ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 6 febbraio 2013

I Timoniani si meravigliano ancora del modernismo?

Mons. Vincenzo Paglia
Fuoco di Paglia

di Riccardo Cascioli
06-02-2013


S’avanza una strana idea nella Chiesa italiana a proposito di famiglia e offensiva gay. Vale a dire: continuare a proclamare l’unicità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, ma nello stesso tempo concedere un riconoscimento giuridico – sebbene non parificato al matrimonio - alle convivenze, sia etero che omosessuali.


E’ già da un po’ che si sente circolare questa idea ma il 4 febbraio l’ha esplicitata monsignor Vincenzo Paglia, neo presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, nel corso della conferenza stampa inaugurale del proprio mandato. Nel discorso introduttivo, monsignor Paglia ha parlato in realtà soltanto del valore unico della famiglia naturale e ha presentato le iniziative del suo dicastero per promuovere una «cultura della famiglia». Ma poi, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha fatto una serie di affermazioni che tradiscono una impostazione francamente sconcertante, sia nel merito sia nella forma. Pur ribadendo che il matrimonio è solo tra uomo e donna (e ha citato anche Giorgio Gaber a supporto di questa tesi) ha però detto che vanno anche riconosciuti i diritti delle coppie di fatto, anzi «è tempo che i legislatori se ne preoccupino». Inoltre, monsignor Paglia nel riconoscere che c’è una molteplicità di «convivenze non familiari» assicura che la Chiesa è favorevole «a che in questa prospettiva si aiutino a individuare soluzioni di diritto privato e prospettive patrimoniali all’interno dell’attuale Codice civile». Infine non poteva mancare un omaggio al “politicamente corretto” con l’invito a vigilare sulle discriminazioni delle persone omosessuali nel mondo: «In oltre venti paesi l’omosessualità è ancora perseguita come reato».

Si diceva che le affermazioni sulle convivenze sono sconcertanti, anzitutto nel merito. Paglia chiede che il Parlamento legiferi in materia di «convivenze non familiari» per trovare  soluzioni di diritto privato e prospettive patrimoniali. Quindi l’ex vescovo di Terni ritiene che attualmente non siano garantiti i diritti dei conviventi, ma qui sbaglia di grosso: i diritti sono garantiti eccome – per etero e omosessuali -, sia dalla legge sia dalla giurisprudenza, che in materia è particolarmente ricca. Tanto è vero che quando si vogliono lanciare campagne per il riconoscimento delle coppie di fatto, si agitano problemi palesemente falsi (vedi l’assistenza del convivente in ospedale). Di fatto già oggi ci sono tutti gli strumenti possibili nel diritto privato per regolare in modo equo le relazioni fra conviventi.

Un eventuale intervento del legislatore, perciò, si configurerebbe come riconoscimento della convivenza e non come tutela dei diritti dei conviventi, cioè si andrebbe a creare un simil-matrimonio, che in verità non ha alcuna ragion d’essere. Peraltro, l’invito di Paglia era già stato colto dal governo Prodi che presentò nel 2006 il progetto dei Dico (firmato dai ministri Bindi e Turco), ma la Chiesa fece di tutto per bloccarli anche con il sostegno al Family Day. Vogliamo dire che allora la Chiesa si sbagliò e oggi una analoga proposta non incontrerebbe grande resistenza?

Ad ogni modo vale la pena ricordare che lo Stato – ogni Stato – si occupa della famiglia e riconosce la famiglia come propria cellula fondamentale non per garantire dei diritti ai coniugi o per riconoscere l’amore fra i due, ma in funzione della necessità dello Stato stesso. Detto molto banalmente: lo Stato ha bisogno di figli (scopo di ogni società è durare nel tempo), i figli nascono dal rapporto tra uomo e donna, i figli – per crescere bene, sviluppare tutte le potenzialità umane che hanno - hanno necessità di un padre e una madre dentro rapporti stabili. Lo Stato non si occupa di quanto un marito e una moglie si vogliano bene – e ci mancherebbe altro – ma semplicemente si preoccupa della tutela dei figli, che sono il futuro della nazione. Ecco perché gli articoli del Codice civile che si riferiscono al matrimonio – e che anche monsignor Paglia avrà letto mille volte alle coppie che avrà sposato – sono un elenco di doveri (fedeltà, assistenza materiale e morale, coabitazione, educazione dei figli, collaborazione), non di diritti. E marito e moglie nel matrimonio si assumono davanti alla società la responsabilità di assolvere questi doveri. I diritti patrimoniali – cui fa accenno Paglia riferendosi ai conviventi – discendono da questi doveri: la successione o la reversibilità della pensione a questo sono legati, perciò non ha alcun senso chiederli per le coppie conviventi che, proprio in quanto conviventi, non si assumono alcun dovere. Se invece il convivente si assumesse anche dei doveri, allora diventerebbe una relazione matrimoniale.

Il fatto che tra due persone conviventi ci sia una relazione affettiva, che magari in alcuni casi – ma solo in alcuni casi - possa essere più stabile di alcuni matrimoni non significa nulla dal punto di vista dello Stato, e la Corte Costituzionale già nel 1996 ha negato per questo ogni rilievo giuridico alla convivenza. Né questo dipende – come lascerebbe intendere l’intervento di mons. Paglia – dal numero delle convivenze: oggi è un fatto talmente diffuso, si dice, che il legislatore non può non prendere in considerazione il problema.
Ma l’intervento dello Stato si basa sulla natura del rapporto non sulla sua diffusione, anzi: proprio perché la famiglia naturale è in crisi si giustificherebbe una sottolineatura ancora più marcata per valorizzare questo istituto così fondamentale per la vita di una società, anche dal punto di vista economico.

E qui entra in gioco anche il giudizio morale, che riguarda più specificamente la Chiesa cattolica. L’intervento di Paglia sembra sottintendere una neutralità morale della convivenza: c’è chi si sposa, c’è chi convive (anche omosessuali), tutte scelte comunque possibili che dipendono semplicemente dalla volontà dei singoli. Ma per la Chiesa non è così: pur non obbligando nessuno, però è chiaro che l’unico luogo deputato per i rapporti sessuali è il matrimonio – e anche qui ci sono motivi adeguati alla ragione -, e non pare che questo insegnamento sia stato abrogato nel frattempo; non parliamo poi dei rapporti omosessuali, che restano contro natura malgrado la cultura dominante dica il contrario. Chiedere qualsiasi tipo di assegnazione di diritti alla convivenza implica invece un riconoscimento implicito del suo valore morale e un incoraggiamento a permanere in questo tipo di relazione, anche omosessuale. Detto per inciso, è anche in questo modo che s’avanza il pensiero omosessualista nella Chiesa: da una parte si continua a proclamare che l’unica famiglia è quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna, ma dall’altra si avallano stili di vita incompatibili con la vocazione dell’uomo.

Questo tipo di ambiguità sarebbe già abbastanza grave da parte di qualsiasi vescovo ma detta dal presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, per di più nella conferenza stampa con cui inaugura il suo mandato, assume una gravità particolare, anche se – dicevamo all’inizio – questa posizione si va diffondendo nella Chiesa italiana, nella migliore delle ipotesi come (miope) strategia politica per salvare l’unicità della famiglia naturale.
Certo, qui nascono inevitabilmente domande sul perché di certe nomine in Vaticano, soprattutto in dicasteri così importanti, ma è un tema su cui avremo modo di tornare. Resta il fatto che sulla questione del matrimonio e delle convivenze urge un chiarimento dei vertici della Chiesa: di confusione ce n’è già abbastanza.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-fuoco-di-paglia-5750.htm

Per chi suona Campanini
di Stefano Fontana05-02-2013
Sul numero di gennaio della rivista dei gesuiti Aggiornamenti sociali lo storico e sociologo Giorgio Campanini ribadisce la visione, diciamo così, canonica dei “cattolici democratici” sulla agibilità politica dei princìpi non negoziabili in una democrazia laica.

Nell’ordine egli propone le seguenti valutazioni: non esiste una dottrina dei principi non negoziabili e nemmeno un preciso elenco; gli unici princìpi non negoziabili della Chiesa cattolica sono i dogmi (che pure, egli dice, sono stati negoziati, soprattutto nei concili dei primi secoli: curiosa questa idea che la mediazione produca perfino i dogmi); il Magistero non è mai intervenuto dogmaticamente sui temi che oggi di solito si fanno rientrare nei princìpi non negoziabili; più che dal Magistero i temi propri dei principi non negoziabili derivavano un tempo dal diritto naturale che oggi è definitivamente in crisi; la politica è per sua natura l’ambito del relativo e della mediazione tra valori e visioni diverse; l’appello ai principi non negoziabili svilisce l’autonomia della politica e dell’impegno dei laici rispetto alla gerarchia; compito dei laici impegnati in politica è quello di cercare di realizzare nella forma più alta possibile e perseguendo il male minore i princìpi non negoziabili impegnandosi nella mediazione.

Molti equivoci presenti nell’articolo di Campanini derivano dalla sua equiparazione tra “valori” e “principi”. Il titolo dell’articolo infatti suona così: “I valori non negoziabili e i dilemmi della politica”. E nel testo le due parole – valori e principi – sono accostate ad indicarne il significato sinonimo. Ma non è così. Il termine valore indica qualcosa di intrinsecamente apprezzabile e che come tale dovrebbe essere perseguito nella società. Il termine principio invece indica un fondamento architettonico e nello stesso tempo un criterio per dare luce. I principi non negoziabili non sono solo (sono anche quello…) un valore, ma gli architravi senza dei quali una società non può dirsi umana, anzi senza dei quali nemmeno esiste come tale e dei principi di sapienza politica che danno luce a tutto l’impegno politico e non solo quello indirizzato a perseguire quei valori direttamente. La difesa della vita o della famiglia tra uomo e donna non sono solo dei valori che il politico cerca di promuovere davanti a leggi specifiche, ma sono delle colonne della convivenza che, se si incrinano, viene meno la convivenza stessa, almeno in quanto umana, e sono dei criteri regolativi per l’attività politica in tutti i campi.

Non avendo fatto questa distinzione, Campanini non ha considerato la profondità della valenza dei principi non negoziabili e, quindi, il vero fondamento della loro non negoziabilità. Forse non ha nemmeno potuto considerare che dai principi non negoziabili derivano degli assoluti morali negativi. L’accoglienza della vita è anche un valore, naturalmente. Ma il principio non negoziabile relativo alla vita suona come un assoluto morale negativo: non uccidere. Non credo che ci sia un dogma che definisca il ”non uccidere”. Mi sembra però che il Decalogo rientri ugualmente nei princìpi non negoziabili del cattolico.

Campanini si riferisce a sproposito al paragrafo 73 della Evangelium vitae. Questo, come è noto, dice che il cristiano impegnato in politica può votare una legge che riduca gli effetti negativi per il rispetto della vita di una norma già approvata in precedenza. Campanini trova in questo passo una indicazione a sostegno della mediazione politica. Sono però convinto che si sbagli. Nessun cattolico può votare una legge che non rispetti la vita. Si può, semmai, a legge approvata (dagli altri, perché non si può aiutare gli altri a sbagliare) e in presenza di una nuova proposta di legge che riduca gli effetti negativi della precedente, votarla, dicendo pubblicamente che non si è d’accordo.

Campanini, invece, vorrebbe forse appellarsi al paragrafo 73 della Evangelium vitae per avallare il voto o la firma di un cattolico in calce ad una legge contraria alla vita, cioè al primo dei princìpi non negoziabili, e forse anche per avallare la partecipazione a partiti che già nel loro programma prevedono leggi di questo genere. Come dire: inizio a mediare ancora prima di entrare in gioco. Chi entra in un partito che si sa – per il programma, per la cultura di riferimento, per la storia – farà certe cose contrarie ai princìpi non negoziabili per favore non si appelli alla necessità della mediazione. E’ lui il primo ad averci già rinunciato.

E’ strano che Campanini non citi mai il documento normativo principale in tema di princìpi non negoziabili, ossia la Nota Ratzinger del 2002. Si tratta di un atto della principale congregazione della Curia romana approvato dal Papa. Come si fa a dire che non esiste una dottrina sui princìpi non negoziabili? La dottrina cattolica non è data solo dai dogmi. Dottrinale e dogmatico non sono equivalenti. Quella Nota la cancelliamo o la teniamo? Lì c’era un elenco preciso, che credo vada anche considerato nell’ordine in cui i principi sono enunciati: vita, famiglia, libertà di educazione, tutela dei minori dalla moderne forme di schiavitù, libertà religiosa, solidarietà nella sussidiarietà. Che poi ci si sia esercitati a togliere questo per aggiungere quello, è vero. Anche Enzo Bianchi ha fatto un “suo” elenco di princìpi non negoziabili, naturalmente diverso da quello del Papa vero. Non dimentichiamo poi che Benedetto XVI è tornato moltissime volte nel suo magistero ordinario a spiegare questi concetti. (Non saranno dogmi, ma a me hanno insegnato ad avere un religioso riguardo anche per il magistero ordinario del Papa). Lo stesso ha fatto il cardinale Bagnasco a Todi e alla Cei proprio alcuni giorni fa. Le chiese locali le valorizziamo solo quando dicono cose diverse da quelle del Papa o anche quando ne sviluppano coerentemente l’insegnamento?

Il servizio al mondo e alla laicità della politica il cristiano non lo fa mediando sui princìpi non negoziabili. Così facendo priva il mondo proprio di quello che il mondo vuole da lui. E’ il mondo a non sapersene che fare di cristiani così. Il mondo ha bisogno che la fede gli ricordi la verità quando se ne dimentica. Ha bisogno che la fede rimetta in grado la ragione di essere se stessa: questa è la laicità. Ricordandogli i princìpi non negoziabili la fede aiuta la ragione ad essere se stessa, ossia laica. Inoltre il cattolico che media sui principi priva se stesso e l’intera comunità cristiana della forza che deriva dalla fede di andare avanti anche quando questo costasse sacrificio e sofferenza. E’ un depauperamento che poi passa anche in altri campi. L’impegno politico che non conosce dei no assoluti che razza di impegno è? E’ una passeggiata, e magari anche ben pagata.

Non è vero, come dice  Campanini, che la politica è solo l’ambito del relativo. Nella politica si giocano anche valori assoluti. Altrimenti perché il cristiano dovrebbe impegnarvisi? Non basterebbero gli altri? Lo scopo della presenza dei cattolici in politica è la difesa del Creato e aprire un posto a Dio nel mondo. Senza la fedeltà ai princìpi non negoziabili diventa altro. 

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