Intervista al Card. Raffaele Farina, archivista e bibliotecario
emerito di Santa Romana Chiesa
Costantino, a distanza di quasi due millenni, continua a
far parlare di sé. Non solo: ciò che egli compì ha generato un clima
sociale, politico e religioso, che ancora oggi informa di sé, condiziona,
orienta il sentire dell’intero Occidente, che con lui per primo giunse a una
prima definizione, almeno come area d’influenza culturale.
A dirsene convinto, è stato il card. Raffaele Farina,
Archivista e Bibliotecario emerito di Santa Romana Chiesa, intervenuto in
merito in occasione dell’inaugurazione della prima sede dell’Università
Cattolica della Croazia, a Zagabria, il 5 giugno scorso, nonché del congresso
internazionale svoltosi a Barcellona tra il 20 ed il 24 marzo scorsi: «Sì,
possiamo parlare di una vera e propria “epoca costantiniana” – afferma – estesa,
storicamente parlando, tra il 306, anno dell’ascesa al potere, e il 337, data
della sua morte. Molti furono i cambiamenti verificatisi in questo periodo,
cambiamenti la cui pregnanza e le cui conseguenze nello spazio e nel tempo
giustificano tale definizione. Del resto, Costantino stesso, figura-chiave per
il suo secolo, fu ritenuto dai contemporanei – così come dai posteri – il primo
Imperatore cristiano e venne onorato nella Storia, già a breve distanza dalla
sua scomparsa, col titolo di Grande. Titolo, secondo Fozio, attribuitogli per
primo da Prassagora di Atene, storico pagano dell’epoca, in un panegirico
tenuto dopo la vittoria su Licinio, nel 324».
Eminenza, di quale missione Costantino si sentì
investito?
Costantino, persona dotata di grande pragmatismo tipicamente
romano, ritenne di doversi fare carico, per così dire, di una doppia missione,
quella politica e quella religiosa, di dover essere cioè ad un tempo “servitore
di Dio” e di dover procurare la pace ai suoi sudditi. Ciò che effettivamente avvenne
con l’unificazione dell’Impero dal 324 in avanti: non si registrarono più
guerre, né interne né esterne; i confini furono resi sicuri.
In una lettera ai cattolici dell’Africa, lo stesso
Costantino definì «pax illa sanctissimae fraternitatis» prima di tutto un dono
interiore di Dio e poi un Suo comandamento. Era doveroso pertanto rispettare
la legge divina, oltre ad esser questo un desiderio primo e sommo
dell’Imperatore, nonché senso di tutta la sua azione nei riguardi della Chiesa.
Ci si può domandare quanto di convinzione religiosa e quanto
di responsabilità o calcolo politici vi fossero in tale convinzione. Un punto
di soluzione a tale problema sta nel fatto che, nella mentalità del tempo,
c’era sì una distinzione tra il piano religioso e quello politico, ma non v’era
una distinzione di ambiti d’esercizio dell’unico potere politico-religioso.
Costantino, in quanto Imperatore, si concepiva, dunque,
come “servitore di Dio”. Può approfondire questo concetto?
Sì, l’Imperatore era concepito come “vicarius Dei” (si
vedano soprattutto i testi di Eusebio di Cesarea). Da questo titolo discendeva
tutto un elenco di virtù da praticare, per esser davvero degni di tale
incarico: pietas, iustitia, clementia, providentia, philantropia,
megalopsychia, moderatio, indulgentia e molte altre ancora, i cui frutti furono
securitas, tranquillitas, hilaritas, pax.
L’Imperatore era percepito universalmente come patrono di
tutte le genti. Con Costantino ciò acquisì un carattere ancora più
accentuato, in quanto la terra dei foederati fu teorizzata come appartenente
all’Impero, legando ad esso l’intera organizzazione del mondo allora
conosciuto.
Di fatto, tra il 312 e il 337, l’Impero Romano si trasformò
gradualmente in Impero romano cristiano, dove il cristiano prevalse definitivamente
sul pagano alla fine del secolo. E tuttavia l’epoca costantiniana fu un evento
che modificò anche mentalità e costumi, grazie anche all’opera di chi, come
Eusebio di Cesarea, non rimase inerte spettatore, ma progettò la parallela
costruzione e crescita di una cultura cristiana, che fosse l’anima di questo
provvidenziale evento.
Tale progetto egli lo realizzò in maniera esemplare nell’opera Praeparatio evangelica, un complesso raffronto tra testi greci ed ebraici con la cultura cristiana, di cui si mostra la superiorità e il trionfo su qualunque alternativa.
Tale progetto egli lo realizzò in maniera esemplare nell’opera Praeparatio evangelica, un complesso raffronto tra testi greci ed ebraici con la cultura cristiana, di cui si mostra la superiorità e il trionfo su qualunque alternativa.
Anche dal punto di vista architettonico furono realizzate
in questo periodo le basiliche cristiane, gli archi di trionfo, una chiesa
della Santa Pace a Costantinopoli, nuova capitale dell’Impero, in
corrispondenza all’ara pacis di Augusto a Roma…
La struttura stessa dell’Impero fu rinnovata (si pensi
soltanto alla nuova Roma, Costantinopoli) e la Chiesa stessa ne usufruì. Furono
poste insomma le radici e le fondamenta per la configurazione di un comune
denominatore di quell’area, che per comodità si può definire come Occidente,
area omogenea pur se segnata e marcata nei secoli da rotture violente.
Costantino, dunque, ha molto da dire in un’epoca, quale
la nostra, in cui viceversa si cerca di cancellare o, quanto meno, dimenticare
le radici cristiane dell’Europa. Radici, che la Storia ci restituisce
invece in tutta la loro evidenza, anche a partire da episodi quali la battaglia
di Ponte Milvio…
Sì, la conversione di Costantino, se è lecito parlare di un
inizio, maturò già nel 312, proprio alla vigilia della battaglia di Ponte
Milvio con la visione, che alcuni anni dopo l’Imperatore confidò ad Eusebio.
I segni di questa conversione si configurano e diventano
visibili, storicamente, in diversi momenti, parte di un processo continuo,
graduale culminato col Battesimo alla fine della sua esistenza terrena, il 22
maggio del 337, come spiega Eusebio di Cesarea nella sua Vita Constantini.
Ma già molto prima, il mancato sacrificio a Giove Ottimo
Massimo potrebbe rappresentare uno di questi segni: era costume, infatti, dopo
una vittoria, che i trionfatori si recassero sul Campidoglio e sacrificassero a
questa divinità. Costantino, dopo aver sconfitto Massenzio, entrò a Roma, ma
non si recò a celebrare il consueto sacrificio. Per questo un autore come
Lattanzio definì Costantino «l’unico tra gli imperatori di tutte le epoche
ad essere rigenerato dai misteri di Cristo (…) unico tra gli imperatori del
passato ad essersi apertamente proclamato cristiano».
Appare evidente, dunque, come ciò che siamo oggi dipenda in
buona parte anche dall’azione esercitata 1.700 anni fa da Costantino.
(su Radici Cristiane) RC n. 78 – Ottobre 2012)
(su Radici Cristiane) RC n. 78 – Ottobre 2012)
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