Concilio - 25 Aprile 1988
Forse sbaglio? Almeno un vizio è all'origine del Concilio: il rifiuto di definire la verità e di condannare l'errore. Con questo rifiuto non si vuole certamente insegnare il relativismo dogmatico, l'impossibilità di poter nella parola esprimere la Verità. La Verità trascende la
parola che la esprime e tuttavia non si comunica a noi che nella parola e attraverso la parola.
Come non si può trascendere il Cristo, ma è nel Cristo che Dio si dona a noi, così è nella parola della Scrittura che Dio stesso ci parla, e non si può pretendere il trascendere la Scrittura.
La fede cristiana è paradosso supremo, martirio della ragione. L'Assoluto non è al di là del relativo, anzi solo nel relativo si fa veramente presente: nell'uomo Gesù, nella parola della Scrittura.
Ma è questo paradosso che salva l'uomo, che può unire il mio tempo alla sua eternità, il mio
essere a Dio. Altrimenti l'eternità negherebbe semplicemente il tempo e Dio la creatura; è
questo che avviene nel neo-platonismo, nell'induismo, nel buddhismo.
Del resto solo il paradosso cristiano, senza poter essere pienamente compreso, rispetta,
riconosce la realtà. Come si confutava il discorso di Parmenide semplicemente passeggiando,
così da se stessa si confuta l'esperienza di Ramana e di Le Saux per il fatto che tutti e due
mangiavano, dormivano, camminavano ... Dio, l'Assoluto, si faceva presente in un uomo.
L'eliminazione del relativo è l'eliminazione dell'Assoluto; non in sé, certo, ma per l'esperienza
dell'uomo.
Il cammino del nulla non porta da nessuna parte. Ogni uomo «è» tutta la Chiesa, tutta
l'umanità.
L''uomo cresce e giunge alla sua perfezione quando realizza la piena coscienza di sé e la
perfetta sua libertà e responsabilità morale. Ma se l'uomo ora è nel Cristo, la sua perfezione è
raggiunta solo nella misura che egli ha piena coscienza di essere tutta la Chiesa, tutta
l'umanità e si sente responsabile di tutti per tutto.
Non mi sono spiegato bene. Sento che ognuno di noi è ipostasi della Chiesa sposa e ognuno di noi realizza la sua vocazione divina nella misura che vive la vita di tutta la Chiesa, di tutto
l'universo.
La potenzialità della propria natura è la potenzialità del Corpo di Cristo che in te deve
realizzarsi nell'Atto e l'Atto è uno solo. E la morte di croce che tu devi vivere come l'ha vissuta
Maria ai piedi della Croce.
La Chiesa è una sola e sei tu. Se in Cristo l'umanità è divenuta una, in questa Unità sussiste
ogni persona creata come la sposa del Cristo.
Non è vissuto nella verità il mio rapporto col Cristo nel mistero eucaristico finché io mi
pongo davanti a Lui. Non si vive il mistero che nella immanenza del Cristo. Tuttavia questa
immanenza non è vera se è statica, perché rimane la distinzione della Persona del Verbo dalla
persona creata. L'immanenza del Cristo è l'ordinarsi totale e il dono reale che il Cristo fa di sé
ad ogni uomo. Egli non è che in questo atto eterno di amore, per cui si dona ed è in colui che
Egli ama
Leggendo la Teodrammatica: davvero gli italiani sono stati così stupidi da non meritare una
citazione?
In realtà anche se von Balthasar cerca di citare anche non tedeschi, non vede gli spagnoli,
non conosce gli italiani, non sembra che sappia nulla o quasi del mondo orientale. Non è
meglio allora non citare? Non vivrò mai la pienezza della vita cattolica che abbandonandomi
alla forza semplice dell'amore.
Dal volume "Fissi gli occhi nel sole" Ed.Mssaggero Padova
tratto da L'Eco dell'Eremo
Monaci eremiti della Beata Vergine del Soccorso di Minucciano (Lucca) assieme a un oblato della comunità |
Santuario B.V del Soccorso Minucciano (Lu) n.62 Dicembre 2012
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