Se Valeria Marini si sposa "in Vaticano"
Come avrete capito, su questo blog non è di casa l’untuoso
clericalismo tanto in voga in molte autorevoli, diffuse e paludate testate di
orientamento “cattolico”. Qui preferiamo essere franchi e anche un po’
guastafeste perché, come ci insegna San Pietro, bisogna obbedire a Dio
piuttosto che agli uomini, siano essi perfino prelati illustri e potenti.
Così, quando abbiamo letto la
notizia che le nozze di Valeria
Marini saranno celebrate il prossimo 5 maggio nella basilica di Santa Maria in
Ara Coeli da mons. Francesco Gioia, delegato pontificio per la Basilica di
Sant’Antonio da Padova e presidente della Peregrinatio
ad Petri sedem, hanno cominciato a pruderci le mani. E abbiamo deciso di
sfogarci non con inopportuni atti di violenza, ma cominciando a scrivere sulla
tastiera.
Non è che da parte nostra si
nutra una particolare antipatia nei confronti della giunonica biondona: il fatto
è che Valeria Marini ha affrontato, nel
corso della sua vita, ben
tre aborti. D’accordo, il secondo - almeno a quanto lei stessa racconta
– è stato spontaneo e il primo risale all’età di 14 anni, ma il terzo non
lascia assolutamente nessun dubbio: è stata la stessa showgirl a rivelare che
la preoccupazione alla base dell’interruzione della gravidanza era relativa
alle difficoltà che lei e Vittorio Cecchi Gori avrebbero dovuto sostenere per
“andare in barca”. Quindi, per salvare
la passione nautica, la coppia decise di sacrificare la creatura che cresceva
nel grembo di lei.
Ora, se non andiamo errati, il codice di diritto canonico (canone 1398)
prevede la scomunica latae sententiae
(cioè automatica) per coloro che si macchino del crimine dell’aborto. Non spetta
a noi, ovviamente, giudicare il percorso spirituale della Marini, né sappiamo
dire quale sia attualmente la sua condizione: speriamo vivamente che in questo
momento non sia soggetta a quella grave sanzione, che renderebbe le nozze
sacrileghe e illecite. Noi non ci permettiamo, ma mons. Gioia si sarà posto almeno il problema? Avrà pensato allo
scandalo che le nozze in pompa magna di una donna che non ha mai rinnegato pubblicamente
il grave crimine commesso, anzi continua a parlarne con una certa nonchalance, potrebbero
generare tra tanti fedeli? Forse che le amicizie influenti contano più del bonum Ecclesiae e degli stessi
Sacramenti? Il tutto diventa ancora più grottesco se si pensa che, in origine, il matrimonio avrebbe dovuto
essere celebrato addirittura in Vaticano: solo in un secondo momento la
cerimonia è stata spostata con la motivazione ufficiale della
ristrutturazione della facciata di Sant’Anna, ma nonostante questo su numerose
fonti di informazione (es. qui)
continua a campeggiare l’indicazione della sede originaria. Non parliamo
neanche della scelta dei testimoni, tra i quali figurano almeno due
divorziati (Ivana Trump si è sposata addirittura quattro volte): tutto
lecito, per carità, ma di tutto si può parlare fuorché di
buon esempio.
E dire che mons. Francesco Gioia di scandali se ne intende.
Cappuccino, fu nominato vescovo di Camerino-San Severino Marche nel 1990, salvo
essere richiamato a Roma a seguito di un’oscura
condanna penale, su cui avrebbe fatto un
po’ di luce qualche anno più tardi il
libello Via col vento in Vaticano.
Successivamente è stato, tra l’altro, delegato pontificio per la basilica di
Sant’Antonio da Padova e presidente della Peregrinatio
ad Petri sedem. Quest’ultima nel 2008 era stata soppressa e
accorpata nell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica
(ASPA) per decisione di
Benedetto XVI, salvo poi essere stranamente ricostituita nel gennaio di
quest’anno, per
essere di nuovo affidata allo stesso mons. Gioia. Anche in Veneto, infatti, il Nostro ha avuto modo di far parlare di sé:
la sua gestione accentratrice degli affari della basilica ha creato forte
malcontento negli ambienti patavini, sino al presunto
abuso edilizio commesso per ricavare 5 mini-appartamenti da affittare in un
edificio parte del complesso.
Ancora una volta, insomma,
assistiamo a una spiacevole vicenda in cui un discusso e discutibile monsignore
non solo continua a ricoprire ruoli all’interno della Curia vaticana, ma si
concede addirittura il lusso di concedere impropria visibilità a un evento
suscettibile di creare disorientamento tra i fedeli. Non si contano, ormai, i casi di alti prelati, sia in Curia che nelle
diocesi, che si lasciano andare a dichiarazioni o ad atti controversi, quando
non di dubbia ortodossia, spesso con lo scopo di ottenere un quarto d’ora
di celebrità o di concedersi agli applausi del mondo: da mons.
Paglia all’ex
cerimoniere Piero Marini, ci siamo trovati a commentare numerosi scivoloni.
Una situazione del genere comincia ad
essere difficilmente tollerabile e si può affermare con chiarezza che sia
giunta l’ora di darci un taglio: la credibilità dei propositi di riforma
della Chiesa da parte di Papa Francesco dipende innanzitutto da questo.
di Marco Mancini
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