ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 27 maggio 2013

(hic..!) La pia sbronza dell' ateo emerito (ex-devoto)



La fine del Concilio

Il Vaticano II fu un’esplosione di problemi, di dispute, di illusioni e tormenti con la quale abbiamo convissuto, ma ora con il Curato Universale è storia chiusa

A che servano i papi mi comincia a essere chiaro. E di questo dirò tra poco. Ma a che servono i vicedirettori? A illuminare il boss. E io sono stato illuminato da Maurizio Crippa, che è uno dei migliori tra noi, ma timido. Quella che mi ha regalato conversando non poteva che essere una lampadina a bassa intensità avvitata lentamente. Però ha fatto luce. Mi ha detto che, poi, in fin dei conti, questo Papa Bergoglio il Concilio non l’ha fatto.
Ecco, ci siamo. Presentando un libro del vaticanista di Panorama Ignazio Ingrao con Violante e Riccardi e Mulè (“Il Concilio segreto”, Piemme editore) nella sala della Regina alla Camera, ho sviluppato la questione e me ne sono innamorato. Le idee sono belle gnocche, quando ti fanno innamorare. E bisogna approfittarne subito. Corteggiarle, anche spicciativamente, e sposarle per sempre. Con promessa di fedeltà e tutto quanto. Sentivo che era così.
Andrea Marcenaro è riluttante. Vorrebbe andare a trovare Ratzinger in Vaticano. E chi è che non vorrebbe? Quel caro gigante che ci ha dato il pensiero più intelligente possibile a cavallo di due secoli. Ma in Andrea questo desiderio di visita ad limina nasce dalla diffidenza per il Curato Universale. In realtà vuole andare a trovare l’Antipapa. Non capisce come e perché si sia passati dalla suprema eleganza della statuina di Norimberga con le babbucce rosse alle scarpe ortopediche. Diffida per mestiere, non è un Andrea’s version incarnato?, del bene e della misericordia, del perdono spiritualmente corretto e della chiesa povera, della distanza ostentata dal ciclo del potere. Anch’io diffiderei, in linea di principio. E l’aborto, e i matrimoni gay, e il preservativo, e la fecondazione a cazzo di cane, e l’autorità che sola rende ragione delle scelte futili della coscienza? Misericordia per tutto? Il che è diverso dalla misericordia per tutti, che anche a me capita di coltivare nel mio cinismo bonario. Però il cuore, che rifiuto da sempre di far funzionare a dovere, da ogni punto di vista, mi suggerisce la simpatia, la fragilità e la possanza insieme di quel Curato Universale dei buongiorno e buonasera, dei buon pranzo e delle altre delizie non teologiche alle quali abbiamo cominciato ad accostumarci. E quella Volkswagen orrenduccia come la mia Ford Focus ultimo modello, al posto della super-Mercedes nera (SCV 1) e di foggia antica, con le bandierine e nugoli di motociclisti apripista, vogliamo parlarne? Quante volte l’ho vista passare sotto la sede del Foglio in Lungotevere, come vidi anche l’elicottero fatale diretto a Castel Gandolfo? Mille volte, sempre con stupore e con ammirazione.
Nel frattempo Francesco ha superato se stesso. Mi spiace che il suo omonimo Merlo di Repubblica non lo capisca. Ma lo capirà. Matteo Matzuzzi, vaticanista del Foglio giovanissimo ma già decano della categoria, un Benny Lai piccolo e tosto, era perplesso anche lui, che è teologicamente un “destro”, ma non dispero di portarlo definitivamente dalla mia parte, dalla parte del Papa senza se e senza ma. Francesco si è superato dicendo, mentre indicava via della Conciliazione, che da lì, dal Vaticano, non lo fanno uscire, magari per confessare i diocesani, ma provvederà. So che lo incontrerò sul 23 o sul 280, i miei bus di riferimento, perché a Roma non c’è la metropolitana come a Buenos Aires. So che è un romano, e che i romani migliori sono quelli presi dalla fine del mondo. Lo capiranno anche i miei amici Ruspoli così lontani da quella perdita dell’etichetta e del centro (la perdita del centro, come in Hans Sedlmayr, concetto estetico decisivo del moderno). So che mi stupirà ancora in vari modi. Ma la cosa che so, e mi fa felice, è questa: il Concilio è finito. Grazie a lui.
Il Concilio non era male, in principio. Spontaneo, perfido marchingegno, inventato in modo sublunare da un Papa che aveva sbroccato, ma per il bene della causa. Giovanni sapeva che lo storico Pino Alberigo pregava in quegli anni ombrosi con la moglie, come rivelò a Repubblica, per il trapasso di Pio XII, magnifico tutore di Roma e della cattolicità, Pontefice ieratico e nerissimo, ma patrono di Agostino Bea, in seguito vero facitore del Concilio, e della sua enciclica Divino afflante spiritu sulla necessità di cedere al metodo storico-critico nella lettura delle scritture sante. Giovanni voleva che la chiesa di Roma si trascendesse per non morire. Così lanciò la grande carezza al mondo, naturalmente attraverso la metafora dei bambini, naturalmente in una serata romana di pazzesca bellezza. Bene. Ho ricordi infantili di quegli anni, e in tempi successivi non ho più avuto sentore di quella speranza come sentimento del possibile che si diffuse intorno alla ecclesia e superava i tormenti e le divisioni della Guerra fredda, con un’adunata in cui francesi e tedeschi e olandesi e belgi, e teologi di grande conio e cattivi, bastonarono la curia del profondo sud romano, la grande burocrazia della fede senza la quale ogni fede sembrava, e forse era, impossibile da custodire.
Non è il Concilio né il dopo Concilio cosiddetto che mi hanno ispirato sfiducia. Ma è la nuova burocrazia conciliare, abusatrice dei lemmi e degli stilemi della modernizzazione, che mi è sempre sembrata insincera e troppo faconda, troppo sicura di sé, arrogante nel respingere e malmenare la chiesa e la sua forza istituzionale in favore di un Dio rimpicciolito a rappresentazione personale, fuori dallo spazio pubblico, immemore del grande imperatore Costantino e del suo patto universalistico, politico e storico, che solo un grande cristiano guerriero come Giovanni Paolo II e uno straordinario filosofo e teologo dei tempi duri come Ratzinger potevano rinvigorire, con l’aiuto di Habermas e di pochi atei devoti riuniti in un mondo laico ma non laicista, alla periferia dei movimenti carismatici, Cielle in primis, che avevano dato carne e sangue al sogno cattolico e alla fine erano stati incorporati.
Quella burocrazia conciliare, anche colta e sapiente, è morta con l’elezione dell’alieno gesuita, del Papa che cambia l’ordine degli addendi e anche il prodotto finale, che sembra esorcizzare i piccoli indemoniati, che parla del diavolo e lo frequenta a Santa Marta per infilzarlo ogni mattina in un’omelia serenamente non protocollare, che lascia vuoti, museali, i palazzi apostolici, che fa della diocesi romana la sua grande Madonna protettrice, che persegue scopi assoluti con i mezzi relativi della spiritualità discernente, ignaziana. Cazzo, che Papa.
Francesco potrà convocare un Concilio numero III o guardarsene bene. Potrà magari perdonare comunionalmente quelli che hanno provocato o subito un divorzio e poi si sono risposati fottendosene, magari nel tormento, della chiara prescrizione del maestro di giustizia che tutti dicono di amare, quel Cristo che dichiarò indissolubile il matrimonio tra un uomo e una donna (non ebbe nemmeno bisogno di specificare il gender). Oppure no. Potrà fare del celibato una scelta di castità volontaria, offrendo la consacrazione sacerdotale anche agli sposati (i sacramenti non ne soffriranno più di tanto). Oppure no. Potrà fare miracoli missionari, la specialità del suo ordine di provenienza. Fatta salva l’originalità e la irripetibilità della vita umana, anche quella innocente e adveniente (adveniat regnum tuum), potrà giocarsi le regole della morale cristiana in mille casistiche, effervescenti come stelle (anche questa è una specialità gesuitica, e la battaglia dei Pascal e dei Saint-Cyran e della mère Angélique Arnauld fu persa quattro secoli or sono). Oppure no. Ma quel che è certo è che la chiesa ha voltato la sua pagina di libro, si è aperta al superamento della sua storica impasse. Il Vaticano II, per quanto mi riguarda, e sia detto senza narcisismi, non è più affare per dispute con Melloni, Paolo Prodi e altri valenti dotti bononiensi. Quel che è certo è che c’è ancora qualcosa che è capace di stupire, per esempio un Papa.
Sarà bellissimo fare quel che mi proponevo di fare. Rileggere i migliori, grandi discorsi papali di Ratzinger, e alcuni dei suoi capolavori discorsivi pre-papato. Ellenizzazione, islam, autorità, potere morale, cultura europea, radici, e tutto quel che riguarda la dialettica dell’interdetto, senza la quale non esiste libertà. Prenderò i miei quadernetti di appunti postmoderni, per rileggere un due anni e mezzo di corsi alla Gregoriana e all’Anselmianum di un grande maestro che so io. Potrò farlo con la certezza che il pensiero cristiano non è antiquario, che la storia della chiesa è parte della mia e delle nostre vite anche attraverso un’altra mentalità, un’altra visione, un’altra simpatia e compassione dell’uomo contemporaneo. Non dovrò più fare i conti con i cretini che non hanno capito il concetto di devozione in bocca a un ateo che non è un ateo e non è mai stato devoto. Perché in Vaticano, pronto a uscirne come un prigioniero in fuga e a regnarvi come un principe nuovo, nel senso di Machiavelli, c’è un argentino prudente e sapido, intelligente e carismatico, il quale si fa capire in molti altri modi, e che alla fine caccerà pure da qualche cassetto di Santa Marta una sua teologia o una sua codificazione della prassi, ma intanto mi basta che non abbia impartito la benedizione per forza a tutti, cani e porci, e che cerchi con il lanternino del filosofo cinico il fedele e l’infedele, alla stessa stregua candidati alla conversione da un prete di Roma che si muove agile sulle sue anche malsicure. E’ bella e santa e dolce la figura di un Curato Universale. Non importa più chi abbia vinto e chi abbia perso tra i partiti del Concilio, può riposare finalmente in pace quel grande che fu Paolo VI, sepolto nell’incomprensione dell’amletismo e ora risorto nella bonaria e forte capacità di decisione di questa sorta di soave Borgia redivivo.
So che mi stupirà ancora. Non in senso mondano. Non con il pettegolezzo. Non con riforme della curia, che esiste e già non esiste più. Non con decreti sulla segreteria di stato. Non con cordate tra mefistofeliche ambizioni della gerarchia. Non con la vecchia scuola ricca e possente, ma destinata inesorabilmente all’obliterazione. Sopporterò anche la chiesa povera e la sua retorica francescana, se questa mi fa ricco di aspettative e di pulsioni piene di genio dell’anima e di talento della parola e del gesto. Viva il Papa.
Giuliano Ferrara

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