Tutto calcolato. In Curia qualcuno mormora che è pur sempre un tedesco. Benedetto XVI ha scelto, non a caso, di dare l’annuncio della sua rinuncia al pontificato alla vigilia della settimana in cui tradizionalmente il Papa si chiude nel silenzio degli esercizi spirituali insieme con i più stretti collaboratori della Curia romana.
In questi sette giorni che iniziano nel pomeriggio di domenica 17 febbraio e terminano la mattina di sabato 23 tutte le udienze, private e pubbliche, sono sospese. Il Papa ascolta le meditazioni del predicatore da lui scelto non nella cappella Redemptoris Mater in Vaticano dove si svolgono gli esercizi, ma in una saletta attigua, al lato destro rispetto alla mensa, da dove può essere visto solo dall’oratore degli esercizi ma non dai cardinali, dai vescovi e dai prelati che vi partecipano. Accanto al Papa ci sono solo i due segretari, Georg Gänswein, che è anche prefetto della Casa Pontificia e che seguirà Benedetto XVI ritornato Joseph Ratzinger prima a Castel Gandolfo e poi di nuovo in Vaticano nell’ex monastero Mater Ecclesiae, e Alfred Xuereb.
Se si è sempre guardato con grande attenzione al predicatore degli esercizi spirituali della quaresima al Papa e alla Curia romana, è prassi, infatti, che nel caso in cui fosse un semplice sacerdote dopo non poco tempo sarebbe insignito della dignità episcopale, quest’anno l’ultimo ritiro di Ratzinger da Vescovo di Roma assume un significato specialissimo. A predicare le diciassette meditazioni sarà il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ordinato personalmente da Benedetto XVI vescovo nella Basilica Vaticana nel 2007 e poi creato cardinale nel concistoro del novembre 2010. Molti guardano a Ravasi, il cui motto episcopale è "Praedica Verbum", anche per questo suo impegno da protagonista negli ultimi giorni di regno di Ratzinger, come a un papabile molto speciale.
La sua formazione di biblista e la sua capacità comunicativa gli consentono di essere paragonato al cardinale Carlo Maria Martini. Ovviamente con le debite proporzioni. Certo è che il suo compito, che già di solito fa tremare le gambe a chiunque, assumerà un valore storico forse irripetibile. Quelle del porporato saranno le ultime meditazioni per Benedetto XVI prima che questi sparisca dal mondo.
Ravasi, 70 anni, nel settembre 2007 fu scelto proprio dal Ratzinger per guidare il ministero della cultura vaticana e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Dal marzo 2012 è anche Presidente della Casa di Dante in Roma, associazione culturale che ha lo scopo di diffondere la conoscenza dell’opera e della figura del sommo poeta sia in Italia che all’estero. Dal 1988, insieme con la giornalista Cecilia Sangiorgi, conduce il programma televisivo "Le frontiere dello spirito" in onda la domenica mattina su Canale 5. Di Benedetto XVI è sicuramente un erede per quanto riguarda il cortile dei gentili, luogo di dialogo tra credenti e non, sognato dal Papa e concretizzato da Ravasi all’interno del suo dicastero vaticano, in particolare con alcuni incontri che si sono tenuti tra la Francia e l’Italia, preludio di altri appuntamenti significativi che vedranno protagonisti uomini di fedi diverse e atei.
È stato proprio Ravasi, pochi mesi fa, a presentare a Roma l’ultimo libro di Benedetto XVI dedicato ai Vangeli dell’infanzia di Gesù. Le sue meditazioni saranno certamente anche occasione di riflessione, alla luce del prossimo conclave, per i cardinali elettori residenti a Roma che le ascolteranno in questi giorni insieme con il Papa.
Chissà se le parole di Ravasi, già in questa settimana, non servano a tracciare nella mente di coloro che saranno chiamati a scegliere il nuovo Vescovo di Roma l’identikit del 266° successore di Pietro. «Il mio compito, dopo il turbine che c’è stato, è soprattutto quello di creare un momento di oasi», precisa Ravasi. Il tema delle meditazioni è "Ars orandi, ars credendi. Il volto di Dio e il volto dell’uomo nella preghiera salmica".
«Io - spiega il porporato - parlerò dei sei volti di Dio così come emergono dai salmi e nelle altre meditazioni parlerò dei volti umani: compreso quello del non credente, nel salmo 14. Nel nostro tempo abbiamo a che fare con quella eclissi del senso del sacro che Benedetto XVI è tornato a denunciare mercoledì, dopo l’annuncio della sua rinuncia, anche come un mandato al suo successore e alla Chiesa».
Francesco Grana
http://www.orticalab.it/Ravasi-il-papabile-gia-nella
Il Papa può influenzare l’elezione del successore? Sabato scorso il dimissionario Benedetto XVI ha ricevuto l’ultima delegazione di vescovi italiani in visita ad limina, guidata dal cardinale di Milano Angelo Scola. E ha parlato della Lombardia come «cuore credente dell’Europa». C’è chi ha ritenuto un grande segno della predilezione del Pontefice il trasferimento del cardinale da Venezia a Milano, meno di due anni fa. Ma c’è anche chi, invece, legge il mini-concistoro dello scorso novembre, con l’inclusione di porporati stranieri tra i quali il filippino Luis Antonio Tagle, come un altro possibile segno premonitore per il prossimo conclave.
Nel passato recente episodi simili non sono mancati. In qualche caso sono stati ingigantiti e riletti con il senno di poi, cucendoli agiograficamente su misura addosso al designato. Spesso sono stati smentiti dai fatti, come nel caso di un gesto di affetto di Papa Wojtyla verso il cardinale Dionigi Tettamanzi al momento della nomina a Milano, che qualcuno interpretò alla stregua un presagio in vista del conclave. Altre volte invece se proprio di endorsement non si può parlare, poco ci manca. Era ben nota, ad esempio, la stima di Pio XI, pontefice irruento, per il suo riflessivo Segretario di Stato Eugenio Pacelli. Lo fece viaggiare molto all’estero, Stati Uniti compresi. Mentre Pacelli si trovava negli Usa, Pio XI disse a un suo collaboratore: «Lo mando in giro perché il mondo conosca lui e lui conosca il mondo. Sarà un bel Papa!». Pacelli venne eletto dopo un conclave-lampo nel marzo 1939.
Fu considerato invece un «siluramento» in vista della successione, nel 1954, la decisione di Pio XII di nominare arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, lasciandolo però senza porpora e dunque escluso dal conclave. Papa Pacelli avrebbe visto bene quale successore il suo «delfino» genovese Giuseppe Siri, allora molto giovane: «Con lui avremmo non un padre santo, ma un padre eterno», fu la battuta circolata tra i cardinali. Qualche voto, nel conclave del 1958, Montini lo raccolse lo stesso, pur essendo privo del cappello cardinalizio. Giovanni XXIII, tra le prime decisioni prese, rivestì di porpora l’arcivescovo esiliato. E fece presente varie volte la sua certezza sul fatto che sarebbe stato lui a succedergli: «Noi siamo qui a scaldargli il posto al vostro arcivescovo!», ebbe a dire a due milanesi andati in udienza. Montini in effetti divenne Papa nel 1963.
Tra i segnali premonitori dell’elezione del suo successore Giovanni Paolo I, che ha regnato un solo mese nell’estate 1978, ce n’è uno famoso e pubblico. Da lui stesso ricordato poche ore dopo l’elezione. Nel settembre 1972, Albino Luciani, patriarca di Venezia, ricevette Paolo VI in visita alla città lagunare. Il Papa, in piazza San Marco, davanti a migliaia di persone, si tolse la stola pontificia e la pose sulle spalle del patriarca: «Sono diventato tutto rosso...», racconterà Luciani ai fedeli. L’episodio della stola fu un endorsement velato o soltanto un gesto di cortesia per l’ospite? Di certo Paolo VI nelle ore precedenti doveva aver pensato alla morte, perché proprio quella mattina, prima di partire da Castel Gandolfo, aveva messo mano al testamento. Qualche anno dopo, mentre riceveva Luciani e altri vescovi in visita ad limina, al termine dell’udienza Papa Montini non riusciva a trovare il campanello celato nel bracciolo della poltrona, con il quale si segnalava che l’incontro era finito e poteva entrare il fotografo. Luciani con discrezione avvicinò al campanello la mano del Papa. «Bene, così sa già dov’è», avrebbe detto Paolo VI.
E la sorpresa Wojtyla? Una profezia si racconta anche per lui. Secondo il segretario di Papa Luciani, due sere prima di morire, il Pontefice veneto aveva accennato alla sua prossima dipartita: dopo di lui - disse - sarebbe toccato al cardinale che gli stava seduto di fronte durante il conclave. Quel cardinale era Wojtyla. Su Ratzinger non si raccontano particolari segnali premonitori. Ma si sa che per tre volte chiese a Wojtyla di potersi ritirare per tornare agli studi, sentendosi sempre rispondere di no dal Papa che lo voleva vicino fino all’ultimo e che avrebbe tanto desiderato vedere l’elezione del suo successore sotto l’affresco «parlante» della Sistina.
Investiture e segni profetici. Quando i Papi “indicano” i loro successori al Soglio
Paolo VI pose la stola pontificia sulle spalle di Luciani Pio XI mandò Pacelli negli Usa: “Sarà un bel Pontefice”
ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO
«Come sarebbe bello per il Papa poter assistere all’elezione del suo successore», disse Giovanni Paolo II ai cardinali della Curia romana. Seduto tra di loro c’era Joseph Ratzinger, che certo all’epoca non immaginava di essere il primo dopo sei secoli al quale questa esperienza sarebbe toccata. Wojtyla tornò a parlare della futura elezione nel poema «Trittico Romano», pubblicato due anni prima della morte. Immaginava che l’affresco michelangiolesco della Cappella Sistina potesse «parlare» ai porporati: «Tu che penetri tutto - indica! Lui additerà...».
Il Papa può influenzare l’elezione del successore? Sabato scorso il dimissionario Benedetto XVI ha ricevuto l’ultima delegazione di vescovi italiani in visita ad limina, guidata dal cardinale di Milano Angelo Scola. E ha parlato della Lombardia come «cuore credente dell’Europa». C’è chi ha ritenuto un grande segno della predilezione del Pontefice il trasferimento del cardinale da Venezia a Milano, meno di due anni fa. Ma c’è anche chi, invece, legge il mini-concistoro dello scorso novembre, con l’inclusione di porporati stranieri tra i quali il filippino Luis Antonio Tagle, come un altro possibile segno premonitore per il prossimo conclave.
Nel passato recente episodi simili non sono mancati. In qualche caso sono stati ingigantiti e riletti con il senno di poi, cucendoli agiograficamente su misura addosso al designato. Spesso sono stati smentiti dai fatti, come nel caso di un gesto di affetto di Papa Wojtyla verso il cardinale Dionigi Tettamanzi al momento della nomina a Milano, che qualcuno interpretò alla stregua un presagio in vista del conclave. Altre volte invece se proprio di endorsement non si può parlare, poco ci manca. Era ben nota, ad esempio, la stima di Pio XI, pontefice irruento, per il suo riflessivo Segretario di Stato Eugenio Pacelli. Lo fece viaggiare molto all’estero, Stati Uniti compresi. Mentre Pacelli si trovava negli Usa, Pio XI disse a un suo collaboratore: «Lo mando in giro perché il mondo conosca lui e lui conosca il mondo. Sarà un bel Papa!». Pacelli venne eletto dopo un conclave-lampo nel marzo 1939.
Fu considerato invece un «siluramento» in vista della successione, nel 1954, la decisione di Pio XII di nominare arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, lasciandolo però senza porpora e dunque escluso dal conclave. Papa Pacelli avrebbe visto bene quale successore il suo «delfino» genovese Giuseppe Siri, allora molto giovane: «Con lui avremmo non un padre santo, ma un padre eterno», fu la battuta circolata tra i cardinali. Qualche voto, nel conclave del 1958, Montini lo raccolse lo stesso, pur essendo privo del cappello cardinalizio. Giovanni XXIII, tra le prime decisioni prese, rivestì di porpora l’arcivescovo esiliato. E fece presente varie volte la sua certezza sul fatto che sarebbe stato lui a succedergli: «Noi siamo qui a scaldargli il posto al vostro arcivescovo!», ebbe a dire a due milanesi andati in udienza. Montini in effetti divenne Papa nel 1963.
Tra i segnali premonitori dell’elezione del suo successore Giovanni Paolo I, che ha regnato un solo mese nell’estate 1978, ce n’è uno famoso e pubblico. Da lui stesso ricordato poche ore dopo l’elezione. Nel settembre 1972, Albino Luciani, patriarca di Venezia, ricevette Paolo VI in visita alla città lagunare. Il Papa, in piazza San Marco, davanti a migliaia di persone, si tolse la stola pontificia e la pose sulle spalle del patriarca: «Sono diventato tutto rosso...», racconterà Luciani ai fedeli. L’episodio della stola fu un endorsement velato o soltanto un gesto di cortesia per l’ospite? Di certo Paolo VI nelle ore precedenti doveva aver pensato alla morte, perché proprio quella mattina, prima di partire da Castel Gandolfo, aveva messo mano al testamento. Qualche anno dopo, mentre riceveva Luciani e altri vescovi in visita ad limina, al termine dell’udienza Papa Montini non riusciva a trovare il campanello celato nel bracciolo della poltrona, con il quale si segnalava che l’incontro era finito e poteva entrare il fotografo. Luciani con discrezione avvicinò al campanello la mano del Papa. «Bene, così sa già dov’è», avrebbe detto Paolo VI.
E la sorpresa Wojtyla? Una profezia si racconta anche per lui. Secondo il segretario di Papa Luciani, due sere prima di morire, il Pontefice veneto aveva accennato alla sua prossima dipartita: dopo di lui - disse - sarebbe toccato al cardinale che gli stava seduto di fronte durante il conclave. Quel cardinale era Wojtyla. Su Ratzinger non si raccontano particolari segnali premonitori. Ma si sa che per tre volte chiese a Wojtyla di potersi ritirare per tornare agli studi, sentendosi sempre rispondere di no dal Papa che lo voleva vicino fino all’ultimo e che avrebbe tanto desiderato vedere l’elezione del suo successore sotto l’affresco «parlante» della Sistina.
http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/papa-el-papa-pope-vaticano-vatican-22431/
I TITOLI DEL CLERO, COME SANTITA' ECCELLENTISSIME , ECCELLENZA . MONSIGNORI, EMINENZE , PRINCIPI DELLA CHIESA , VICARI DI CRISTO, ECC.ECC. OLTRE A DARE UNO SCHIAFFO ALLA POVERTA'
RispondiEliminaSONO LA PROVA TANGENTE DELLA CIARLATANERIA RELIGIOSA. MAGO PROF SILVA (spettacoli)