“Il termine «tradizione», sotto il punto di vista che ci poniamo - mettere in luce l’ampiezza che ha a disposizione un chierico piuttosto che un artista per esprimere nel proprio ambito di chierico o di artista nella più abbagliante e immediata bellezza una certa verità da trasmettere —, è ricco di una ricchezza inaspettata e davvero esuberante; il termine «tradizione», che i relativisti vogliono vedere irrimediabilmente appesantito da ragnatele e archeologismi pietrificanti, è, all’opposto, un termine ridondante vita in quantità insospettata, è un termine in verità progrediente al massimo.
Cominciamo col dire che «tradizione» è parola che, dal latino tradere, sta a significare in prima istanza non già qualcosa di fisso, fermo e stantio, ma uno spostamento, una variazione, una dinamica, un moto: il moto di dare, consegnare, affidare, trasmettere, tramandare qualcosa, dunque un moto necessariamente intelligente che ha per oggetto la conoscenza o ciò che attiene alla conoscenza: «tradizione è il vivo riportarsi — scrive il Moschetti in Enciclopedia filosofica — 20 di tutto il passato di una cultura, o di singoli settori di essa, o di un popolo, o in genere di una comunità, nel suo presente, nel quale soltanto — si noti bene — tale passato esiste ancora».
Va sottolineato: il passato esiste soltanto allorché, e, come si dice, ‘nella misura in cui’, viene trasmesso al presente, a ogni presente-, e qui, per non restare nell’astratto, basti pensare a come nessuno di noi, nessun uomo dico, sia senza padre e senza madre: senza una genealogia, nessuno di noi è presente.
Cos’è per noi un’eredità? Ecco: la tradizione è la consegna dell’eredità. Con tutto ciò che comporta: diritti, ma anche doveri. E la cosa più significativa è che l’eredità che in ultimissimo riceviamo non è di cose, o leggi, o concetti culturali, ma è: 1), una dottrina, 2), un sentimento, 3), una Persona: la dottrina cristiana, l’amore di dedizione e Cristo GESÙ. E questo ciò che si troverà in queste come nelle precedenti pagine.
«[La tradizione] è quindi - continua la voce - la conservazione e il possesso di tutto l’ambito di acquisizioni di un’entità storica, come base per il suo attuale essere [corsivo mio, nda]».
Dunque l’essere attuale di un’entità storica, così come di noi stessi, riceve il suo fondamento dalla memoria che si fa e che si tramanda dell’essere passato e riceve il suo fondamento da quanto e da come ciò si tramanda: il fondamento del presente è ricevuto dalla perfetta consegna della sua storia pregressa all’attuale. Senza consegna del passato, e consegna fatta per bene, niente presente. Si pensi solo al Dna.
Si intende: niente presente ben fondato, niente presente cioè vero, buono e bello, ma presente falso, cattivo e brutto.
Se l’entità di cui si tramanda la tradizione è una certa espressione, un certo modo di esprimere una verità, per esempio il vangelo, un concilio, un dipinto dell’Annunciazione, tale espressione troverà nella «tradizione» il modo di essere trasmessa di generazione in generazione attraverso documenti, copie, testimonianze, racconti, riproduzioni, foto, e ogni cosa che ne delinei i caratteri, le modalità e ogni circostanza che la definisce. Senza il necessario e completo passaggio di carte dal passato al presente, quei vangelo, concilio o Annunciamone saranno mancanti di ciò che li pone nella verità.
E, il fatto descritto, la memoria identitaria delle cose: nessuno si può permettere di rompere questo passaggio fondativo dell’identità di un ente quale che sia: una sedia, un individuo, una società, una civiltà, una verità, la stessa Chiesa, senza incorrere in un atto di per sé violento e contro natura tanto quanto invece è di natura perseguirne l’integrità.
L’identità di un ente è la prima cosa da preservare allorché ci si appresta, come si fa in ogni minuto secondo, a vivere, a fare cioè, ciascuno nel suo piccolo, un po’ di storia, a progredire nel passaggio di attimo in attimo nel proprio futuro.”
[E. M. Radaelli – La bellezza che ci salva]
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