ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 3 giugno 2013

La ricerca della verginità perduta?



"Così ricostruirò la reputazione dello IOR"
Il presidente della "banca" della Santa Sede apre con questa intervista alla Radio Vaticana la sua campagna per ridare credibilità al discusso istituto. Con più pulizia, più trasparenza, più comunicazione

di Ernst von Freyberg

D. – Presidente Ernst von Freyberg, le piace il suo lavoro, venendo a Roma da Francoforte? Le piace lavorare in Vaticano?

R. – È un grande privilegio lavorare qui. È l’atmosfera più ispiratrice che si possa immaginare: lavorare in Vaticano. Ed è anche una grande sfida servire il papa nel ristabilire la reputazione di questo Istituto.


D. – Come aveva immaginato il suo lavoro qui, prima di cominciarlo?

R. – Diverso da quello che è. Quando sono venuto, pensavo di dovermi concentrare su quello che normalmente si dice “fare pulizia” e “mettere ordine” in conti irregolari. Finora non ho potuto scoprire nulla di tutto questo. Questo non significa che non vi sia niente del genere, ma semplicemente che questa non è la nostra preoccupazione maggiore.

La nostra preoccupazione maggiore è la nostra reputazione. Il nostro lavoro – il mio lavoro – riguarda la comunicazione molto più di quanto non avessi pensato originariamente. C'è da fare molta più comunicazione all’interno della Chiesa: non ne abbiamo fatta abbastanza in passato. È un lavoro che inizia in casa nostra, con i nostri stessi dipendenti, con coloro che lavorano per la Chiesa a Roma, con coloro che sono nella Chiesa in tutto il mondo. A loro in primo luogo siamo debitori di trasparenza e di una chiara spiegazione in merito a quel che facciamo e al modo in cui cerchiamo di servire.

D. – Come avviene che una persona come lei, con la sua esperienza, possa venir voglia lavorare per il Vaticano, dopo tutte le disavventure in cui è passato lo IOR?

R. – Non è una cosa che vuoi. Non è qualcosa che sogni, stando seduto a casa. Anche quando colloqui con te stesso, non ti dici: “Voglio fortemente questo incarico”. Quando poi sei convocato, sei felice di accettare questa convocazione e questo penso che sia vero anche per gli altri candidati che sono stati ascoltati per questo incarico. Una volta che sei qui, poi, ti rendi conto che si tratta veramente di una bella esperienza e che è molto meno irta di complicazioni e di problemi interni di quanto ci si possa aspettare da fuori.

D. – Come si svolge una giornata normale in questo ufficio? Certo, guardare fuori dalla finestra e trovarsi davanti piazza San Pietro è sicuramente una vista alla quale la maggior parte della gente non è abituata. È come una giornata nel suo ufficio a Francoforte?

R. – Qui una giornata normale inizia nel modo più straordinario, perché ho il privilegio di alloggiare a Santa Marta e mi è concesso talvolta di partecipare alla messa celebrata dal papa. Già questo è un privilegio: essere qui alle sette del mattino ed ascoltare le sue omelie, brevi e sempre molto intense.

In ufficio, la mia giornata è strutturata secondo dei progetti. Sono un grande sostenitore dell’affrontare le questioni in una maniera sistematica di gestione del progetto. Il nostro impegno maggiore, qui, è di suddividere il compito in progetti e sotto-progetti, ed io partecipo ai comitati che portano avanti questi progetti.

Incontro tutti i giorni il direttore ed il vice direttore per esaminare il lavoro del giorno, preparo riunioni di consiglio e poi comunico. Parlo all’interno della Chiesa, parlo con i giornalisti, oggi sono stato a pranzo con l’ambasciatore di un grande paese del mondo per spiegare quello che stiamo facendo. Il mio impegno è diviso tra gestione dei progetti, ordinaria amministrazione e comunicazione.

D. – E per questo la ringraziamo di parlare anche con noi. Si è detto del fatto che lei sarebbe una sorta di direttore a tempo parziale. Lei non vive sempre a Roma: e questo funziona?

R. – Se ci attenessimo ai nostri statuti, questi prevedono che noi del consiglio ci incontriamo ogni tre mesi in quanto comitato; e che una volta al mese io esamini il risultato economico con il direttore generale. Questo è quello che i padri fondatori hanno previsto per la mia posizione.

Quando ho fatto il colloquio, mi era stato detto: “uno o due giorni alla settimana”. Ora sto tre giorni a Roma e uno o due giorni lavoro in altre parti del mondo, ma sempre per l’Istituto. Penso che ad un certo punto dovrò riprendere ad attenermi un po’ di più ai nostri statuti.

D. – Ma per il momento, il suo lavoro va avanti bene così.

R. – Se penso alle sfide che abbiamo di fronte, ogni ora va dedicata a questo.

D. – Lei lavora alle dipendenze di una commissione di cardinali. In pratica, cosa vuol dire?

R. – C’è una commissione di cinque cardinali, la più alta istanza del nostro istituto. Ci incontriamo all’incirca ogni due-tre mesi, normalmente nel contesto di una riunione di consiglio. Il direttore generale ed io incontriamo ogni mese il presidente della commissione cardinalizia per rendere conto del nostro operato ma anche per coordinare quello che stiamo facendo.

D. – Ci sono anche altre agenzie, come società di consulenza, che collaborano al vostro lavoro?

R. – C’è un’agenzia principale, che non è una società di consulenza ma il nostro supervisore, ed è l’AIF, l’Autorità di Informazione Finanziaria. Essa è l’autorità che ha la supervisione di tutte le istituzioni finanziarie vaticane. A questa agenzia io riferisco regolarmente e con questa lavoro a stretto contatto.

Per quando riguarda i consulenti esterni, ne ho assunti un certo numero. Penso di avere assunto i più rinomati a livello mondiale nel campo della consulenza anti-riciclaggio, al fine di esaminare ogni singolo nostro conto e per esaminare le nostre strutture e i nostri procedimenti volti all’identificazione del riciclaggio di denaro.

Abbiamo assunto anche esperti della comunicazione e uno dei più importanti studi legali perché ci assista nella migliore comprensione del quadro normativo nel quale ci muoviamo e nel nostro essere conformi alle leggi.

D. – A proposito di riciclaggio di denaro, immagino che ci siano delle norme da applicare.

R. – La Santa Sede si è impegnata a rispettare gli standard internazionali. Noi applichiamo le leggi e gli standard più elevati richiesti dalle nostre banche corrispondenti. Personalmente, mi trovo sulla scrivania ogni settimana tutti i casi sospetti e ho riunioni settimanali con il responsabile nell’impegno anti-riciclaggio. Inoltre, applichiamo una politica di tolleranza zero nei riguardi di clienti e di impiegati coinvolti in attività di riciclaggio.

D. – Parliamo della banca, “la Banca del Vaticano”. Anche se questo termine non è esatto, è così che è conosciuto il suo istituto. È legato a molti miti, ma al di là dei miti: che cos’è esattamente lo IOR?

R. – Lo IOR è lo stesso che era quando è stato istituito nel 1942. Fa soltanto due cose. La prima: riceve depositi dai suoi clienti e li custodisce. Anzitutto siamo una sorta di ufficio di famiglia, che protegge i fondi dei membri della famiglia. I membri di questa famiglia sono la Santa Sede, le istituzioni collegate con la Santa Sede, soprattutto le congregazioni religiose con le loro attività estese a livello mondiale, i membri del clero e i dipendenti del Vaticano.

Il secondo servizio che forniamo, oltre alla protezione e alla custodia, sono servizi di pagamento: questo significa che forniamo un servizio di trasferimento di fondi – in particolare alle entità vaticane ed alle congregazioni che hanno attività sparse nel mondo – nei luoghi nei quali svolgono le loro attività.

D. – Quindi, in termini stretti, non siete una banca?

R. – Non siamo una banca. Non prestiamo denaro, non facciamo investimenti diretti, non operiamo da controparte finanziaria, tanto meno in swatch o in hedge. Non speculiamo in valuta o merci; il cuore della nostra attività è che riceviamo denaro e lo investiamo in titoli di Stato, in alcune obbligazioni societarie e nel mercato interbancario, nell’ambito del quale depositiamo a un tasso d’interesse leggermente più alto rispetto a quello che riceviamo, al fine di poter restituire il denaro ai nostri clienti in qualsiasi momento.

D. – Quello che avete in comune con altre banche è che guadagnate denaro, e alla fine della giornata c’è un certo guadagno. Questo è intenzionale o è semplicemente un dato di fatto?

R. – La nostra missione è servire. Se svolgiamo bene il nostro compito, possiamo aspettarcene un guadagno. Forniamo un contributo di circa 55 milioni di euro al bilancio del Vaticano e ne siamo un pilastro economico importante. Ora, lei potrebbe chiedermi come facciamo a guadagnare 55 milioni di euro. Analizzando il nostro conto economico, se ne rilevano tre elementi fondamentali. Uno sono gli interessi che versiamo a chi deposita. Poi gli interessi attivi che ricaviamo da questi depositi. E questa è la parte più rilevante delle nostre entrate, che ammontano annualmente a 50-70 milioni di euro, dai quali noi deduciamo le nostre spese.

Poi abbiamo il guadagno sui prezzi delle obbligazioni, che salgono e scendono: ecco, così si costituisce il nostro profitto. Quindi, margine d’interesse e andamento dei valori dei titoli che possediamo. Da questo vanno detratti i costi operativi che ammontano a circa 25 milioni di euro.

D. – E tutto questo finisce, immagino, su un conto corrente a vantaggio del Vaticano, o no?

R. – Finisce su un conto corrente che è per il Vaticano.

D. – Facciamo un’ipotesi: io vengo da lei, ho appena fondato una congregazione religiosa. Quali servizi lei può fornire a me e alla mia congregazione?

R. – Solo due: può depositare i fondi che ha ricevuto da chiunque la sostenga e noi li custodiamo, le versiamo gli interessi su questi fondi e le restituiamo tutto in qualsiasi momento lei ne abbia bisogno. Se poi lei mi dice che ha istituito tre province, una in Asia, una in Africa e una in America Latina, io potrei garantirle il trasferimento dei fondi ai suoi confratelli che sono sul posto per svolgere opera di carità, e le garantirei che il denaro possa raggiungerli anche nei posti più scomodi del mondo.

D. – Quale servizio rende unico lo IOR? C'è qualche servizio che una normale banca grande o media non fornisce?

R. – Ciò che realmente è unico è che noi veramente comprendiamo il mondo della Chiesa e la missione della Chiesa. Nello IOR ci sono 112 persone che gestiscono 19 mila clienti. In larga maggioranza, essi sono suore o religiosi e molto spesso essi conoscono la persona che allo IOR si occupa di loro da venti o trent'anni. Noi sappiamo esattamente di cosa hanno bisogno e loro qui trovano una persona fidata, ed è questo rapporto personale che li spinge a venire qui.

Siamo in competizione come qualsiasi altro istituto finanziario nel mondo. Ogni singolo nostro cliente viene costantemente sollecitato dalle banche perché si appoggi a loro. Rimangono con noi perché vogliono rimanere con noi.

Vede, se chiedessimo ai nostri clienti: “Chiudiamo lo IOR?”, al 99,99 per cento risponderebbero di no. Vogliono rimanere qui, vogliono portare i loro denari qui. Trovano un’assistenza personalizzata e l’esperienza ha dimostrato che qui sono al sicuro. Lo IOR è altamente capitalizzato, ha un patrimonio netto di circa 800 milioni su un bilancio di 5 miliardi. È il doppio di quello che si potrebbe trovare nelle banche al di fuori del Vaticano.

In tutta questa crisi finanziaria non siamo mai stati in difficoltà. Nessun governo ha dovuto salvarci; siamo molto, molto al sicuro.

D. – Quindi, la specialità del vostro servizio consiste nel fatto che i vostri uomini conoscono i clienti e la Chiesa, ma a lungo termine anche un’altra istituzione potrebbe fornire questo tipo di servizio. Ci sono altre banche – anche banche cattoliche, ad esempio – che potrebbero fornire servizi uguali, non pensa?

R. – Potrebbero fornire anche un servizio molto buono: non direi uguale, perché ogni servizio è diverso. Probabilmente, molti dei nostri clienti si appoggiano anche ad altre banche e confrontano il nostro servizio con il loro.

D. – Ma perché il Vaticano dovrebbe avere una “banca”? O perché ne ha necessità?Questa è una domanda che si sente ripetere spesso, specialmente oggi, dopo l’elezione di papa Francesco. Qual è la sua risposta?

R. – Io guarderei alla domanda da due prospettive diverse: una è quella dei nostri clienti. Loro vogliono che noi ci siamo. Questo è il motivo per cui 19 mila clienti hanno scelto di depositare qui i loro denari. L’altro punto di vista è chiedersi se offriamo un buon servizio al Santo Padre. Con la reputazione che abbiamo, non abbiamo reso un buon servigio al Santo Padre, perché questa reputazione oscura il messaggio. E questo per me è il primo e più importante compito da affrontare.

D. – Per uscire dall’angolo?

R. – Caso mai per uscire dalle luci della ribalta e tornare nell’angolo… Per svolgere umilmente il nostro servizio e non trovarci costantemente sotto i riflettori.

D. – Diceva del numero dei clienti: a confronto con altre banche, è grande, piccolo, medio?

R. – È piccolo: ci sono solo poche banche più piccole del nostro istituto.

D. – Il rapporto dell’Autorità di Informazione finanziaria, AIF, a cui lei faceva riferimento, ha registrato sei operazioni illecite. Questo significa che lo IOR è implicato in comportamenti non corretti, o cosa ci dicono queste cifre?

R. – Prima di tutto, queste cifre ci fanno capire come nascono le voci. Non sono propriamente casi illeciti, ma sospetti, e ciò dimostra che il nostro sistema di controllo interno comincia a funzionare. Questo significa che facciamo il nostro dovere e che abbiamo identificato sei transazioni delle quali abbiamo pensato che fossero inappropriate e per questo le abbiamo riferite al nostro supervisore. Quando identifichiamo una tale transazione, immediatamente la segnaliamo all’AIF, che è il nostro supervisore.

D. – È questo il metodo di trasparenza da parte dell’AIF e anche da parte vostra?

R. – Questo è il sistema di segnalazione in atto all’interno della Santa Sede, che può essere applicato ad ogni istituzione finanziaria. È quello che ci si aspetterebbe in un sistema finanziario moderno: un sistema che controlli ogni transazione. Noi non siamo una banca, ma in quanto istituzione finanziaria, questa disposizione vale anche per noi. Noi controlliamo ogni transazione; se rileviamo un qualsiasi comportamento sospetto, presentiamo un cosiddetto “Rapporto di transazione sospetta” all’AIF. Questo sistema è progettato per prevenire il riciclaggio di denaro sporco e il finanziamento del terrorismo.

D. – Si è parlato molto anche della “white list” dell’OCSE: il Vaticano vorrebbe essere accolto in quella lista bianca. Come il suo Istituto può contribuire affinché ciò avvenga?

R. – Non c’è nessuna “white list”. Lo scopo della procedura Moneyval è identificare paesi e giurisdizioni che possano mettere a rischio il sistema finanziario globale. Questo avviene eseguendo valutazioni riguardo al quadro giuridico di ogni paese e giurisdizione. Si identificano quei paesi e quelle giurisdizioni che vengono definiti critici. La Santa Sede si è sottoposta a questa valutazione l’anno scorso e secondo il Rapporto Moneyval, pubblicato l’anno scorso, la Santa Sede ha in atto un sistema che funziona e non è considerata una giurisdizione critica. Detto ciò, noi dello IOR siamo un elemento di tale sistema. Siamo chiamati, in particolare, a mettere in atto procedimenti e strutture più severi al fine di individuare transazioni sospette e clienti sospetti. Perciò ora mi avvalgo dell’opera della migliore agenzia di consulenza del mondo per queste faccende, per riscrivere il nostro manuale su come individuare transazioni e clienti sospetti e come ricontrollare tutti i nostri conti correnti. Strutture e procedure saranno pronte alla fine dell’estate, e con questo avremo compiuto questa parte dell’opera.

Ma andremo oltre e controlleremo ogni singolo deposito, e questo sarà portato a conclusione entro la fine dell’anno.

D. – Nel suo istituto ci sono conti cifrati? Corrono sempre voci su somme enormi senza un padrone dichiarato.

R. – Questo è un altro esempio di voce. È pura fantasia. Non esistono conti cifrati. Fin dal 1996 è tecnicamente impossibile, con il nostro sistema, aprire un deposito cifrato. Sarebbe anche contro la legge del Vaticano. Io stesso sono andato a controllare nel sistema, ho fatto controlli a campione: non ho trovato traccia di conti cifrati.

D. – Nemmeno per quanto riguarda il passato?

R. – Non potrebbero esistere nell'attuale sistema.

D. – Noi ora siamo seduti qui per questa intervista; la settimana scorsa è stato reso pubblico il rapporto all’Autorità di Informazione Finanziaria. La trasparenza è la nuova parola d’ordine allo IOR?

R. – La trasparenza è una chiave, ma non solo la trasparenza; anche ciò a cui si mira una volta diventati trasparenti: e cioè, che siamo completamente puliti, come è necessario essere se si vuole essere accettati nel sistema finanziario internazionale.

La trasparenza non è una cosa che il mondo ha da sempre e alla quale il Vaticano dev’essere trascinato. Se torniamo indietro di quindici anni, probabilmente allora eravamo molto normali, nel senso che tutte le istituzioni finanziarie private nel mondo, e anche quelle pubbliche, operavano sulla base del segreto bancario. Oggi è ancora al centro di un grande dibattito all’interno dell’Unione Europea fino a che punto debba valere il segreto bancario.

Poi, sono accadute tre cose: la prima è stata l’11 settembre, quando gli americani sono partiti all’attacco per identificare i finanziamenti ai terroristi. Questo processo ovviamente è iniziato dalle maggiori banche del mondo ed ora ha raggiunto anche la più piccola banca o il più piccolo istituto nel più piccolo Stato: per arrivare a questo, ci sono voluti alcuni anni.

Poi sono arrivati i social media, e con i social media nella pubblica opinione è venuto formandosi un concetto completamente nuovo di segretezza, anche nell’ambito della finanza.

Poi è venuta la crisi finanziaria e la necessità e il desiderio che le autorità fiscali trattassero in maniera equa i contribuenti, richiamando gli evasori alle loro responsabilità. E anche questo ha costretto le istituzioni finanziarie a rinunciare a una parte del segreto bancario.

Questi tre eventi hanno trasformato l’ambito finanziario nel mondo, e noi siamo arrivati in ritardo ad adeguarci a questo nuovo mondo. Ora stiamo correndo per recuperare e per tornare ad essere come eravamo quindici anni fa: relativamente normali in confronto con altre istituzioni finanziarie.

D. – Pure, come lei ha detto, in questo momento c’è una sorta di ombra sul Vaticano, che oscura l’immagine e del papato e del Vaticano stesso. C’è stato qualcosa di sbagliato o di non ancora applicato?

R. – Sì. Ora stiamo ricostruendo la nostra reputazione. Questa è la cosa più importante che devo fare: cacciare via questa ombra.

D. – Sarà possibile?

R. – Sì, perché credo che siamo un’istituzione finanziaria ben gestita e pulita. Possiamo migliorare in tutti gli ambiti, come tutti gli altri, e ci stiamo impegnando ad essere validi come lo sono istituti simili.

Poi, abbiamo bisogno di comunicare. In passato non parlavamo con nessuno, a cominciare dai nostri interlocutori più prossimi. Non abbiamo parlato in maniera sistematica con i cardinali, non con la curia, non con la Chiesa.

È diritto di ciascun membro della Chiesa cattolica in ogni parte del mondo di essere informato dettagliatamente su questa istituzione.

Cosa faremo ora? Inizieremo a parlare con i media, parleremo nella Chiesa ed informeremo in maniera sistematica i nostri interlocutori fondamentali; pubblicheremo un rapporto annuale come farebbe ogni altra istituzione finanziaria e lo pubblicheremo in internet il 1° ottobre, sul nostro sito.

D. – Il suo incarico dura cinque anni, vero?

R. – A essere precisi, ho iniziato nel mezzo di un mandato: il mio incarico finisce nel 2015.

D. – Nel 2015, che cosa considererebbe un successo del suo lavoro?

R. – Il mio sogno è molto chiaro: il mio sogno è che la nostra reputazione sia tale che la gente non pensi più tanto a noi. Che quando la gente pensa al Vaticano, non pensi più allo IOR ma ascolti le parole del papa.

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Questa intervista al presidente dello IOR Ernst von Freyberg è stata raccolta, in lingua inglese, dal direttore della sezione tedesca della Radio Vaticana, il gesuita Bernd Hagenkord, ed è stata trasmessa dall'emittente pontificia il 31 maggio.

Lo stesso giorno, altre testate internazionali hanno pubblicato interviste con von Freyberg, che ha con ciò inaugurato una "offensiva" di comunicazione a sostegno dell'istituto da lui presieduto.

Nell'intervista data a Maria Antonietta Calabrò per il "Corriere della Sera", von Freyberg ha aggiunto ulteriori dati:

- nel 2012 lo IOR ha generato profitti per 86,6 milioni di euro, contro una media di 69 milioni nei tre anni precedenti;

- i suoi clienti attuali sono per l'esattezza 18.900, 6 mila in meno rispetto a un anno fa, essendo stati chiusi i conti inutilizzati o "con depositi minimi, spesso inferiori a 100 euro";

- almeno 12 mila posizioni-cliente saranno controllate entro il 2013, al ritmo di circa mille al mese e "a cominciare da quelle più a rischio";

- tale controllo è effettuato in collaborazione con l'AIF e accerta chi sono i proprietari di ciascun deposito e chi sono i delegati a operare su di esso;

- oltre ai sei casi di sospetta irregolarità individuati nel 2012, altri sette casi sospetti sono venuti alla luce dal 1 gennaio del 2013: due segnalati dall'AIF e cinque dallo stesso IOR;

- tra le società di consulenza alle quali lo IOR si appoggia c'è la Promontory, "leader nell'antiriciclaggio";

- lo studio legale Grande Stevens continua ad essere consulente dello IOR, "ma non attraverso l'avvocato Michele Briamonte", indagato dalla magistratura italiana.

L'intervista integrale al "Corriere della Sera" del 31 maggio:

> "Il mio piano per il nuovo IOR"

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Il testo originale in inglese dell'intervista di von Freyberg alla Radio Vaticana:

> Interview with IOR President

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350529

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