ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 13 gennaio 2013

Osservatore Vaticano?


Dialogo con l'ebraismo. Con tutto il rispetto, non può riconoscersi nulla di positivo nel rifiuto di Cristo!

Riprendo dal Blog francese Osservatore Vaticano, 11 gennaio. Non soltanto per favorire la circolarità di comunicazione; ma perché è interessante, attuale e condivisibile. Lo completo inserendo di seguito una riflessione estratta da una precedente discussione sul tema.

Scrive Vini Ganimara: È stata attirata la mia attenzione su un'intervista a « La Croix » del gran rabbino Bernheim.

Questa intervista evoca essenzialmente lo pseudo «matrimonio per tutti» e, globalmente, condivido al riguardo i punti di vista [vedi estratto - l'originale è consultabile o scaricabile da qui] del gran rabbino [citato anche dal Papa]. Ma, alla fine, sulla questione del dialogo ebraico-cristiano ammetto di non esser più del tutto d'accordo.

Alla domanda: « Lei afferma che la questione importante per il dialogo ebraico-cattolico è ormai ciò che: – al di là del Nuovo Testamento – ha condotto la Chiesa a fare del cristianesimo una religione non ebrea? Perché »

Il gran rabbino risponde così:
« Vorrei rovesciare la questione. Se il popolo ebreo e l'ebraismo hanno deliberatamente scelto di non accettare Gesù per ciò che la Chiesa proclama che Egli è, il cristiano può, dal fondamento della sua alleanza di fede a Gesù Cristo, accettare e affermare che il popolo ebreo è sempre chiamato a compiere una missione, affidatagli da Dio, e che l'ebraismo è una risposta autentica a questo appello?
Una formulazione condensata di questo problema consiste nel dire che l'antigiudaismo cristiano non sarà oltrepassato che quando i cristiani saranno arrivati a percepire in senso positivo il « no » degli ebrei a Gesù
 ».
Ma come un cristiano che, per natura, pensa che la salvezza è data da Gesù Cristo, potrebbe trovare positivo un « no » a Gesù Cristo (che egli venga dagli ebrei o da chiunque altro).

Il no degli ebrei a Gesù Cristo è qualcosa di infinitamente misterioso, per cui noi proviamo il più profondo rispetto dopo le pagine luminose de San Paolo nella Lettera ai Romani a questo riguardo.
Sappiamo bene che la Provvidenza utilizza questa permanenza dell'Israele secondo la carne per educare l'Israele spirituale che è la Chiesa. Ma chiederci di trovare questo « no » positivo, è chiederci troppo. Ciò equivarrebbe – a meno che io non abbia mal compreso il pensiero del gran rabbino Bernheim (nel qual caso, ringrazio in anticipo i lettori di Riposte catholique che potrebbero illuminarmi… e nello stesso tempo illuminare l'insieme dei lettori!) – ciò equivarrebbe, io dico, ad ammettere che esiste una via di salvezza che non passa da Cristo. Ciò equivarrebbe, in definitiva, a chiederci di rinunciare al cuore della nostra fede. Per noi, cristiani, Cristo è l'unica via di salvezza: anche coloro che non Lo conoscono non possono che essere salvati dal suo Sangue.

Ulteriori riflessioni
Non possiamo che convenire. E dunque che sconcerto leggere in un documento della Chiesa (2001) : «Il popolo ebraico e le sue sacre scritture nella Bibbia cristiana» della Pontificia Commissione Biblica : « L' attesa messianica ebraica non è vana. Essa può diventare per noi cristiani un forte stimolo a mantenere viva la dimensione escatologica della nostra fede. Anche noi, come loro, viviamo nell'attesa. La differenza sta nel fatto che per noi Colui che verrà avrà i tratti di quel Gesù che è già venuto ed è già presente e attivo tra noi ».

È vero che anche noi viviamo nell'attesa; ma si dimentica un elemento non secondario: la nostra attesa è di Colui che è già venuto e siamo pienamente immersi nella dimensione escatologica della nostra fede perché, anche se essa vive il « già e non ancora » di una dinamica cristificante, tutto in Cristo è già compiuto ed Egli, il Primogenito dell'umanità Redenta, siede già alla destra del Padre.

In ogni caso, se dell'affermazione citata possiamo condividere la conclusione attribuendole coordinate esatte (non tanto i tratti di Cristo, quanto Lui in Persona, Vivo e Vero), mi pare decisamente contraddittorio affermare che «l'attesa messianica ebraica non è vana», perché gli ebrei non attendono il Cristo di nuovo venturo nella gloria che noi attendiamo: lo hanno già rifiutato e continuano a rifiutarlo. Dunque, che senso ha un'affermazione del genere? Essa andava molto di moda in un certo ambiente e in quegli anni e purtroppo è una moda che sembra consolidarsi e diventare qualcosa di più ; ma cattolicamente, se l'identità cattolica (non di etichetta) ancora esiste, è un'affermazione arbitraria...

Ricordo anche la poesia di Edmond Fleg, sulla stessa lunghezza d'onda:

E adesso tutti e due aspettate:
Tu che venga e tu che torni.
Ma è la stessa pace che gli chiedete.
E le vostre mani:
- che venga o che ritorni:
le tendete verso di lui con lo stesso amore!
Cosa importa allora?
Dall’una e dall’altra riva
fate che egli arrivi!

Mi pare un grande inganno, perché falsa e oscura non poco la realtà dirompente dell'Incarnazione del Verbo che si è fatto uomo nonché della Presenza del Signore Risorto nella Chiesa e nella Storia...

È un discorso sentimentale non ontologico, perché anche « è la stessa pace che gli chiedete » è un inganno: la Pace vera è già venuta con Cristo («vi lascio la pace, vi dò la mia pace...» Gv 14,27-31a) ed in pienezza sussiste solo in Lui! Noi la chiediamo a Cristo Signore e la troviamo in e da Lui, mentre gli ebrei la chiedono ad un messia sconosciuto e « altro » da Lui... Se si ignora o tralascia questo si fa un discorso monco e dunque non veritiero. L'universalità della missione dell'Antica Alleanza, che il rabbino sente e rivendica e che del resto fa parte dell'Antico Testamento, è stata assorbita nella cattolicità dell'Alleanza Nuova ed Eterna sancita nel Sangue di Cristo. Il termine sostituzione, dà molto fastidio ed è per questo che è stato espunto dal lessico ecclesiale; ma ne esiste un altro per indicare questa realtà così com'è?

E ancora che sconcerto continuare ad assistere al ripetersi di profferte come quelle recenti di Koch [vedi anche] e compagnia... Giova ripetere che non è pertinente confondere l'antisemitismo, da cui è sempre bene guardarsi, con l'affermazione delle differenze: si tratta di due fedi diverse, non facciamo confusione, né improprie omologazioni o commistioni! Sembra di aver imboccato una strada senza ritorno, per come Pastori illustri ne sostengono la direzione: ma può essere la nostra strada, una strada cristiana, prima ancora che cattolica? Non equivarrebbe, come afferma Vini Ganimara, a chiederci di rinunciare al cuore della nostra fede?

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