ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 7 maggio 2013

La Fede non virtuale di prima del Concilione



C’era una volta un bambino, cresciuto nell'Appennino Reggiano da una madre rimasta giovane vedova che lavorava 18 ore al giorno per far campare i figli, i suoi, la suocera e il cognato malato. Un bimbo che dormiva nel lettone della nonna, come tanti bimbi hanno fatto, e che prima di coricarsi recitava le preghiere nel latino maccheronico ma pieno d’amore e fede di prima del Vaticano II. C’era un bimbo a cui la nonna insieme alle preghiere insegnò l’esame di coscienza, a prendere su di sé le proprie responsabilità, a comprendere le proprie colpe, a leggere la propria vita, il bene e il male, con coscienza.

Questo bimbo crebbe e andò a studiare in città dai preti, ci fu il Concilio, a Messa si cominciarono ad usare le chitarre, “e se invece della Messa devo sentirmi un concerto beat preferisco andare ad un concerto vero”, e allora cominciò a sentire i Nomadi, l’Equipe 84, cominciò ad ascoltare la musica di quegli anni.
E conobbe la politica, l’ideologia, la rivoluzione, credette che l’uomo può creare il paradiso in terra con la sua volontà, militò in Lotta Continua, andò a fare la Rivoluzione in Portogallo, viaggiò, viaggiò tanto, andò a Berlino e lì creò un gruppo punk e già cominciò il suo lungo viaggio verso casa, il ritorno a quel bambino che diceva le preghiere con la nonna, il ritorno alla fede. Grazie alla musica, grazie a quel gruppo, che pure aveva un nome così rivoluzionario, così apparentemente lontano da quella casa.
E da questo cuore in viaggio, in uno dei tanti ritorni verso casa, quella fisica, non ancora quella interiore, all'improvviso sgorgò una preghiera e quel bambino, ormai diventato un adulto, man mano capì sempre di più che c’è altro, che quell'altro preme dentro di sé.

Continuò a viaggiare, visitò i paesi del socialismo reale ormai alla fine dei loro giorni, vide il vuoto di quel mondo, vide il “paradiso in terra” per quello che realmente era, un inferno di miseria morale e materiale, e ristrutturò ancora la sua vita: fondò un nuovo gruppo e viaggiò ancora e ancora, e poi ne fondò ancora un altro, un gruppo il cui nome era ancora una volta programmatico come lo erano stati i due precedenti, i P.G.R. (Per Grazia Ricevuta), e viaggiò ancora, fino a quando un bel giorno tornò a casa, e stavolta tornò per restarci. Nella casa fisica, ma anche in quella del cuore, in quella della fede, ricostruì la sua stalla, la sua abitazione, cominciò a prendersi cura dell’anziana madre malata e intraprese il suo viaggio più lungo, il viaggio più lungo che un uomo possa fare, quello verso il confessionale… 
Quel bambino, ormai diventato quasi anziano, grazie all’opera di padre Maurizio Botta e di Andrea Monda ieri sera è venuto a trovarci a Roma all’oratorio di Santa Maria in Vallicella, meglio nota a tutti i romani come Chiesa Nuova, a raccontare la sua storia con uno sguardo timido e quasi impaurito, a infonderci tante piccole perle di saggezza dette con la leggerezza di chi crede d’essere solo un ignorante, che dice sciocchezze lapalissiane; e forse così era un tempo, ma oggi quelle sue parole dette con modestia hanno lo stesso effetto del fulmine, che taglia in due il cielo all’improvviso.
E con questa leggerezza ci ha ricordato che il Paradiso in terra non può essere creato dagli uomini, perché quando si esclude Dio l’uomo non rimane certo solo, anzi, perché è il Maligno ad affiancarglisi e ad assisterlo nelle sue opere: non importa se il sogno del Paradiso in terra provenga “da destra” o “da sinistra”, perché la Rivoluzione è, in sé, dissoluzione. Ci ha ricordato che la Tradizione è un bene inestimabile, e che una volta persa stop, è morta, inutile tentare di riportarla in vita in maniera posticcia perché ormai si è interrotta, si è interrotto quello che davvero è la Tradizione: il tramandarsi di generazione in generazione una fede, un amore, un modus vivendi, una serie di conoscenze, di affetti. Ci ha ricordato che il nostro vero dovere è quello verso il nostro parente, il nostro vicino di casa e poi via via verso gli altri, i più esterni. Ha sgridato noi, uomini di città, per la nostra mania di esser sempre più interconnessi, che in verità ci rende sempre più soli. Ci ha ricordato la bellezza della preghiera, dell’amore per Dio, del Pater-Ave-Gloria, lui che nel corso della sua storia ha anche conosciuto l’abominio della bestemmia ridotta a intercalare. Ci ha parlato di quanto è orrendo il mito della sempiterna gioventù, di quanto sia necessaria l’educazione dei figli, oggi sempre più assente, e ci ha parlato di come i figli dei suoi amici cerchino lui quando devono chiedere consiglio su qualcosa, non certo per sentirsi approvare - già sanno che lui li rimprovererà, al contrario di quanto fanno i loro genitori che giustificano tutto -, ma è proprio questo che gli adolescenti da sempre cercano: qualcuno che cerchi di contenere la loro esuberanza, di mostrar loro i pericoli della voglia di rischio, dello sfidare la morte. Il limite tra il bene e il male, insomma, ciò che i genitori di questa generazione destrutturata non danno più.
Ci ha salutato, alla fine, cantando una preghiera duecentesca a Maria, la Madre di noi tutti, con quella voce stordente e splendida che da sempre lo contraddistingue.
Quel bambino si chiama Giovanni Lindo Ferretti.

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