conversione di molti popoli pagani che si costituirono
in Cristianità nazionali (20). Misterioso potere dell’autorità: nel bene o nel
male, essa spesso riesce a imporsi perfino sui sofismi degl’intellettuali,
sulla resistenza dei privilegiati e sulla ribellione delle folle!
Il padre della Cristianità “medioevale”
Insomma, Costantino non fu promotore di una vaga fede “ecumenica”
né di una generica libertà di culto, tutelate da una neutralità religiosa dello
Stato che, in concreto, avrebbe favorito le dominanti superstizioni pagane e il
crescente degrado gnostico-magico e quindi ostacolato l’espansione cristiana.
Poiché il Vangelo lo avvertiva che «un regno, se è [religiosamente] diviso in
sé stesso, è condannato alla rovina» (Mc. 3, 24; Mt. 12, 25), Costantino capì
che la salvezza dell’impero non dipendeva dall’ambiguo culto di un “Sommo Dio”
né da una relativistica libertà religiosa, bensì dalla pubblica professione
della fede cristiana cattolica (21). Egli capì che «questa grande civiltà
[romana] era inferiore alle culture originali, in quanto non possedeva una
religione comune che potesse fornire un principio interno di unità spirituale.
(…) L’ellenismo era una civiltà universale in cerca di una religione
universale. (…) Il genio di Costantino lo condusse alla sola possibile
soluzione: l’accettazione della nuova religione da parte dell’impero e la
collaborazione delle due società, fino ad allora ostili, nella creazione di un
nuovo ordine» (22). Difatti, come già osservava san Gregorio di Nazianzo, «la
potenza romana cresce assieme a quella cristiana» (23).
Costantino ruppe il legame che quasi identificava il potere
politico a quello religioso. Tuttavia lo fece non per secolarizzare l’autorità
imperiale in prospettiva “laica”, né per risacralizzarla in prospettiva
“ecumenica”, bensì per depaganizzarla allo scopo di porla al servizio di
Cristo. Avendo appreso dalla Chiesa che la principale missione dei capi
politici sta nel «porre il loro potere al servizio della sovrana maestà di Dio,
per diffonderne il culto» (24), Costantino era convinto che Dio lo avesse
incaricato di preparare il terreno politico alla propagazione universale della
Fede cristiana. «Imprimere la sua forma sociale, cioè il suo giure, nelle genti
a cui si predichi l’Evangelo, e formarne società civili mentre l’Evangelo le fa
cristiane: ecco la prerogativa e il nuovo destino di Roma. (…) La romanità è
l’insegna eletta da Gesù ad accompagnare i Suoi soldati nella conquista dei
popoli alla Sua fede» (25). Proclamandosi come “tredicesimo Apostolo” e
“vescovo degli estranei”, Costantino «diffuse l’autorità della Fede cristiana
dalla massima altezza sul mondo intero» (26), come scrisse sant’Agostino, e
favorì la Chiesa più di tutti i grandi missionari della storia, come disse
Mons. Frutaz. In tal modo, egli inaugurò quel ruolo missionario dell’autorità
politica che poi verrà riconosciuto dalla Chiesa con la benedizione o
consacrazione dei sovrani fedeli, favorendo così la nascita della Cristianità
come famiglia delle nazioni cattoliche.
Tuttavia, bisogna ammettere che il progetto costantiniano di
unione e pacificazione universale ebbe gravi limiti e pecche che ne impedirono
un pieno successo. Traviato dagli stessi figli di Costantino, l’impero romano
ebbe alti e bassi e, pur sopravvivendo in Oriente per ben un millennio, finì
col crollare in Occidente. Questo mezzo fallimento fu dovuto anche al fatto che
Costantino non corrispose pienamente alla grazia divina: influenzato dai
vescovi semi-ariani suoi amici, egli rimase un cristiano incompiuto e non fu
certo un santo, né canonizzato come sua madre Elena, né canonizzabile come
Teodosio I. Del resto, quell’impero romano, che si era reso colpevole prima di
aver perseguitato la Fede e poi di aver diffuso l’eresia ariana fra i barbari,
non aveva ancora cancellato dalla propria fronte il marchio della “bestia”
apocalittica, non era ancora degno né capace di cristianizzarsi fino al punto
di diventare strumento della Chiesa per propagare il Vangelo nel mondo. Per
santificarsi, l’impero doveva prima subire la terribile ma risanatrice
purificazione delle invasioni barbariche e maomettane.
Comunque sia, la svolta costantiniana del IV secolo dimostrò
che la civiltà romana era capace di una conversione e di un riscatto tale, da
porre le premesse della futura Cristianità “medioevale”. E’ questa svolta che
oggi dobbiamo celebrare nel suo XVII centenario, chiedendo a Dio di far sorgere
presto un nuovo Costantino che liberi la Chiesa dalle attuali persecuzioni, un
nuovo Teodosio che rifondi la Cristianità, un nuovo Giustiniano che ne ponga le
basi giuridiche e un nuovo Carlo Magno che la estenda al mondo intero. Ma
questa grandiosa restaurazione politica presuppone quella religiosa promossa da
nuovi Papi santi come Silvestro, Damaso, Gregorio Magno e Leone III: «la prima
condizione perché l’eclissi abbia termine, è che la Chiesa riprenda la
sua funzione, che non è di adeguarsi al mondo ma di contestarlo» (27). Questa
dovrà essere la svolta epocale del XXI secolo, più impegnativa di quella del IV
secolo oggi celebrata.
di Guido Vignelli
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1 Si vedano i saggi d’illustri studiosi come Veyne, Brown,
Grant, Horst, Kraft, Schwartz, Straub, Vogt, Alföldi, Seston, Grégoire,
Mazzarino, Ferrabino, De Giovanni, Calderone, Siniscalco, oltre alla nostra
compianta amica Marta Sordi.
2 Cfr. ad esempio E. Dal Covolo, Eziologia
storico-religiosa della svolta costantiniana.Prolusione al convegno su Costantino
e le radici dell’Europa, Pontificia Università Lateranense, Roma
19-4-2012, pp. 6-7.
3 Cfr. G. Filoramo, La croce e il potere. I
cristiani da martiri a persecutori, Laterza, Bari 2011 (Introduzione
ed Epilogo); F. Cardini, Cristiani perseguitati e persecutori, Salerno,
Roma 2011.
4 Costantino, Lettera a Sapore II Re di Persia (anno
325?)
5 Costantino, Lettera ad Elafio vicario
imperiale per l’Africa (anno 315).
6 Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, Rizzoli,
Milano 2010, II, 46.
7 Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, III,
64.
8 Alcuni di essi, a partire dall’Editto di Milano, sono
riportati nell’antologia Il Cristianesimo nelle leggi di Roma imperiale (a
cura di A. Barzanò), Edizioni Paoline, Milano 1996, §§ 40-61.
9 Cfr. Editto di Milano, §§ 2 e 6.
10 M. Sordi, I cristiani e l’impero romano, Jaca
Book, Milano 2011, p. 177.
11 P. Veyne, Quando l’Europa è diventata cristiana, Garzanti,
Milano 2012, p. 13.
12 G. Filoramo, La croce e il potere, p.
131.
13 E. Horst, Costantino il Grande, Rizzoli,
Milano 2001, p. 225-226.
14 Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli,
Milano 2012, vol. I, p. 139.
15 Costantino, Lettera alle Chiese (anno
325), in Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino,III, 17.
16 Costantino, Lettera ai provinciali dell’Oriente, in
Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino,II, 55.
17 H. Kraft, Konstantins religiöse Entwicklung, Tübingen
1955, p. 134.
18 G. Filoramo, La croce e il potere, pp.
131-132.
19 A. Alföldi, The conversion of Constantine the
Great and pagan Rome, Clarendon Press, Oxford 1948, p. 88.
20 J. Orlandis, La conversiòn de Europa al
Cristianismo, Rialp, Madrid 1988, pp. 99-100.
21 E. Horst, Costantino il Grande, cap.
XXI.
22 C. Dawson, La formazione della Cristianità
occidentale, D’Ettoris, Crotone 2003, pp.149 e 153.
23 S. Gregorio di Nazianzo, Orazioni, IV,
37, 3.
24 S. Agostino d’Ippona, La Città di Dio, lib.
V, cap. XXIV.
25 V. Fornari, Della vita di Gesù Cristo, Società
Editrice Internazionale, Torino 1930, lib. III, cap. III, pp. 166 e 195.
26 S. Agostino d’Ippona, Confessioni, VI,
11.
27 A. Del Noce (con U. Spirito), Tramonto o eclissi
dei valori tradizionali?, Rusconi, Milano 1971, p. 266.
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