Una pista emerge a trent'anni dalla scomparsa della ragazzina
Lo show è finito? Dopo la recita della Banda della Magliana, preceduta dal terrorismo internazionale, dal rapimento degli agenti dei servizi segreti con relativo trasferimento in misteriose cliniche e altre spettacolari amenità che hanno riempito le cronache dei giornali italiani, la pista degli abusi sessuali nella scuola che Emanuela Orlandi frequentava sembra essere quella seguita con maggiore costanza dagli inquirenti che indagano sul caso della ragazzina di cittadinanza vaticana scomparsa nel 1983. Della storia parla Libero in un articolo a firma di Gianluigi Nuzzi:
http://www.giornalettismo.com/archives/819391/emanuela-orlandi-e-gli-abusi-sessuali-nella-scuola-di-musica/Una decina di giorni fa infatti sono stati sentiti quattro testimoni che avrebbero tutti confermato come negli anni in cui la giovane frequentava la scuola di musica della basilica di Sant’Apollinare, un loro amico abbia subìto ripetuti abusi sessuali da diverse persone collegate tra loro. Tra questi, un professore della scuola – sembra che si tratti di un sacerdote – che aveva anche insegnato a Emanuela prima che sparisse. E quindi: Sembra quindi che la pista sessuale assuma, mese dopo mese, sempre più corpo in questo ultimo troncone dell’inchiesta che da trent’anni cerca di trovare verità sulla misteriosa scomparsa. Emanuela sparì dopo la lezione di musica. Venne riaccompagnata nel complesso della basilica, venne portata via in auto? O, forse, mai uscì da Sant’Apollinare? Sono domande che si ripetono. Non abbiamo una risposta certa ma gli inquirenti della squadra mobile della capitale ritengono che di certo la studentessa si fidò di qualcuno che conosceva. Era troppo schiva, attenta e seria per poter accettare inviti da sconosciuti. di Dario Ferri
Dopo la ricomparsa sulla cronaca di Ali Agca, il mancato assassino del Papa, il mistero di Emanuela Orlandi e la uccisione di Sarah Scazzi si prestano a osservazioni incrociate.
La richiesta del pubblico ministero di condannare all’ergastolo Sabrina Misseri e sua madre Cosima Serrano e a nove anni di carcere Michele Misseri, rispettivamente padre e marito, per l’uccisione adAvetrana (Taranto) della loro giovanissima parenteSarah Scazzi deve far riflettere.
In questo caso infatti il tentativo di Sabrina di far passare per rapimento la scomparsa di sua cugina Sarah è fallito. Fallito per la troppa fretta di Sabrina nel rifilare la falsa pista del rapimento, da lei già evocato con foga dopo appena 30 minuti di ritardo di Sarah all’appuntamento per andare al mare con amici.
E per i rimorsi di Michele, padre di Sabrina e zio di Sarah, che ha finito col far trovare agli inquirenti il cadavere della nipote da lui buttata, già morta, in un pozzo nella campagna di Avetrana. Se però Avetrana fosse stata in Vaticano come sarebbero andate le cose? Ed è su questo che c’è da riflettere.
Certo, la storia non si fa con i se, però è un fatto che la scomparsa di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana quasi coetanea di Sarah, sparita nel nulla il 22 giugno di ormai 30 anni fa, è stata fatta passare velocemente per rapimento quando non c’era neppure un indizio che si trattasse di sequestro. Indizio che non c’era e non ci sarà mai. Tanto meno qualcosa che si potesse chiamare prova.
La pretesa che Emanuela fosse stata rapita per essere scambiata con la liberazione del terrorista turco Alì Agca, che due anni prima aveva tentato di ucciderePapa Giovanni Paolo II Wojtyla sparandogli in piazza S. Pietro, si è rivelato per quello che era: una farsa. Per giunta abborracciata alla meno peggio.
Il “rapimento” della Orlandi è rimasto infatti l’unico al mondo nel quale i “rapitori” non sono mai stati in grado di fornire nessunissima prova di avere davvero in mano l’ostaggio: solo un paio di fotocopie di carte tranquillamente reperibili nel conservatorio pontifico che la ragazza frequentava in piazza di S. Apollinare. Particolare che avrebbe dovuto indirizzare immediatamente le indagini verso il conservatorio. E invece…
E’ così che solo oggi, con 30 anni di ritardo, la magistratura sta facendo finalmente indagini e accertamenti che avrebbero avuto un senso se fatti subito anziché dover andare a caccia di farfalle sotto l’arco di Tito e poi anche di fantasmi nella basilica di S. Apollinare. Pur di tenere fuori dal mirino il conservatorio da qualche tempo si devia sulla basilica, con la surreale piste della tomba di Enrico De Pedis, assurto a “boss della banda della Magliana” solo dopo un romanzo di strepitoso successo, scritto nel 2002 dal magistrato Giancarlo De Cataldo, un film nel 2005 di Michele Placido e una serie tv su Sky che raccontavano a modo loro le gesta della malavita romana.
A causare di fatto lo stop alle indagini che puntavano alla scomparsa dovuta purtroppo al solito caso di cronaca nera da violenza maschile fu, come è noto, Papa Wojtyla in persona. Il 3 luglio, cioè appena 11 giorni dopo la sparizione della sua “cittadina”, sorprese il mondo parlando per primo di mancato rientro a casa della ragazza per volontà non sua, ma altrui. Seguirono poi ben altri sette appelli pubblici, nei quali Wojtyla parlava esplicitamente di rapimento.
Per fare buon peso, il “rapimento” di Emanuela fu affiancato dal “rapimento”, parimenti avvalorato dal Papa a fine luglio, di Mirella Gregori, sparita 45 giorni prima della Orlandi senza che nessuno mai l’avesse nominata prima che il settimanale Panorama nell’ultimo numero di luglio facesse anche il suo nome tra le ragazzine scomparse a Roma.
Perché Wojtyla abbia lanciato il depistaggio è un mistero. Anche se gli scandali di vario tipo, pedofilia compresa, che hanno afflitto la Chiesa e il Vaticano lasciano intravvedere lunghe code di paglia e la necessità conseguente di evitare sospetti e indagini di qualunque tipo Oltretevere.
E’ un mistero anche perché Giovanni Paolo II agli Orlandi abbia detto che Emanuela “è stata rapita dal terrorismo internazionale”, espressione che peraltro suona bene ma non significa nulla. Come che sia, alle indagini fu così imposto un drastico cambiamento di direzione, con intervento di servizi segreti e scatenamento dei mass media non solo italiani, cambiamento di direzione che ha portato solo a chiacchiere, scandalismi e a piste fasulle, oltre che a tirare in ballo i servizi segreti dei Paesi comunisti allora esistenti, con in testa l’ Unione Sovietica.
Pista tutt’ora in corso, sia pure con qualche ritocco: Teheran al posto di Mosca. Dopo avere inutilmente devastato i sotterranei della basilica riesumando non solo la salma di De Pedis, ma anche migliaia di ossa umane sepolte nei secoli scorso sotto la chiesa come era uso comune, e mentre ancora si cerca di sputtanare in tutti i modi l’ex rettore della basilica, mons. Piero Vergari, in queste ore assistiamo infatti al ritorno all’antico: vale a dire, ad Alì Agca. Non più nei panni insostenibili di beneficiando dal “rapimento” di Emanuela, ma nei panni di depositario di “ben altre” verità. Nella sua 109esima versione Agca infatti accusa il Vaticano e l’ Iran. E, dato che c’è, anche la famiglia Orlandi.
Nell’intervista mandata in onda nelle ultime ore dal Programma Quarto Grado, di Retequattro, Agca infatti senza arrossire dichiara anzi “rivela” quanto segue:
“Emanuela Orlandi e Mirella Gregori sono state rapite soltanto per ottenere la mia liberazione. Ho prove documentali che dimostrano questa mia affermazione e questo dato di fatto. Da anni, la stampa, soprattutto quella italiana, sta seguendo le menzogne di una tossicodipendente, Sabrina Minardi. Il mondo e l’Italia vengono ingannati con la storia della Banda della Magliana. La verità è che Emanuela Orlandi è stata rapita soltanto per ottenere la mia liberazione”.
Poi il turco aggiunge:
“La famiglia sapeva. Emanuela Orlandi era la figlia di un uomo che lavorava dentro l’appartamento del Papa, considerato anche un agente dei sevizi segreti Vaticani. La famiglia Orlandi sapeva perfettamente che Emanuela era stata rapita con la complicità di qualcuno in Vaticano. Però l’ordine del rapimento di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori è partito dal governo iraniano.”. Dopo il mio ritorno in Turchia, Emanuela Orlandi è stata liberata, è stata consegnata al governo Vaticano. Adesso, probabilmente, Emanuela Orlandi si trova in un convento di clausura, affinché non riveli questa complicità del Vaticano e del governo iraniano. Quindi, in qualche modo, Iran e Vaticano sono complici nell’omertà, un’omertà incredibile”.
Che Agca sarebbe andato a parare anche sull’Iran era talmente prevedibile che l’ho scritto da un bel pezzo. Oggi infatti l’Iran è considerato il grande nemico dell’Occidente, Israele compreso, così come lo era l’Urss negli anni ’80. E del resto di Agca è stato pubblicato poche settimane fa il libro “autobiografico” dove racconta la sua vita e, con l’ennesima piroetta per chi ama essere turlupinato, al posto della Bulgaria e dell’Unione Sovietica accusa direttamente la guida spirituale dell’Iran, vale a dire l’ayatollah Khomeini: “E’ stato lui nel suo palazzo a Teheran a ordinarmi di uccidere papa Wojtyla”. Peccato solo che a suo tempo il buon Alì, che tra l’altro si è vantato più e più volte di essere Gesù Cristo, abbia dichiarato che Mosca lo aveva incaricato di uccidere proprio Khomeini…
Gli Orlandi hanno sempre voluto avvalorare la pista lanciata da Wojtyla. Cosa comprensibile, visto che abitavano in Vaticano, in pratica vicini di casa del papa, e che il capofamiglia, Ercole Orlandi. era il suo portalettere, cioè un suo dipendente. Solo dall’anno scorso Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, ha capito che Wojtyla li ha ingannati, anche tacendo quello che sapeva. Ma sono cose che ho dimostrato fin dal 2002 con il mio primo dei due libri sulla scomparsa di sua sorella, e che ho ribadito meglio nel 2008 con il secondo libro. Un po’ di autocritica e di modestia in più da parte del signor Pietro non sarebbe male anziché pretendere il monopolio della verità e della scena. E visto che per una trentina d’anni ha lavorato allo Ior, la banca vaticana sempre al centro di scandali e sospetti, potrebbe magari spiegare qualcosa di come funziona lo Ior.
Non si può nelle stesse ore cannoneggiare su tre o quattro reti televisive contro don Vergari, facendolo passare per il responsabile della orribile fine di Emanuela, uccisa a conclusione di un’orgia, e contemporaneamente rilanciare in pista il clown Agca. Questo voler mettere assieme cose tra loro inconciliabili, e comunque tutte assurde e infondate, è solo un atteggiamento schizofrenico.
Il sintomo più evidente che crollata anche la pista del “rapimento malavitoso” attribuito a furore televisivo a De Pedis si vuole continuare a tenere in piedi lo show in qualunque altro modo, perfino ricorrendo di nuovo al vecchio rottame turco. Adesso tocca all’Iran.
A quando alla Siria, alla Cina o ai marziani? Nel frattempo le indagini hanno girato a vuoto per 30 anni. Grazie agli innamorati dei “rapimenti” e del comparire in televisione e sui giornali come cavalieri bianchi a scoppio ritardato, vestendo per giunta i panni dei segugi o dei detentori della verità, quale che essa sia a seconda dei giorni pari o dispari.
Se questi innamorati dei “rapimenti” fossero stati ad Avetrana, o se Avetrana fosse in Vaticano, Sarah Scazzi sarebbe stata rapita anch’essa dai marziani, pardòn dai Lupi Grigi, da De Pedis e dagli iraniani per essere chiusa a chiave in un convento. E la sua cara cugina e i suoi carissimi zii, la bella famigliola Misseri, sarebbero liberi, insospettati, felici, rispettati e famosi: in modo diverso da come lo sono oggi.
http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-sarah-scazzi-tra-ali-agca-1497099/
Attorno al mistero che avvolge la scomparsa diEmanuela Orlandi c’è di nuovo un turbine impazzito di voci e invenzioni, sprigionato da un fatto certo: i magistrati che hanno preso in mano le indagini hanno abbandonato la teoria del rapimento, inseguita per quasi 30 anni dai loro predecessori e si sono convinti che la scomparsa di Emanuela Orlandi, la ragazzina vaticana sparita il 22 giugno di 30 anni fa,ha origine nel palazzo di S.Apollinare, palazzo e non basilica, che è attigua ma è un’altra cosa, per una semplice ragione, che tutte le “prove” che i “rapitori” hanno saputo far trovare per dimostrare di avere Emanuela nelle loro mani erano sempre e solo fotocopie di carte di chiara provenienza dal conservatorio o dal suo giro.
Cosa sia successo a Emanuela in quelle che con ogni probabilità furono le ultime ore, o gli ultini minuti, della sua vita non si sa e forse non si saprà mai: troppi anni sono passati, troppo tempo è stato perso in indagini sbagliate.
Ma via via che sono cadute tutte le piste e sottopiste che in questi anni sono state alimentate anche da semplici telefonate anonime, alla Procura della Repubblica di Roma sono convinti di avere preso la direzione finalmente giusta.
Il lavoro degli investigatori non è certo reso più semplice dal mulino a vento di chiacchiere, congetture, ipotesi e pure e semplici bugie che sprigionano dalla vicenda come miasmi.
La scorsa settimana le notizie sul caso di Emanuela Orlandi, hanno scodellato tre piste tra di loro completamente diverse e inconciliabili.
Pista numero 1. L’8 marzo Quarto Grado suRetequattro ha rimesso in pista Alì Agca, il turco che nell’81 tentò di uccidere a pistolettate Papa Giovanni Paolo II Wojtyla. Con un altro gioco di prestigio il buon Alì, intervistato a Istanbul, ha tirato fuori dal suo cilindro senza fondo un altro coniglio, anzi due in un sol colpo: l’Iran e il Vaticano, che, il secondo, avrebbe chiuso a chiave in un convento sia la Orlandi che la sua coetanea Mirella Gregori, sparita 45 giorni prima di lei. Chi non ci crede, guardi qui, al video della intera puntata, con l’avvertenza che la parte dedicata a Orlandi/Agca arriva solo dopo 1 ora e 34 minuti.
Secondo la nuova boutade di Ali Agca
“Emanuela Orlandi e Mirella Gregori sono state rapite soltanto per ottenere la mia liberazione. Ho prove documentali che dimostrano questa mia affermazione e questo dato di fatto. Da anni, la stampa, soprattutto quella italiana, sta seguendo le menzogne di una tossicodipendente, Sabrina Minardi. Il mondo e l’Italia vengono ingannati con la storia della Banda della Magliana. La verità è che Emanuela Orlandi è stata rapita soltanto per ottenere la mia liberazione”. Inoltre ” l’ordine del rapimento di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori è partito dal governo iraniano”.
Infine il tocco finale: “Dopo il mio ritorno in Turchia [Agca nel 2000 in Italia è stato graziato], Emanuela Orlandi è stata liberata, è stata consegnata al governo Vaticano. Adesso, probabilmente, Emanuela Orlandi si trova in un convento di clausura, affinché non riveli questa complicità del Vaticano e del governo iraniano. Quindi, in qualche modo, Iran e Vaticano sono complici nell’omertà, un’omertà incredibile.”
Pista numero 2. Il giorno dopo la sparata di Agca su Quarto Grado, Tgcom24, sempre rete Mediaset, rilancia addirittura la strage delle guardie svizzere, avvenuta il 4 maggio 1998, ventilando che il comandate delle guardie svizzere ucciso, il maggiore Alois Esterman, abbia avuto un ruolo nella scomparsa della Orlandi per conto dei servizi segreti dell’allora Germania comunista. Qui il link della “novità”, che in realtà si limita a un vecchio servizio su un vecchio articolo del settimanale Oggi.
Pista numero 3. Domenica 10 marzo un altro “botto” di Gianluigi Nuzzi, questa volta sul quotidiano Libero, che viene dopo quello tentato su La7 con la puntata di Inchieste, dedicata appunto al caso Orlandi. Anche questa volta Nuzzi mette in tavola il sesso.
Anche se non si tratta più, si direbbe, di orge o abusi da parte di mons. Piero Vergari, rettore negli anni ’80 della basilica di S. Apollinare, ormai tristemente famosa, si tratta di stupro o comunque abuso sessuale da parte di un misterioso insegnante di musica del conservatorio Luodovico Da Victoria, frequentato dalla Orlandi e sito al terzo e quarto piano del Palazzo di S. Apollinare, contiguo alla basilica e come essa affacciato sulla piazza omonima.
L’insegnante sarebbe stato individuato dagli interrogatori avvenuti un paio di settimane fa di quattro persone, una delle quali avrebbe parlato appunto degli abusi commessi su uno studente da parte sia dell’insegnante sia da “persone a lui connesse”. Il problema è che poiché non è stato interrogato nessun ex alunno della scuola, non si comprende chi possa avere indicato l’insegnante.
Come abbiamo già scritto, i quattro interrogati come testimoni sono persone che gravitavano attorno al Palazzo di S. Apollinare, che oltre al Da Victoria ospitava altri uffici, di circoli e associazioni, compresa al primo piano la sede della Fuci (Federazione Universitari Cattolici Italiani). Ma sono stati interrogati per cercare di capire di chi fossero le auto che a volte la sera parcheggiavano nel cortile interno del Palazzo e se ci fossero frequentazioni con una sorta di night club con donnine allegre ospitato in un palazzo vicino, affacciato su piazza delle Cinque Lune.
Lo stesso Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, s’è lamentato su Facebook che non è stato interrogato nessun ex studente del Da Victoria; inoltre nella sua pagina su Facebook la voce del professore di musica gira da più di due di settimane, su segnalazione di una certa Monica Collodi, anche se il professore viene confuso con Mons. Vergari. Del quale non ci capisce che bisogno ci sia di mettere in piazza la telefonata ricevuta da un novizio che parlando di latte e yogurt pare si masturbi, quasi fosse la reclame “Fate l’amore con…” di un noto yogurt. Oltretutto, ascoltando la telefonata, si sente che a parlare è solo il novizio, don Vergari cerca pure di cambiare discorso, troppo educato per troncare con un bel “vaffa”.
Che Emanuela non sia stata rapita è convinzione degli attuali inquirenti almeno da quando hanno acquisito, nell’ottobre 2011, la registrazione e la trascrizione delle mie telefonate con l’avvocato degli Orlandi, Gennaro Egidio, che già nel 2002 mi spiegava: “Si tratta di una sparizione, ma non di un rapimento”. E spiegava perché mi facesse una tale affermazione, aggiungendo tra l’altro che “Emanuela di libertà ne aveva fin troppa” e che non era affatto vero che i suoi rapporti con i genitori erano idilliaci come suo padre Ercole ha sempre dichiarato: “I padri, si sa, difendono i figli….”.
Purtroppo Gennaro Egidio, che nel 2002 era il legale degli Orlandi da ben 19 anni e quindi di cose ne sapeva, è morto nel 2005 e pertanto non può essere interrogato. Ma gli inquirenti l’idea del rapimento l’hanno comunque abbandonata. Con 30 anni di ritardo, dopo che altri loro colleghi sono corsi dietro ai fantasmi del “rapimento politico” prima, quello che Agca addossava di fatto all’ Unione Sovietica e ora addossa all’Iran, e avere inseguito il cadavere di Enrico De Pedis dopo, per il “rapimento malavitoso”, gli inquirenti si sono convinti che la soluzione del mistero è nel Palazzo di S. Apollinare. Probabilmente dentro il Da Victoria. Lo vado scrivendo dal 2002.
Del resto già nel ’97 il giudice istruttore Adele Rando, in accordo col sostituto procuratore generale Giovanni Malerba, ha concluso che la scomparsa della Gregori non c’entra nulla con quella della Orlandi e che il sequestro “politico” era solo una montatura per nascondere un sequestro di ben altra natura. Di recente ho rintracciato un investigatore che si è occupato della vicenda nei primi tempi: mi ha espresso tutto il suo sbigottimento e la rabbia per avere dovuto di colpo mollare la pista che intendevano seguire, lo stupro concluso con l’uccisione, per doversi impegnare nel nulla di una pista chiaramente fasulla che i poliziotti più avvertiti avevano capito benissimo essere fasulla.
Per il Papa polacco Wojtyla il depistaggio del rapimento rientrava in uno schema che portava un elemento in più contro l’ Unione Sovietica, atea e comunista, che comandava nella sua natia e cattolicissima Polonia. E ai servizi segreti non solo italiani ha fatto comodo assecondarlo perché all’epoca eravamo in piena “guerra fredda” contro l’ Unione Sovietica.
Da qualche tempo gli inquirenti lo hanno finalmente capito. Ormai per “sequestro” intendono quello che sempre accompagna un abuso sessuale, specie se si tratta di una minorenne. Sarebbe anche il caso di capire come è nata la leggenda metropolitana dell’adescamento tramite l’offerta a Emanuela di un lavoro per la Avon visto che degli unici due testimoni sui quali si basa questa eterna tesi, il vigile urbano Alfredo Sambuco e il poliziotto Bruno Bosco, il primo mi ha sempre giurato di non avere mai fatto il nome della Avon, assolutamente ignoto infatti ai primi magistrati che si sono occupati della vicenda, mentre il secondo è assodato che dal posto dove si trovava non può avere visto la scritta Avon “su un tascapane di tipo militare” posto a non meno di 20 metri di distanza.
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