ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 21 luglio 2013

Un nodo teologico da sciogliere.

Come spesso accade l'input viene dall'intervento di un lettore. Riprendo da un thread precedente un post molto centrato sulla realtà del nostro tempo, al quale avevo promesso risposta. Ritengo opportuno estrarre l'argomento dalla discussione per renderlo visibile qui, anche perché il discorso si intreccia con i riferimenti al rito - e ai suoi aspetti metafisici - dell'articolo precedente e in ogni caso è uno dei nodi da sciogliere per uscire dalla crisi che viviamo nella Chiesa e nel mondo moderni.
@Mic. Ringrazio per l'attenzione e cercherò volentieri di approfondire il discorso, tutt’altro che banale.
Da ciò che lei scrive e da ciò che leggo spesso in giro sembra sia stato il CV2 la causa di questo aver messo al centro l’uomo, spodestando il Signore. Mi permetta di non essere d’accordo. Il CV2 c’entra nulla con l’attuale secolarizzazione e scristianizzazione della società occidentale. Innanzitutto è necessario osservare che oggi il cristianesimo, considerato a ragion veduta il tratto distintivo dell’Occidente, non ha più molta presa in un mondo sempre più laicizzato, secolare, agnostico, quando non ateo e non certo a causa del CV2.
Lo strumento potentissimo che cinquant’anni fa ha dato origine alla “rivoluzione antropologica” cui mi riferivo e che continuerà a monopolizzare sempre più il futuro dell’uomo è la tecnica, braccio operativo della scienza, che in pochi anni ha prodotto un cambiamento profondo e radicale nel modo di essere uomini e donne. Cinquant’anni fa la biochimica ha sciolto l’atavico nesso che legava il piacere sessuale alla riproduzione e da lì è iniziata la rivoluzione della società umana.
Concludo: non a caso uno dei maggiori problemi dell’oggi è che si continua a procedere con categorie umanistiche per interpretare un mondo che umanistico non è più. Capita sempre più spesso di dover valutare dei problemi squisitamente tecnici con una strumentazione morale ed etica inadeguata. Mario
Ovvio che la secolarizzazione e la scristianizzazione sono fenomeni che vengono da lontano e che non dipendono dal Concilio. Ma il Concilio, lungi dal trovare e dunque applicare le soluzioni adatte al nostro tempo, non ha fatto che aggravarli accogliendo le istanze della modernità anziché fecondarle con i principi che la Chiesa custodisce e di cui è portatrice. Nel ribadire che l’antropocentrismo conciliare è confermato da diverse analisi; per cui rimando alle numerose pagine di questo blog rintracciabili con la parola-chiave dal motore di ricerca, penso sia necessario approfondire le conoscenze di psicologia e antropologia da una prospettiva non soltanto materialista e pertanto riduttiva. Non entro qui nei dettagli riferiti alla bioetica -tema attuale molto pressante e da sviluppare a parte- per tenere il discorso nelle linee generali.

Innanzitutto affermo che la "rivoluzione antropologica" di cui si parla non può cambiare niente dell'interiorità profonda e dell'essenza dell'UOMO (essere umano uomo e donna), che quella è e quella resta: creatura voluta, amata e redenta dal Suo Creatore, che trova la sua vera dignità e libertà nell'essere a Lui ordinato e dunque nel rapporto personale e comunitario con Lui. Ciò che cambia sono i 'gusti' le 'mode' le 'contingenze' (cioè situazioni e conseguenze); ma l'essenza dell'uomo è quella che è e o è portata alla sua pienezza d'essere, in Cristo, oppure non-è-nulla!

La dissoluzione dell'identità cristiana nell'Occidente discende dai Lumi e oltre. Essa trova il suo culmine oggi attraverso lo storicismo e l'antropocentrismo veicolati nella Chiesa anche dallo "spirito del concilio" tuttora imperante. Dir questo non significa non avere il senso della storia o sminuire l'uomo; ma situarlo al suo posto, cioè orientato e ordinato al Creatore e non come centro di tutto.

Quanto all'identità cristiana non è che l'appartenenza a Cristo nella Sua Chiesa e la sua visibilità attraverso l'annuncio e la testimonianza non solo a parole (che pure servono per veicolare il pensiero) ma nella concretezza del vivere quotidiano. Con scelte e atti tanto più gravi e impegnativi e responsabili, quanto più alta è la carica rivestita e conseguente responsabilità. Il che purtroppo non sembra sempre coincidere, oggi, con parole a atti dei nostri pastori.
Dunque possono cambiare le mode, i gusti, certi bisogni indotti, ma l'interiorità dell'uomo è la stessa di 2000 e anche più anni fa. La struttura psicologica e spirituale dell'uomo non cambia se non c'è un salto evolutivo e non mi pare che siamo a questo punto, altrimenti dovremmo pensare piuttosto ad una regressione dal punto di vista spirituale-etico a fronte del grande progresso tecnologico... Le domande fondamentali sono sempre quelle: chi sono; perché sono qui; dove sto andando; con chi e perché; cosa c'è dopo la morte; cosa mi aspetta; che senso ha la mia vita, la mia storia (e il tutto volto al plurale). C'è solo un modo diverso per dire le stesse cose, che sono sempre quelle e saranno quelle fino alla fine dei tempi, finché ci sarà un uomo su questa terra: se non rispondiamo a quelle domande fondamentali non diventiamo uomini, rimaniamo dei burattini manovrabili a piacimento dal potente di turno, di qualunque panno si vesta, politico, religioso, filosofico, altro...
La “rivoluzione antropologica” determinata dall’homo tecnologicus attuale manca degli strumenti concettuali (e conseguentemente delle realizzazioni corrispondenti) propri della metafisica, abbandonata per un linguaggio (e corrispondente prassi) secondo i parametri del personalismo storicista o del materialismo tout court.

Già nel 1957 ne parlava Pio XII nella Miranda prorsus (le meravigliose invenzioni tecniche), mentre il Decreto del Concilio Vaticano II Inter mirifica, del 4 dicembre 1963, tenta la comprensione spirituale delle nuove tecnologie, che sono fatte da e per l’uomo (non l’uomo per le tecnologie) e che, se non esprimono la signoria dello spirito sulla materia, lo portano alla rovina: «Tra le meravigliose invenzioni tecniche (Inter mirifica technicae artis inventa) che, soprattutto ai nostri giorni, l’ingegno umano, con l’aiuto di Dio, ha tratto dal creato, la Madre Chiesa accoglie e segue con speciale cura quelle che più direttamente riguardano lo spirito dell’uomo e che hanno aperto nuove vie per comunicare, con massima facilità, notizie, idee e insegnamenti d’ogni genere».
Il cambiamento epocale reso possibile dallo sviluppo tecnologico (pari a quello avvenuto con l’invenzione della stampa), se ben inteso e applicato nonché responsabilmente usato, riesce ad esprimere una forma di anelito alla «trascendenza» rispetto alla condizione umana nei modi propri del nostro tempo, ferme restando le premesse antropologiche di cui sopra. Non ignoriamo il cambiamento che il mezzo (che equivale al messaggio) già induce di per sé; ma di esso bisogna essere consapevoli per dominarlo e incanalarlo in maniera giusta per non lasciarsene dominare e così subendo anziché pilotando il cambiamento stesso. È una consapevolezza che ho maturato da tempo, tanto che nel 1995 ci ho scritto un piccolo saggio (riedito nel 2001).
Ne parla più recentemente Benedetto XVI nella Caritas in veritate, n.69 e in molti discorsi in occasione delle Giornate delle Comunicazioni sociali
La «cybertecnologia », che ha creato il «cyberspazio» di cui ci serviamo anche noi, per la rapidità e la quantità (se non sempre per la qualità, ma basta saper scegliere) delle sue connessioni, rappresenta davvero bene il desiderio dell’uomo di una pienezza che tuttavia lo precede e lo supera sempre tanto a livello di presenza quanto di relazione e di conoscenza. Ed è proprio nella ricerca di questa pienezza che devono incrociarsi ed integrarsi spiritualità e tecnologia.

Cito un'affermazione molto calzante di padre Lanzetta FI:
Per molti, infine, il vero problema oggi nella Chiesa sono le cose che non vanno, questo o quel gruppo. I tradizionalisti o, per altri, i progressisti. Questa è una visione piuttosto pragmatica della realtà: la bontà di un'azione la si giudica dal risultato degli effetti e non dall'in sé, dall'oggettività. Non è la prassi che non va ma le idee. Forse perché mancano. Manca uno sguardo metafisico su Dio e sull'uomo, e questo ci impedisce di rivolgerci al vero problema. Se solo riuscissimo a vederlo avremmo già fatto un grande passo in avanti. Saremmo cioè già usciti dalla mentalità della prassi, che ahimè domina. Molto spesso a discapito del Concilio. Ma soprattutto della Chiesa.
La vera crisi non è altro che la crisi della Chiesa in quanto mistero. Il vero nodo teologico è riconducibile allo smarrimento proprio del concetto metafisico di partecipazione del mistero-Chiesa. E così la teologia si riduce ad antropologia. Infatti la teologia stava già da tempo coniando un nuovo linguaggio, accantonando per lo più quello metafisico-scolastico, per fare posto a quello più moderno, che sfocerà, poi, nell'adozione di una filosofia esistenzialista e fenomenica.
In quella che oggi viviamo come difficoltà ermeneutica si nasconde la carenza della metafisica: è un problema di forma e di sostanza: la modernità fa perdere chiarezza accusando il dogmatismo normativo, ma accantonare la metafisica è significato accantonare la fede che è messa in un angolo. Occorre che nella Chiesa torni a risplendere il fuoco del dogma. Anche di questo ho scritto.

Il nostro compito si manifesta sempre più come quello -nel nostro piccolo- di sentinelle, vigilanti e oranti, ma anche di testimoni; e dunque fiaccole accese dell'unica Luce che illumina libera e salva: Cristo Signore. Nel luogo in cui ognuno di noi è, anche nel nascondimento, non necessariamente da un blog o sulla pubblica piazza.
A questo riguardo, il pensiero corre sempre più ai «veilleurs débout» le sentinelle-in-piedi francesi, ai quali ci sentiamo profondamente uniti. Ma anche di questo - che apparentemente è un altro discorso - dovremo riparlare, approfondendo. E si può essere sentinelle-in-piedi, e perciò deste e attente, e fiaccole accese anche semplicemente in un angolo sperduto e solitario e, alcuni forse, silenziati e nella più completa impotenza dal punto di vista umano. Mi vengono in mente anche quei sacerdoti, la cui anima tradizionale soffre e geme nella solitudine più pesante, in contesti religiosi o diocesani completamente inquinati e de-formati dalle tendenze dominanti.

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