Le Goff “Abdica come i re Una rivoluzione quel trono vuoto dopo 600
anni”
Jacques Le Goff è stupito e affascinato dal gesto di Benedetto XVI, uno di quei rarissimi eventi che, secondo il grande storico, dimostrano la forza plurisecolare del cristianesimo.
Professor Le Goff, la rinuncia del Papa fa pensare al trono vuoto: è un’immagine adeguata a riassumere il gesto del pontefice?
«Sì e no. Personalmente, non è un’immagine che mi tocca molto, ma è importante per una religione: fa vedere che anche se la religione non ha una testa umana da mostrare, c’è sempre il trono che simboleggia l’esistenza di un re nel cielo, Dio.
Di conseguenza, il trono vuoto è il simbolo della
continuità. È uno degli atout del cristianesimo, che ha sempre evitato le rotture e per cui l’unica rottura è stata l’incarnazione di Gesù. Ci possono essere crisi, svolte, catastrofi, ma il trono di Dio è sempre lì. Questa eterna associazione fra il cambiamento e la continuità, incarnata dal trono vuoto, è una delle virtù del cristianesimo».
Come ha reagito alle dimissioni?
«Non si tratta di dimissioni, perché le dimissioni vengono date davanti a un’assemblea davanti a cui
si è responsabili. È un termine che riguarda le democrazie, non esiste per il Papa. Credo si debba
ritornare alla parola abdicazione come per i monarchi».
Perché lo ha fatto, secondo lei?
«Lui dice che è per l’età e la fatica, ma fondamentalmente si ritira davanti al mondo moderno. Si
sente incapace di padroneggiare questo mondo, di far sentire sufficientemente la voce del Dio dei
cristiani e della Chiesa cattolica in questo mondo. Nel suo ritiro si compendiano la lucidità, la
modestia, la speranza di permettere alla Chiesa di rimontare la china e di affrontare meglio il
futuro».
E adesso cosa succederà?
«È la domanda più importante: cosa farà il conclave? Certo, non lo so, non sono cardinale, né
ecclesiastico e nemmeno uno specialista della chiesa contemporanea. Come storico guardo al
passato: non c’è mai stato un papa che si sia ritirato fra il XV secolo e oggi. Nel Medioevo ci sono
stati due casi. Si parla soprattutto di Gregorio XII, papa nel periodo del Grande Scisma, che si può
dire si sia dimesso davanti al concilio di Basilea: nel Medioevo c’era chi pensava che il concilio
fosse superiore al papa. Prima ancora, nel 1294, c’è stato Celestino V, di cui parla Dante nella
Divina Commedia come colui che fece “il gran rifiuto”. Malgrado le differenze molto grandi, c’è
qualcosa di comune a Celestino V e a Benedetto XVI».
A più di sette secoli di distanza vede una somiglianza fra i due casi?
«Celestino V era un eremita tradizionale, Ratzinger un teologo tradizionale. Penso ci sia qualcosa di
paragonabile. Celestino V pensava di essere incapace di guidare la Chiesa perché apparteneva
profondamente al cristianesimo medievale tradizionale, quello dominato dal monachesimo,
l’anacoretismo, mentre la cristianità si era profondamente modificata, aveva conosciuto uno
sviluppo rurale e urbano considerevole e alla fine del Duecento era diventato un mondo nuovo.
Vedo una rassomiglianza tra allora e questo inizio del XXI secolo. Mi vien da pensare a una cosa
che come storico mi ha sempre colpito, anche se non sono credente: penso che una parte
dell’Occidente abbia avuto fortuna ad avere come religione il cristianesimo».
Come mai? Cosa c’è di così diverso dalle altre religioni?
«Essenzialmente per due ragioni. La prima è che il cristianesimo distingue quel che appartiene a
Dio e quel che appartiene a Cesare, non mescola religione e politica. La seconda ragione è che,
nonostante i ritardi e le lentezze, nonostante la crisi che colpisce tutte le religioni, è sopravvissuto
piuttosto bene, perché ha saputo adattarsi alle mutazioni profonde di questo mondo. E credo che in
queste ore stiamo assistendo a uno di quegli avvenimenti plusirisecolari caratteristici delcristianesimo ».
Lei ha detto che Ratzinger si ritrae davanti alla modernità, eppure il teologo che veniva
catalogato come reazionario se ne va con gesto moderno.
«Era successa la stessa cosa con Celestino V: non si era mai visto niente del genere e per questo
Dante ne parla. Ratzinger non rende omaggio alla modernità, perché al tempo stesso il suo gesto è
un rifiuto della modernità: il papa che abdica se ne ritira».
intervista a Jacques Le Goff, a cura di Giampiero Martinotti
in “la Repubblica” del 12 febbraio 2013
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201302/130212legoffmartinotti.pdf
Rassegna stampa del sito Incontri di "Fine Settimana"
- Teologia laica la rivoluzione di Benedetto (Gian Enrico Rusconi, La Stampa)
- Quando la realtà irrompe: il papa se n'è andato (Furio Colombo, il Fatto Quotidiano)
- Il coraggio dell'intellettuale (Luigi La Spina, La Stampa)
- Un gesto che parla anche ai politici (Marcello Sorgi, La Stampa)
- "Il Papa meno moderno ha compiuto la scelta più moderna possibile" (intervista a Carl Bernstein a cura di Paolo Masrolilli, La Stampa)
- La profezia di Bettazzi "Lascerà prima di non farcela più"(Guido Novaria, La Stampa)
- Il contrasto al relativismo sfida anche per i progressisti(Mario Tronti, l'Unità)
- Un gesto sapienziale nel solco del concilio (Giovanni Nicolini, l'Unità)
- Le forze di un Papa (Claudio Sardo, l'Unità)
- Una domanda sull'uomo che non riguarda solo i credenti (Vincenzo Vitiello, l'Unità)
Anche Paolo VI pensò alle dimissioni (Giovanni Gennari,l'Unità)
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