ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 3 gennaio 2013

Gli anticristi


         Secondo la fede cristiana l’umanità si divide tra due categorie di persone: chi è per Cristo e chi è contro Cristo. Nessuno può sottrarsi a questa scelta, anche chi non ha conosciuto o non conosce esplicitamente e coscientemente Cristo, perché comunque ognuno ha un rapporto con Lui, positivo o negativo.
Infatti, come dice S.Giovanni, il Verbo illumina ogni uomo o manifestandosi apertamente come tale – e questi sono coloro che conoscono Cristo esplicitamente, i membri della Chiesa visibile – o manifestandosi attraverso varie mediazioni, come per esempio la voce della coscienza, la percezione naturale dell’esistenza di Dio, i saggi, i riti o i libri sacri di altre religioni, la sapienza filosofica, il rispetto per il prossimo, l’ideale della verità, della giustizia o della pace, l’inclinazione alla bontà, all’onestà, alla virtù, il desiderio della felicità o della beatitudine.

            Infatti, come dice il Catechismo di S.Pio X, “l’uomo è creato per conoscere, servire ed amare Dio su questa terra e goder di Lui eternamente in paradiso”. Ma Cristo è appunto il Dio incarnato, Salvatore dell’uomo; e per questo ogni uomo, come membro della Chiesa, è creato per conoscere, servire ed amare Cristo su questa terra, e goder di Lui eternamente in paradiso. Così ogni uomo, per salvarsi, come ha detto il Concilio di Firenze (1442), deve appartenere alla Chiesa Cattolica, il che però può avvenire anche in modo inconscio e invisibile, per coloro che senza colpa non hanno avuto o non hanno la possibilità di entrarvi consciamente ed esplicitamente.
            L’uomo dunque è creato per accogliere Cristo come Signore e Salvatore, ma questa accoglienza, questa unione con Cristo, questo vivere di Cristo nella grazia non discende necessariamente dal semplice fatto di essere uomini, non entra nell’essenza o nelle esigenze della natura umana come tale, come alcuni erroneamente credono, ma è effetto di una libera scelta e nel contempo della divina elezione o predestinazione, come dice Cristo: “molti sono i chiamati, pochi gli eletti”.
            L’idea oggi diffusa che tutti si salvano è quindi un’idea falsa e pericolosa perché deresponsabilizzante: ci si convince di salvarsi comunque, anche se non ci si cura di liberarsi dai peccati e di esercitarsi nell’obbedienza alla legge divina, credendo che basti una vaga “fede” soggettiva o “atematica” priva di contenuti dogmatici e di un “amore” puramente emotivo, scisso dalla verità. La verità, invece, chiaramente insegnata dal Vangelo e da sempre insegnata dalla Chiesa è che tutti possono salvarsi, ma di fatto non tutti si salvano.
            Come dunque insegna Cristo stesso, ogni uomo deve render conto davanti a Lui del proprio operato: al momento della morte (“giudizio particolare”) e alla fine del mondo, ossia al Ritorno (“Parusia”) di Cristo (“Giudizio universale”); nel primo giudizio, come singolo davanti a Dio; nel secondo, come membro della Chiesa e dell’universo.
            Nessuno quindi può astenersi dal prender posizione davanti a Cristo, nessuno può dire che Cristo non gl’interessa, nessuno è esentato dal dover render conto a Lui, nessuno può tenersi fuori dal problema dell’incontro con Cristo, nessuno può credere che rifiutare Cristo sia privo di conseguenze o che non metta in gioco il proprio eterno destino (paradiso o inferno), nessuno può credere che per non andare all’inferno basti negar fede all’esistenza dell’inferno, nessuno può essere neutrale nei confronti del cristianesimo o addirittura, come fanno certi gnostici, ritenere di porsi da un punto di vista superiore o considerare come facoltativa l’adesione al cristianesimo, come se il non aderirvi non comportasse nessun problema.
            Chiunque nutrisse idee di questo genere, non per questo potrebbe evitare di presentarsi davanti al tribunale di Cristo e subire le conseguenze di tali idee, conseguenze certo tutt’altro che piacevoli, ma giuste. Per amore o per forza, come dice S.Paolo (Fil 2,10), ogni uomo e tutto l’universo alla fine dei tempi saranno sottomessi a Cristo, Re dell’universo. Allora tanto vale che, se non per amore, almeno per sano interesse, prendiamo tutti sul serio la prospettiva cristiana vivendola con impegno, amore e sacrificio, certi che ci attende già da questa vita una divina felicità. Il cristianesimo non è un optional, nel supermercato delle religioni o delle Weltanschauung, tra altre possibilità di salvezza, di felicità o di affermazione dell’uomo: è l’unica via e di una felicità immensamente superiore quella che il più esigente di noi può immaginare.
            Troppo spesso nella nostra società e persino da certi cristiani la fede in Cristo è presentata come una scelta facoltativa tra quella di altri ideali o religioni, come se comunque ognuno possa raggiungere la felicità e la salvezza, quale che sia la sua religione o la sua idea preferita. In questo clima si pensa che non esista una verità oggettiva ed universale, e quindi vincolante per tutti, ma che ognuno può seguire liberamente la propria opinione soggettiva. Cristo non avrebbe parlato per tutti ma solo per i cristiani. Gli ebrei, gli islamici o i buddisti lasciamoli in pace. Ora tutto ciò è completamente falso ed eretico, benchè certo Dio salvi anche coloro che in buona fede, senza conoscere Cristo, seguono il dettame della coscienza morale naturale.
            Questo vuol dire che Cristo ha degli amici, ma ha anche dei nemici; e come ha degli amici docili, fedeli, affezionati, sinceri, generosi e a volte eroici, così ha nei nemici superbi, invidiosi, ostinati, implacabili, bellicosi, crudeli, feroci, diabolici. Certamente non è facile in questa vita distinguere gli uni dagli altri, il grano dal loglio, i “figli del regno” dai “figli di questo mondo”, perché i santi a volte sembrano peccatori e i peccatori sembrano santi.
            Per questo, esiste una certa predicazione cristiana della pace che assomiglia più all’utopismo massonico, russoiano ed illuminista che non alla vera predicazione cristiana, come se la pace internazionale potesse, in questa vita mortale ancora ferita dalle conseguenze del peccato originale, essere semplicemente il frutto della buona volontà e di sagge e ragionevoli  trattative.
            Non c’è dubbio che il cristiano è uomo di pace e straordinario costruttore di pace in forza della pace che gli dona Cristo, ma Cristo stesso ci avverte, soprattutto attraverso l’Apocalisse, che il cristiano non può sottrarsi alla lotta contro gli stessi nemici della pace, ossia i nemici di Cristo e della Chiesa, nemici che agiscono all’interno stesso del nostro spirito (la tendenza al peccato o il demonio),  poi in tutti gli ambiti della vita sociale internazionale.
            Per questo lo spirito di pace non esime il cristiano, quando occorre, anche dal prendere le armi per la difesa della pace e per lo stesso raggiungimento della pace. Qui sta il valore morale e il merito delle forze dell’ordine della forze armate. Solo in paradiso la pace potrà essere piena, perfetta e libera da qualunque minaccia, perché lì Cristo non avrà più nemici di combattere e vincere per mezzo dei suoi discepoli. Le forze nemiche, incatenate nell’inferno, non disturberanno più.
            Così avviene che molti, per un malinteso pacifismo, che poi diventa opportunismo e vigliaccheria e che lascia i forti ad opprimere i deboli, pensando forse di essere imparziali o nel desiderio scriteriato di farsi amare da tutti o di accontentare tutti o di dialogare con tutti (falso concetto della carità), danno spazio tanto alla ragione che al torto, amano, magari senza discernimento o prudenza, la compagnia di tutti, si espongono agli incontri più pericolosi per la loro anima, sono oscillanti, indecisi, doppi, incostanti, incoerenti, sono ora per Cristo ora per il mondo o, se fosse possibile, vorrebbero servire entrambi simultaneamente e ci provano, con risultati a volte ridicoli, a volte penosi, a volte vergognosi.
            L’insieme delle forze malvagie e sataniche che si oppongono a Cristo, le si consideri come un tutt’uno o si voglia far riferimento a una specie di capo supremo, come è più probabile – ma su questo punto gli esegeti non ci vedono chiaro -  è notoriamente  chiamato da S.Paolo “Anticristo” (II Ts 2,8-11).
            Che questo nome non sia necessariamente l’appellativo di una singola persona, ma possa rappresentare un nome comune o il nome di un collettività, è testimoniato da S.Giovanni, il quale viceversa parla di più “anticristi” nel seguente brano: “Figliolini miei, è l’ultima ora; e come udiste che l’Anticristo viene, vi sono ora molti anticristi, donde intendiamo che è l’ultima ora. Sono usciti di tra noi, ma non erano dei nostri, perché se fossero stati dei nostri, sarebbero certamente rimasti con noi, ma si deve far manifesto che non tutti sono dei nostri”( I Gv 2,18-19). E poco dopo l’Apostolo spiega chi è l’anticristo: “Chi nega il Padre e il Figlio” (v.22) e altrove chi nega il Verbo “venuto nella carne”(4,3).
            L’“ultima ora” della quale parla S.Giovanni non è necessariamente da intendersi come prossima venuta di Cristo, benchè S.Paolo associ la venuta dell’Anticristo all’imminente venuta finale del Signore. Infatti l’espressione “ultima ora” come gli “ultimi tempi” nel linguaggio biblico corrispondono anche a quella che è chiamata la “pienezza del tempo”, ossia il momento della venuta del Messia, l’“ora” nella quale si decidono le sorti dell’umanità secondo il piano divino della salvezza. Per S.Giovanni quindi la venuta degli anticristi è segno della venuta dell’ “ultima ora” nel senso suddetto di quell’ora nella quale si decide per l’uomo il suo destino legato alla scelta radicale fra Cristo e l’Anticristo.
            L’Anticristo è dunque colui che attacca direttamente il Mistero di Cristo Verbo fatto carne, Figlio del Padre, come lo stesso Apostolo insegna nel Prologo del suo Vangelo. Già da allora iniziavano le eresie cristologiche. La Chiesa le combattè subito con la massima energia chiarendo la verità in grandiosi ed immortali Concili ecumenici, soprattutto quelli di Nicea del 325 (la “consustanzialità” di Cristo con Dio Padre, omoùsios to Patrì, in altre parole, la divinità di Cristo) e quello di Calcedonia del 451 (Cristo una persona divina in due nature: umana e divina).
            Al riguardo, possiamo dire che per moltissimi secoli le eresie cristologiche hanno praticamente taciuto, salvo forse con Lutero, il quale però non attaccò direttamente il dogma della Persona di Cristo, Verbo Incarnato Redentore, che in lui resta intatto, ma falsificò l’opera della salvezza, quella che allora si chiamava con linguaggio paolino la “giustificazione”, ossia la questione di come Cristo ci perdona i peccati, ci dona la grazia e ci rende giusti e santi.
            Ma da allora la non facile armonia raggiunta dalla Chiesa nel definire il complesso mistero di Cristo ha come cominciato a dissestarsi, sono sorti gravi strascichi dell’eresia luterana anche in campo cattolico, come per esempio il delicato problema del rapporto tra la grazia e il libero arbitrio, circa il quale apparve una duplice opposta tendenza: o a dar troppa importanza alla volontà dell’uomo (molinismo) o, al contrario, ad accentuare l’opera della grazia a scapito dell’esercizio del libero arbitrio (Giansenio, Quesnel).
            La prima tendenza porterà al naturalismo e razionalismo illuministici e massonici del sec.XVIII sino ai nostri giorni; la seconda accentua talmente l’opera della grazia (il sola gratia luterano), che si giungerà addirittura a risolvere l’umano, totalmente relativizzato, nel divino che diventa Dio stesso come forma dell’uomo e si perverrà, a cominciare da Spinoza, Lessing e Schleiermacher sino a Schelling, Hegel e Gentile, al panteismo.
            E siamo ai nostri giorni, ai disgraziati nostri giorni, che vedono il risorgere impressionante e diffuso, cambiando forse qualche termine, di tutte le antiche eresie già vinte dai Concili cristologici dei primi secoli, ed oggi trionfalmente ed sfacciatamente risorte come se si trattasse, in linea con la “modernità” e con l’esegesi “storico-critica”, della verità finalmente conquistata circa l’“evento-Cristo”, dopo secoli di equivoci e di oscurantismo della Chiesa di Roma, che aveva dichiarato eretici i profeti, araldi della Parola di Dio e servitori del Vangelo, come per esempio Lutero o Calvino, mentre aveva canonizzato i servi di Aristotele e della scolastica, come per esempio S.Tommaso d’Aquino o S.Roberto Bellarmino o S.Pietro Canisio o S.Pio X.
            Anche oggi, quindi, con S.Giovanni, possiamo lamentare che molti fratelli, del popolo come del clero e della stessa gerarchia, teologi o semplici fedeli, “son usciti di tra noi”, ma diversamente da quanto riferisce Giovanni, costoro hanno la pretesa di “restare con noi” senza affatto rinunciare ai loro errori, ma anzi con la pretesa di assumere nella Chiesa un ruolo guida proprio per imporre le loro idee cosiddetta “moderne” contro quelle tradizionali della vera fede, da loro viste come vecchie e superate, per non dir sbagliate e comunque non adatte ai tempi moderni.
            E’ questa la speciale difficoltà dell’attuale convivenza ecclesiale: la presenza all’interno della Chiesa stessa, di questa zavorra, di questi eretici, i quali non solo non sono affatto disposti a riconoscere di sbagliare, ma si ritengono i maestri, aspirano alle cattedre e ai primi posti, sono sicurissimi di essere nella verità, benchè si tratti di idee in contrasto con la tradizione della fede. , Eppure ritengono che le loro teorie siano più progredite e più avanzate di quelle dei normali cattolici, a cominciare dal Papa fino all’ultimo dei veri cattolici.
            Pertanto questi eretici non intendono assolutamente lasciare la Chiesa, anzi sono convinti di essere più che mai “cattolici”, di aver capito, meglio del Papa e del Magistero, qual è il vero Vangelo, qual è la vera Tradizione, qual è la vera Parola di Dio. Un Vito Mancuso, per esempio, proprio nel suo famoso libro sull’anima dove rifiuta formalmente alcuni dogmi, perché, a suo dire, sarebbero “contro la ragione”, dichiara solennemente di appartenere alla Chiesa cattolica e che apparterrà sempre alla Chiesa cattolica.
            Soltanto Mons.Forte, tra i vescovi (che io sappia), è intervenuto a smentirlo. Ma per un caso così grave e scandaloso non sarebbe forse stata opportuna almeno una nota della la S.Sede, che pure interviene per molte altre questioni di minore importanza? Almeno a riparare l’imprudenza di un  card.Martini, il quale, nella prefazione a quel disgraziato libro, benchè tra alcune vaghe e deboli riserve, gli fa sostanzialmente una lode? Come mai questo smarrimento? Che cosa è successo in questi ultimi decenni di vita ecclesiale? Infatti il caso Mancuso-Martini non è affatto raro, ma si potrebbero citare moltissimi altri esempi. Come mai “l’abominazione nel luogo santo”?
            Perché i vescovi tacciono? Non se ne accorgono? Non capiscono? Condividono? Hanno paura? Pensano che siano in gioco delle semplici opinioni? Non sanno che pesci pigliare? Non si rendono conto che è in gioco la loro responsabilità specifica di maestri e custodi della fede? Non pensano al bene del gregge? O come lo intendono questo bene? Solo riempire la pancia o anche illuminare l’intelligenza? Non si accorgono col loro silenzio, di dar scandalo e di indurre i fedeli nell’errore? Vogliono sprovvedutamente mostrarsi al di sopra delle parti? Fraintendono la missione del vescovo insegnata dal Concilio? Non vogliono far la figura del retrogrado? Sono sedotti dal modernismo ? Da Rahner? Difficile rispondere con precisione, ma certamente vale una o più di queste risposte, diversa forse caso per caso.
            La particolare difficoltà della Chiesa di oggi è che non sempre disponiamo del criterio di distinzione offerto dall’Apostolo per sapere quali “sono dei nostri” e quali non lo sono. Infatti S.Giovanni, per aiutarci a riconoscere coloro che non sono dei nostri, lascia intendere che essi sono usciti visibilmente e dichiaratamente dalla Chiesa, eventualmente, come si usa dire, “sbattendo la porta”, come nel passato hanno fatto tanti eretici, a cominciare da Lutero, lanciando bestemmie contro il Papa e il Magistero, in certo senso però meno sleali dei nostri moderni, che vogliono tenere i piedi su due staffe, fingono di rispettare Papa e Magistero, e per il colmo dello scandalo, ricevono anche onori e lodi da teologi e da prelati, mentre magari chi li critica in nome della vera fede viene disprezzato, emarginato o coperto di insulti.
            Oltre a ciò – cosa che contribuiva in passato alla chiarezza – normalmente gli eretici venivano o avvertiti o ammoniti o scomunicati o comunque erano oggetto di varie censure ecclesiastiche più o meno severe, in modo tale che anche il comune fedele che poteva non essere addentro alla questione, sapeva che di quella data persona non ci si poteva fidare[1] o comunque andava affrontata con circospezione e discernimento, un po’ come avviene in campo medico o della salute, dove le autorità competenti avvertono i cittadini dei rischi insiti in certi prodotti.
            Il cittadino di buon senso, anche se non conosce i motivi precisi che hanno indotto l’autorità all’intervento, fidandosi di essa, evita saggiamente quel dato prodotto o lo usa con una speciale cautela o solo a certe condizioni. Perché mai invece nel campo della dottrina della fede, dove c’è in gioco la salute dall’anima ben più importante della salute fisica, c’è tanto pressapochismo, tanta incuria, tanta debolezza, tanta incompetenza, tanta superficialità, ci si limita a discorsi generici che lasciano il tempo che trovano, non disturbano nessuno, non colpiscono mai il colpevole, che sfugge sghignazzando ai colpi maldestri, i medici o sono assenti, imboscati o inetti o addirittura, invece di curare, sbagliano la diagnosi e quindi la cura o compromettono la salute o favoriscono le malattie, come il famoso dottor Mengele dei campi di stermino nazista o come quei medici che praticano l’eutanasia?
            Abbiamo perso – e mi riferisco ai medici dello spirito, docenti, sacerdoti, religiosi, teologi, vescovi, cardinali, – il senso terapeutico dell’ammonimento o della censura o correzione dottrinale, abbiamo perso la coscienza che questi interventi, ben studiati e calibrati, sono un preciso dovere della carità pastorale[2] che è obbligo dei pastori e dei superiori, nonchè della correzione fraterna tra uguali o fratelli nella fede.
            Sembra che siamo tuttora schiavi di vecchi pregiudizi razionalisti, illuministi o massonici contro l’idea stessa di eresia e di repressione dell’eresia, cose viste come truci e illiberali usanze di un passato medioevale che deve esser morto e sepolto in questi tempi moderni, illuminati dalla libertà di pensiero, dal dialogo a tutto campo e dalla tolleranza di tutte le idee, mentre si pensa che tutti, seppur da punti di vista diversi, sono in buona fede e cercano la verità, ammesso e non concesso (come dice Rahner) che esista una verità oggettiva ed universale, concettualmente ed inequivocabilmente formulabile, alla quale si possa opporre con certezza e precisione un errore contrario.
            Speriamo che il presente Anno della Fede costituisca un efficace appello a tutti i credenti di buona volontà, popolo e pastori, ad avvertire maggiormente l’importanza della verità nella vita di fede, perché se è vero che la fede deve giungere ad una prassi e ad un’esperienza di vita, tutto ciò sarebbe falso ed illusorio se non fosse fondato su di una chiara e sicura percezione della verità della Parola di Dio libera da tutto ciò che la può falsificare e trasformare in via di perdizione anziché di salvezza.
            La vera fede non lascia sussistere in noi un “non-credente interrogato dal credente e interrogante il credente”, come erroneamente ritiene il card.Martini. La vera fede, certo, si pone delle domande, ma le domande non le fa al non-credente, che invece dev’essere istruito e non far da maestro, ma le fa alla Parola di Dio, trasmessaci dal Magistero della Chiesa, perché la vera fede elimina l’incredulità (non il non-credente!), che le è nemica e rifugge dal dubbio che non sia ispirato dal desiderio di aumentare la fede o di comprendere le ragioni della fede.
            La vera fede non è quella che cincischia sempre col dubbio fine a se stesso, senza mai venir a capo di nulla, ma è quella che, fondata su buoni argomenti di credibilità, con sagge argomentazioni e una credibile testimonianza di vita, può essere comunicata ad altri non ancora o non più credenti, sotto l’influsso e con l’aiuto dello Spirito Santo. Questo è quanto ci insegna Cristo che, di fede, penso, se ne intendeva.

[1] L’Indice dei libri proibiti per secoli ha servito anche a questo scopo, benchè non fosse il sistema ideale per preservare dall’errore, perché si finiva con l’escludere anche i lati buoni che potevano esse contenuti in questi libri. L’ideale  sarebbe ed è  fare una lavoro di separazione fra il positivo e il negativo.
[2] Mi permetto di indicare su questo tema il mio libro La questione dell’eresia oggi, Edizioni Vivere In, Monopoli (BA) 2008, dove presento un modo attuale di affrontare il problema alla luce della Sacra Scrittura, sulle orme dei maestri del passato e delle indicazioni della Chiesa postconciliare. Espongo queste idee ormai da due anni mensilmente nelle mie catechesi domenicali alle ore18 a Radio Maria
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