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martedì 11 giugno 2013

San Raffaele, pensaci tu!

IL PROCESSO D'APPELLO

San Raffaele, condanna in appello per Daccò: nove anni di reclusione per il crac

L'uomo d'affari era stato condannato in primo grado a 10 anni per il dissesto finanziario dell'ospedale

I giudici della Corte d'appello hanno condannato a nove anni di reclusione il faccendiere Pierangelo Daccò imputato per il caso San Raffale. In primo grado Daccò era stato condannato a 10 anni di reclusione per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta per il dissesto del San Raffaele. I giudici della seconda corte d'Appello hanno respinto la richiesta della difesa di rinviare il processo, in attesa del deposito delle motivazioni della sentenza con cui il Tribunale ha assolto tre coimputati del faccendiere (un quarto è stato invece condannato a cinque anni di carcere). Il sostituto procuratore generale Piero De Petris, al termine della sua requisitoria, ha chiesto di confermare la sentenza di condanna per il faccendiere, ma di ridurre la pena inflitta in primo grado.
LA DIFESA- Pierangelo Daccò ha smentito di aver mai pagato «una tangente» a Roberto Formigoni. L'accusato ha inoltre negato di aver mai rappresentato il San Raffaele o il suo fondatore don Verzè e il suo allora braccio destro Mario Cal. «Da oltre venti anni rappresento in Regione un altro gestore (la Fondazione Maugeri, ndr) e il San Raffaele non ha bisogno di essere rappresentato da me perché era autoreferenziato - ha dichiarato l'uomo d'affari -. Don Verzé da oltre venti anni era rappresentato in Regione e lui e Cal erano amici di tutti i politici». Tesi cavalcata anche dai legali di Daccò che hanno ribadito: « Non c'è prova che Pierangelo Daccò conoscesse la situazione finanziaria del San Raffaele e il fatto che frequentasse Mario Cal non significa che sapesse». Non solo. I difensori hanno insistito sull'inesistenza di prove che «le somme che imprenditori che avrebbero versato a Daccò fossero in danno della Fondazione».
L'AEREO - Daccò ha respinto l'accusa di aver distratto 35 milioni per l'«affare» dell'aereo comprato dalla Fondazione San Raffaele del Monte Tabor. « Io non posso aver distratto questa somma. Come si può imputare a me il costo dell'aereo e della sua gestione? Io ho solo passato un contratto che mi è stato chiesto per favore». Il faccendiere ha sostenuto che nello stesso periodo in cui frequentava Mario Cal, numero due della Fondazione, «avevo incontrato un broker di aerei che mi propose l'acquisto di un aereo con un pacchetto particolare: non solo acquisto ma gestione totale, assistenza per manutenzione... Per arrivare a break even totale si doveva arrivare a 600 ore di volo. Il pacchetto ne comprendeva 200, io dovevo trovarne 400, andai da Cal e lui mi disse di comprare 200 ore per loro perché era una macchina che a loro serviva, il loro aereo era vecchio e piccolo e non abbastanza comodo per andare in Brasile», successivamente però, «Cal mi chiamò perché voleva parlarmi e mi disse di non prendere più solo le 200 ore per loro ma di trasferire a lui il contratto dell'aereo. Lui infatti aveva disdetto il contratto per un altro aereo e mi propose di subentrare». Daccò ha quindi spiegato di aver accettato perché era molto esposto in un altro affare e per mantenere i rapporti con Cal, visto che era interessato ad avviare con lui un servizio di air ambulance.
Redazione Milano online

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