Come si è potuto arrivare alla perdita, anzi, alla negazione del senso di peccato?
Si tratta di un processo graduale della cultura moderna, il quale ha
portato a cancellare la nozione di peccato: questo processo va di pari
passo con la negazione della trascendenza. Il filosofo J.P. Sartre
(“L’exsistencialisme est un humanisme”, Parigi 1946, pp. 34 ss.) indica i
passi che si sono fatti per giungere a questa radicale negazione di
peccato.
«Quando nel secolo scorso i professori francesi cercavano di
costruire una morale laica dissero: “Dio è una ipotesi inutile e
costosa, sopprimiamola”. Tuttavia è necessario che vi sia una morale, è
necessario che si prendano sul serio certi valori che esistono a priori.
È necessario essere onesti, non mentire, non maltrattare la moglie.
Questi valori esistono, benché non esista Dio. L’esistenzialismo pensa
invece che con lo scomparire di Dio scompaiano i valori morali. Questi
valori non possono esistere in sé, ...
... se non vi è una coscienza a pensarli e
sostenerli. Lo aveva già detto Dostojewsky: “Se Dio non esiste, tutto ci
è permesso!”» (cfr “I demoni”, in “L’ateismo contemporaneo”, a cura
della Facoltà di filosofia della Pont. Univ. Sales. di Roma, III, Torino
1969, p. 205).
Il processo di negazione della morale e quindi del
peccato in questa pagina è detto in modo lucido ed espressivo. Ma si può
risalire, volendo, anche più a monte.
Come è noto, il principio basilare della filosofia
moderna è quel cogito della soggettività umana, messo a fondamento della
verità. Per questo l’ateo Sartre si è dichiarato coerente interprete
del suo conterraneo Cartesio. Partendo dai principii di soggettività di
Cartesio, da questo momento teorico speculativo si è sviluppato il
conseguente processo pratico, costituito da tutta un’opera di erosione
del sacro e del mistero, operata man mano in tutti i campi: filosofia,
arte, letteratura, tecnica, scienza, politica, fino alla
desacralizzazione radicale che porta ad eliminare quanto delle azioni
umane, del tempo e dello spazio è direttamente volto al culto di Dio,
sottraendolo alle attività ed agli impegni terreni.
Tutto parte da là: la negazione del trascendente.
Si può parlare in senso proprio di peccato, com’è
ovvio, soltanto in una filosofia di struttura teoretica e
personalistica, fondata sulla trascendenza, la quale garantisce non
soltanto l’originalità dell’azione umana, ma soprattutto la sua
“imputabilità” di fronte all’“Assoluto”. Tale imputabilità presuppone
alcune determinazioni metafisiche fondamentali sia rispetto a Dio, come
rispetto allo spirito finito e all’uomo in particolare.
Il senso di peccato è, poi, connaturato al concetto
di religione e di mistero, non per una semplice nozione astratta del
male e della colpa, al quale giunge anche la filosofia, ma come
autentico senso di peccato, per via trascendentale e per via immanente.
Per via trascendentale, perché c’è un Dio personale e trascendente, dal
quale l’uomo dipende; per via immanente, perché c’è stata una
“Incarnazione” e una “Redenzione”, appunto per il “peccato” dell’uomo,
causa della nascita e della morte del Cristo, Figlio di Dio. Come si è
detto all’inizio tutto il fondo teologico della Rivelazione consiste in
queste due grandi idee; l’esistenza del peccato e la redenzione da esso.
Tutta l’opera di Cristo è in questo senso di “giustizia” e di
“giustificazione”.
Il peccato infatti è il rovescio, o meglio, è la
morte della rigenerazione soprannaturale, sorgente di una morale tutta
filiale che è quella del Vangelo. Perciò è giusto anche dire che il
mistero del peccato trova la sua piena spiegazione solo nella
Rivelazione cristiana.
L’idea del peccato, infatti, come quella della
carità, è una delle idee cristiane del tutto originale, anche se
confusamente elaborata nella tradizione giudaica. A tal riguardo è
abbastanza conosciuto il testo di Kierkegaard: «Il concetto che
stabilisce una differenza radicale di natura tra cristianesimo e
paganesimo, è il peccato, la dottrina del peccato...».
Il peccato come “colpa» deliberata, di cui il singolo
è veramente responsabile, ha ricevuto la sua piena chiarezza solo nella
religione biblica rivelata, la quale insegna che prima radice di ogni
peccato è stata la caduta volontaria e colpevole della prima coppia
umana: e che la riparazione di questa colpa è stata compiuta da parte di
Gesù Cristo, Verbo eterno incarnato nel tempo per la salvezza del
mondo.
dal Card. Pietro Palazzini (Piobbico, 19 maggio 1912 – Roma, 11 ottobre 2000)
da Chiesa Viva - Dicembre 2012 - ANNO XLII - N° 455
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