di L. P.
“En touto nika” – “In hoc signo vinces” – “In questo segno vincerai”.
Ci si permetta una digressione per rammentare come, nel 1689, Gesù, tramite santa Margherita M. Alacoque, fece pervenire al re di Francia, Luigi XIV, l’ordine di fissare ed issare sugli stemmi regali e sulle bandiere, lo stemma del Suo Sacro Cuore: replica esatta della vicenda costantiniana, ma con un re che, diversamente da Costantino, non si curò di corrispondere e di obbedire.
Le conseguenze, in Francia, si avvertirono 100 anni dopo, nel 1789, quando la monarchia fu travolta dall’operazione satanica della rivoluzione, ordita dai circoli degli Illuminati, lasciando, materialmente e simbolicamente, la testa sulla ghigliottina. Torniamo a Costantino e poniamo attenzione al fatto che il motto non dice “simbolo” ma “segno”, differenza sostanziale che qualsiasi studente accorto conosce, in quanto il simbolo reca seco – per etimologia: syn-bolon = getto insieme - una polisemia tal che il leone dantiano, ad esempio (Inf. I, 45) che, nel contesto locale, rappresenta la superbia, in altri ambiti ed aree può indicare fierezza, regalità, audacia, dominio.
Il segno, invece, specialmente se inserito nel tessuto teologico e liturgico del Cattolicesimo – il caso che interessa - assurge a significato univoco ed indeclinabile. Lo stesso segno, infatti, fuori contesto religioso, tradotto in termini simbolici può diventare il distintivo dell’addizione, il grafico dei punti cardinali, o la configurazione cartesiana d’una funzione, o l’emblema di qualche gruppo politico.
La Croce, che è la memoria della Passione e Morte di Gesù, è il segno per eccellenza. Esso si traccia sulla fronte del battezzando, non quale simbolo ornamentale e cerimonialistico, ma quale visibile formalità che adempie il comando di Cristo: “Euntes ergo docete omnes gentes baptizantes eos in nomine Patris, et Filii et Spiritus Sancti”(Mt. 28, 19).
È il segno che sigla e sancisce la riconciliazione del peccatore con il Signore, è il segno che rende sacra e piena la confermazione annunziata nel crisma santo, è il segno con cui si dà viatico a chi sta varcando la soglia dell’eternità, è il segno che santifica e rende indissolubile il vincolo d’amore dei coniugi, è il segno che eleva alla dignità sacerdotale l’uomo chiamato da Dio, è il segno che si fa tutt’uno con il suo Signore nelle specie del pane e del vino.
Il segno della Croce è il sigillo di tutti i sacramenti.
Esso, inoltre, è terribile presenza davanti a cui il demonio fugge, ed è il segno che concede “pace” al defunto.
Con il segno della Croce apriamo la giornata e la chiudiamo, e sempre con esso e in esso, professiamo la fede cattolica, la speranza e la carità.
Con il segno della Croce è la stessa Vergine Maria che, a Lourdes, apre la recita del suo Rosario, il segno che apparirà nel cielo degli ultimi giorni, è l’annuncio della seconda venuta di Cristo. “Et tunc parebit Signum Filii hominis in caelo” (Mt. 24, 30).
“Ecce, in Cruce totum constat non est alia via ad vitam, et ad veram internam pacem, nisi via sanctae Crucis” scrive, commosso, l’autore della Imitatio Christi (II, XI, 3) - ecco, tutto s’impernia nella Croce e non v’è altra via verso la vita e verso la vera pace interiore, se non quella della santa Croce - .
I Crociati, i Cavalieri Templari, i Teutonici, i Gerosolimitani una volta, e poi gli ordini monastici e secolari, si sono sempre – fino a qualche tempo fa – distinti esteriormente con questo santo e venerando segno. Era – dìcasi era– il segno del dolore sacro, della fede e della speranza posto negli ospedali, il segno della giustizia nei tribunali, il segno della sapienza nelle scuole, il segno di protezione nelle edicole sparse lungo le strade, il segno svettante sui campanili e il primo ad apparire al pellegrino.
La ragione illuminata del pensiero debole e cretino ha creduto bene disfarsene sfrattandolo dalla società civile e contagiando, in questa operazione di “rivoluzione culturale laicistica e democratica”, anche la Chiesa Cattolica, con esiti davvero assurdi come la bara di Paolo VI, esposta sul sagrato di San Pietro, priva del santo segno o come quello di un giovine sacerdote che, durante le esequie di un suo compagno d’infanzia, osò porre il blasfemo: “Dove eri o Dio?” imitando l’analoga domanda posta da Benedetto XVI nella sua visita ad Auschwitz.
E mentre gli uomini della Gerarchia estendono il dialogo fino al punto di abiurare all’impegno di evangelizzare gli Ebrei –Bagnasco dixit! – la cultura e il potere talmudico rispondono gentilmente a modo loro continuando l’assalto della ragione illuminata alla fede cattolica mediante la tecnica del “messaggio subliminale” che, per lo più, è iconografico.
Prendiamo i filmati d’azione poliziesca che registi e produttori ebrei ci scaricano quotidianamente sugli schermi tv. Fate caso: non c’è assassino, prostituta, ricattatore, violento, stupratore e maniaco, bianco o nero che sia, che non porti una Croce appesa a girocolli d’oro o tatuata su braccia o schiena o petto, quasi a dimostrare che la feccia della società, che la benemerita polizia calvinista/puritana combatte e sconfigge, è cristiana. Se c’è un pedofilo, state sicuri che sarà un sacerdote cattolico che consuma il delitto in chiesa.
Sulla Croce si combatte, quindi, la guerra Satana/Gesù.
Ma torniamo al tema più pertinente.
Quando il sacerdote concede l’assoluzione “nel” nome e non “col” nome della S. S. Trinità – così intendendo essere il peccatore ritornato nel seno del Padre - concede contestualmente la pacedel Signore conseguente effetto del pentimento.
E proprio su tale aspetto – la pace del Signore - è necessario fare sosta per una riflessione pertinente al rito della Santa Messa.
La pace che Gesù promette i suoi discepoli non è, infatti, quella delle “cose di quaggiù” ma la pace del regno di Dio, la pace dello spirito, la pace che deriva dall’essere in grazia e dal corrispondere alla Sua volontà.
“È ‘n la sua volontade è nostra pace” afferma Piccarda Donati (Par. III, 85), ricalcando S.Th. II IIae q. CIV art. 1 e segg.
Ma senza spendere ulteriori parole per testimoniarlo e dimostrarlo, è sufficiente ricordare, in proposito, le parole di Gesù per comprendere la differenza tra una pace terrena politica, diplomatica - quella che la Gerarchia da tempo, con l’iniziativa tossica e nefasta di Assisi 86/2002/2011, sta sterilmente inseguendo – e la pace interiore dello spirito. “Vi lascio la pace, vi dò la mia pace; ve la dò, non come la dà il mondo” (Gv. 14, 27).
Una pace che non è nemmeno quella del mondo.
Pertanto Dominus locutus est, causa finita est.
Poi è successo qualcosa.
Quando nel 1964 Paolo VI, rendendo esecutivo l’art. 54 della Costituzione “Sacrosanctum Concilium”, insediò il “Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra liturgia”, cioè per la revisione liturgica della Messa rivolta, tra l’altre cose, in lingua volgare, scelse, quale coordinatore e “perito”, Mons. Annibale Bugnini, eminente personaggio conciliare, da tempo in sospetto e sulfureo odore di militanza massonica (BUAN – matricola 1365/75), così come è sempre stata nota la partecipazione, a questa commissione, di rappresentanti anglicani e luterani che, usualmente, sono iscritti alla massoneria.
Non è compito di questa ricognizione esaminare criticamente tutti i punti di deriva e di scasso dottrinario contenuti nel cosiddetto NOVUS ORDO MISSAE– 1969, perché a ciò provvidero lo scrittore/apologeta Tito Casini con una pungente operetta, “La tunica stracciata”, 1967 , il coraggioso Don Luigi Villa ed i cardinali Ottaviani e Bacci con una precisa, rigorosa ma inutile analisi critica, non tralasciando di citare la voce di SI SI NO NO.
In questo breve esame si vuole evidenziare un momento della Santa Messa, o meglio, un gesto “rituale” – che di rituale non esprime alcunché – quello che, nella fattispecie viene eseguito dai fedeli su invito del celebrante: “Come figli del Dio della Pace, datevi un segno di pace”. “Un” segno? Perché “un segno” e non “il segno”, quasi a credere ad un’ampia possibilità di scelta nella disponibilità del repertorio pacifista?
Quali sarebbero i segni di pace, non i simboli, tra cui sceglierne uno?
Il bacio di galateo o d’amore o quello volante soffiato dalla mano, l’abbraccio, la pacca sulle spalle, il segno V, l’indice e il pollice congiunti a formare un cerchio, l’annuire del capo, la manina agitata, l’inchino buddista, la mano sul cuore, il baciamano, un sorriso, la stretta di mano?
Forme tipiche del linguaggio della gestualità, un codice, in sintesi.
Quasi dimenticando – la Gerarchia e i “riformatori” – che il cristiano ha il suo “segno” unico e distintivo – il santo segno della Croce, quello che ha assicurato “la pace” vera.
Si è andati ad assumere e praticare - tanto per dare un tocco salottiero al Sacro Rito ridotto, d’altra parte, a un banchetto, lusingando i tanti progressisti di sagrestia e gli stessi protestanti, o per non apparire fuori orbita dei tempi - un gesto/simbolo non solo banale, inespressivo, ma sottilmente deviante ed alieno: la stretta di mano.
Questo gesto, da che mondo è mondo, caratterizza, per lo più, un incontro, una nuova conoscenza, un augurio a rivedersi, livelli di valori banali e di semplice corredo formale e di comportamento. È, in definitiva, un simbolo. Ma chi conosce il mondo nascosto cosiddetto sapienziale e la storia del simbolismo sa perfettamente che questo gesto diventa, in particolari circostanze, indiziario rivelatore di una ritualità oscura, occulta ed esoterica, un cosiddetto “segno di passo”.
È la stretta di mano che l’adepto di Mithra effettua con il mistagogo;
la stretta di mano dello ierofante di Eleusi con la ierodula iniziata agli ultimi “misteri sessuali”;
la stretta di mani incise o scarnificate col cui sangue, che vi si mescola, i neofiti, addivenuti nel patto scellerato, testimoniano e giurano un impossibile tradimento;
la stretta di mano dei soci della elitaria e potente società universitaria americana “Skulls and bones” con la quale si sigla l’impegno indelebile per una fratellanza tendente al potere politico/finanziario;
la stretta di mano degli aderenti ai gruppi razzisti, quali il Ku Klux Klan;
la stretta di mano e la catena delle mani con cui, nella seduta spiritica, si evocano, contro il comandamento di Dio, le anime dei trapassati, col manifestarsi di fenomeni di satanismo;
la stretta di mano gelida e feroce del Commendatore al mozartiano Don Giovanni.
E, per concludere, la classica e dissimulata stretta di mano del riconoscimento massonico la quale, stante la sospetta appartenenza a questo ordine satanico del predetto riformatore BUAN, sembra essere proprio quella indiziaria del sovvertimento liturgico.
Se qualche valore la stretta di mano possa esprimere, esso si riferisce al costume della civiltà agricola, quello di sancire l’adempimento di un patto, o di un accordo, proprio con la stretta in predicato. Un valore che possiamo definire etico. Ma non è certo questo valore e questo livello simbolico che si addicono al Sacrificio della Croce rinnovato nella Santa Messa.
Qui i gesti liturgici – le fasi, le rubriche, gli interventi - diventano segni perché non tendono a un contesto etico ma, senza equivoci si elevano al livello della trascendenza e vi confluiscono.
Quale valore possa rivestire una stretta di mano in un sacro evento come la Santa Messa, ove sono estranei il quotidiano, l’ordinario e la banalità, è tutto da dimostrare.
Per che cosa e per quali virtù intrinseche possiamo assimilarla ad elemento pregno di sacralità innervabile nel rito della Santa Messa?
Forse perché, talora, essa stretta è il significante di una rappacificazione?
Ma questo cerimoniale tipicamente laico non può assurgere a segno di sequela cristiana e, quand’anche lo si svolga in nome di Gesù, non diviene segnoda inserire nel rito e nel memoriale della Passione e Morte di Cristo, in quanto rimane simbolo seppur nobilitato dall’essere inserito in un contesto cristiano.
È, perciò, uno scandalo che si esteriorizza in quel movimento frenetico e festaiolo, da sala ricevimenti, e che vede adulti, giovani, bambini allacciare quante più mani possibili, attraversare la navata in lungo e in largo col corredo di un chiacchiericcio, di sorrisi beoti, e di bon ton, e di carezze e di ammennicoli da pettegolezzo. È, forse, il momento più atteso. Strette di mani mollicce, pendule, molitorie, ossute, sguscianti, a tenaglia, ondeggianti per minuti interi, sostitutive dell’unico segno di pace, il divino segno di Croce!!
Aberrante, dissacrante e banale cultura!
Se si pensa che, poi, la maggior parte di quei “cristiani” assumeranno la Divina Particola con le mani, c’è da piangere e da pregare Dio perché li perdoni.
Quando taluno mi si rivolge tendendo la mano, cortesemente ma con decisione, rifiuto segnandomi con il segno della Croce, provocando con ciò grande stupore o, talora, risentimento dell’altro, al quale, concluso il sacro rito, spiego il motivo del mio atteggiamento. Spesso riesco a convincere, così come spesso l’altro, pur non sapendo obiettare, rimane del proprio parere.
Accanto a questo deprecabile e biasimevole esempio di sovvertimento liturgico, va annoverata quella maniera, quella posa che, introdotta dai movimenti “carismatici – pentecostali - neocatecumenali” – eversori della dottrina e della liturgia– si appropria, in nome di una presunta legittimazione sacerdotale, delgesto/segno unico ed esclusivo del ministro celebrante, la recita cioè del Pater che egli eleva al Signore a braccia aperte, sollevate, a ricordo del gesto di Mosè che, nella battaglia contro gli Amaleciti, sosteneva gli Israeliti pregando proprio in questa posa, tale che, fin quando le mani erano sollevate, Israele vinceva, diversamente si capovolgeva l’esito della battaglia. A provvedere contro tale eventualità, due suoi aiutanti gli sorreggevano le braccia (Es. 17, 11-12).
E così, i novatori, al grido “Siamo tutti sacerdoti” e predicando la “partecipazione attiva” hanno, di fatto, espropriato le esclusive prerogative del ministro-celebrante, facendole proprie e sconvolgendo e ribaltando i ruoli, come bene si osserva in questo esempio, con i fedeli impegnati, chi con la braccia in basso, chi a metà corpo, chi a palme aperte addossate al petto e molti tenendosi per mano a formare catene né più né meno che in una seduta spiritistica, ed oscillando come in una balera o su una spiaggia brasiliana.
Un esempio che non è l’unico, potendosi pescare in quell’alluvione di novità pagane e sacrileghe che sta sommergendo l’identità della Chiesa.
Si pensi, tanto per dirne uno, alla messa – lo scrivo in minuscolo in quanto illegittima e blasfema – concelebrata, il 20 agosto 2012, con i dirigenti della massoneria, in grembiule, compasso e maglietto, in una chiesa del Brasile – parrocchia di Nossa Senhora da Conceicao, diocesi di Pesqueira – da un indegno, dannato prete: Gerardo de Mangela Silva.
Exsurge Domine, rumpantur ilia proditoribus nostris!
Tratto da: UnaVox http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV393_Nuovo_segno_di_pace_LP.html
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