Diario Vaticano / Quei santi fatti come lui comanda
Per
Romero, Francesco sblocca i freni del Sant'Uffizio. Per Giovanni
XXIII e per un gesuita a cui è devoto, va avanti senza aspettare il
miracolo richiesto dalle norme. Nelle beatificazioni e canonizzazioni
il papa agisce da monarca assoluto
di ***
CITTÀ DEL VATICANO, 15 luglio 2013 – Jorge Mario Bergoglio continua a preferire autodefinirsi vescovo di Roma ed evita, finché può, di far seguire la sua firma dalla doppia "P" che sta per papa.
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CITTÀ DEL VATICANO, 15 luglio 2013 – Jorge Mario Bergoglio continua a preferire autodefinirsi vescovo di Roma ed evita, finché può, di far seguire la sua firma dalla doppia "P" che sta per papa.
Ciononostante continua ad agire in tutto e per tutto come sommo pontefice della Chiesa universale.
Un campo nel quale papa Bergoglio fa sentire tutto il peso delle sue decisioni personali è quello delle beatificazioni e canonizzazioni, che da secoli sono nel potere esclusivo del sommo pontefice.
SEMAFORO VERDE PER ROMERO
Come rivelato, dopo una udienza, dall’arcivescovo Vincenzo Paglia, postulatore della causa, con papa Francesco la congregazione per la dottrina della fede ha dato finalmente il via libera al processo di beatificazione dell’arcivescovo salvadoregno Oscar Arnulfo Romero, brutalmente assassinato mentre celebrava l’eucaristia.
Era stato l’ex Sant’Uffizio guidato dall’allora cardinale Joseph Ratzinger a bloccare la causa, anche per l’influenza che sul vescovo Romero – e soprattutto sulla sua sterminata produzione omiletica – aveva esercitato il gesuita Jon Sobrino, esponente di punta della teologia della liberazione, i cui scritti hanno subito una censura con una notificazione della congregazione vaticana.
Non è chiaro comunque se la decisione della congregazione per la dottrina della fede di far riprendere il cammino alla causa fosse stata già presa nell’ultimissima fase del pontificato ratzingeriano.
"MOTU PROPRIO" PER L'AMATISSIMO GESUITA
Una decisione certamente personale di Francesco è quella di procedere – come rivelato su "Avvenire" dalla giornalista e amica dell'attuale papa Stefania Falasca – alla canonizzazione del savoiardo Pietro Favre, uno dei fondatori della Compagnia di Gesù, venerato ora come beato.
Le ragioni di questa intenzione sono facilmente riscontrabili nella evidente analogia che si può riscontrare tra il modo in cui Favre svolse la sua missione durante il terribile periodo di crisi per la Chiesa che quello della riforma protestante e quello con cui papa Bergoglio intende adempiere oggi al compito di successore di Pietro.
Favre infatti, raccontano gli storici, antepose la propria testimonianza di vita e l’insistenza su una forte riforma interna della Chiesa alle controversie teologiche e ad ogni illusione di poter imporre con la forza la fede autentica. E lo fece guadagnandosi la stima di santi che pure sono considerati agguerriti campioni della controriforma cattolica, come Francesco di Sales e Pietro Canisio.
Con ogni probabilità la canonizzazione di Favre avverrà senza l'usuale cerimonia ma con un semplice atto pontificio che certificherà la cosiddetta canonizzazione "equipollente".
Si tratta di una procedura usata di solito per personaggi vissuti nei secoli passati e che il papa, in virtù della sua autorità, decide di elevare al rango di santi senza il miracolo attribuito a una loro intercessione, che è invece necessario nelle cause normali.
Questa procedura è stata utilizzata, ad esempio, da Benedetto XVI per Ildegarda di Bingen, da Giovanni XXIII per Gregorio Barbarigo, da Pio XII per Margherita d’Ungheria, da Pio XI per Alberto Magno.
PAPA GIOVANNI SANTO SENZA IL MIRACOLO
Ma la decisione più clamorosa presa da papa Francesco in questo campo è certamente quella di procedere alla canonizzazione di Giovanni XXIII senza che ci sia un miracolo attribuito alla sua intercessione e avvenuto dopo la sua beatificazione.
Papa Roncalli bilancerà così, di fatto, l’altra canonizzazione prevista, quella di Giovanni Paolo II. E così si ripeterà quando avvenne nel 2000 quando la beatificazione di Angelo Giuseppe Roncalli, il papa del Concilio Vaticano II, venne affiancata da quella di Pio IX, il papa del "Sillabo" antimoderno.
La deroga al miracolo concessa da Francesco a papa Giovanni è particolarmente eclatante.
Per papa Karol Wojtyla Benedetto XVI fece moltissimo, derogando alla norma che stabilisce debbano passare cinque anni dalla morte del candidato agli altari per iniziarne il processo. Ma aldilà di questa importante accelerazione, le norme procedurali sono state formalmente rispettate e ci sono voluti due miracoli attribuiti alla sua intercessione per poterlo iscrivere nell’albo dei santi.
Ma Francesco per Giovanni XXIII ha fatto di più. Proprio esercitando il potere di sommo pontefice ha disposto che per Roncalli non sia necessario il miracolo e che bastino la perseverante fama di santità che circonda la sua figura e la “fama signorum”, cioè le grazie a lui attribuite, che continuano ad essere testimoniate (anche se nessuna di loro è stata certificata canonicamente come miracolo vero e proprio).
In pratica, quindi, Francesco ha sfruttato al massimo grado il potere pontificio di cui dispone in quanto capo della Chiesa universale, per assumere una decisione che non sembra avere precedenti per quanto riguarda cause non concernenti martiri.
Giovanni Paolo II infatti nel 1982, forzando norme e prassi tradizionale, canonizzò Massimiliano Kolbe – che era stato beatificato da Paolo VI come confessore in seguito ai due miracoli richiesti all’epoca – proclamandolo martire della carità.
E poi nel 2000 canonizzò 120 martiri della Cina "esentando" ciascuno di essi dal miracolo. L’atto provocò una grave crisi con il governo di Pechino, anche perché il rito venne celebrato il 1° ottobre, festa nazionale della repubblica popolare cinese: una scelta – quest’ultima – che fu considerata una "gaffe" dal pur combattivo cardinale Joseph Zen.
PiÙ CHE CON MADRE TERESA DI CALCUTTA
Giovanni Paolo II comunque, nonostante una petizione firmata da numerosi cardinali, non concesse che Madre Teresa di Calcutta fosse proclamata subito santa, con il solo miracolo attribuitole nella causa di beatificazione.
Così Francesco ha concesso a Giovanni XXIII quello che Giovanni Paolo II non ha consentito per Madre Teresa.
Ma si può pensare che la suora albanese in cielo non bisticcerà per questo con il pontefice bergamasco.
Né si lamenterà con il papa polacco per non aver esercitato con lei il "munus" petrino al massimo grado, come sta facendo l’attuale vescovo di Roma.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350559
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