ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 8 settembre 2013

Anche i laici nel loro piccolo..

Sul concetto di tradizione (seconda parte)


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Un Movimento che ha nel proprio programma come punto fondamentale l’antimodernità, non può che considerare il rispetto della tradizione quale requisito qualificante.
Eppure il concetto di tradizione va definito attentamente perché è fonte di tanti fraintendimenti.
Esiste un tradizionalismo che risale alla spiritualità degli antichi popoli indoeuropei e al loro politeismo. Per questi tradizionalisti il cristianesimo è stato già il segno di una degenerazione, di una profonda decadenza. Il recupero della nostra tradizione comporterebbe per costoro la ripresa di una cultura pagana indoeuropea che è rimasta latente nei secoli, sotto la crosta di un cristianesimo importato.
Per altri tradizionalisti, la  tradizione italiana ed europea è cristiana. Da ciò la rivalutazione del Medioevo e la difesa della cristianità minacciata dal secolarismo e dal mondialismo. Bisogna inoltre precisare che il concetto di Tradizione nel senso alto che le danno Evola e Guénon è altra cosa rispetto alla tradizione intesa come il complesso duraturo di costumi, credenze e mentalità che contrassegnano le varie comunità. Il ragionamento che segue farà riferimento a quest’ultimo concetto.

Per uscire dagli equivoci occorre far calare il concetto di tradizione e di antimodernità dai cieli azzurri del mito al terreno solido della storia. Esistono circostanze storiche che definiscono cesure nette, svolte epocali che trasformano i costumi, introducono nuove religioni, stabiliscono nuovi rapporti interpersonali, mutano i popoli anche antropologicamente.
La più impressionante di queste cesure fu quella che segnò la fine dell’Impero Romano, con le cosiddette invasioni barbariche e con l’avvento del cristianesimo. Quella cesura dimostra che anche le tradizioni sono soggette ai mutamenti della storia.
Del resto il paganesimo Romano non era una tradizione granitica e immobile, come non lo erano i costumi di quel popolo straordinario. Si sa che Roma adottò divinità e riti di popolazioni assoggettate.
D’altra parte anche la cristianità medievale fu tutt’altro che un monolite impermeabile ad altre culture e tradizioni. In particolare gli arabi hanno dato un grande contributo alla civiltà europea medievale. Chi abbia dubbi in proposito, si legga Franco Cardini, uno dei riferimenti ideali di Movimento Zero, cattolico tradizionalista e illustre storico del Medioevo. Gli arabi hanno lasciato un’impronta profondissima nella civiltà europea, nell’arte, nella letteratura, nelle scienze, nelle stesse lingue che utilizzano numerosi termini dedotti dall’arabo. Anche nei costumi di alcune popolazioni, come i nostri siciliani, l’influsso arabo è stato duraturo. Perfino nei tratti somatici di molti siciliani leggiamo profili semitici, con buona pace dei cultori della purezza etnica.

Oggi viviamo un’altra grande cesura della storia, un passaggio epocale che si svolge sotto i nostri occhi, con le migrazioni dei popoli, il disorientamento generale, i ritmi frenetici di una vita alienata, le angosce di un presentimento di fine, la conflittualità non solo fra nazioni ma fra generazioni e fra generi, mentre a un massimo di comunicabilità garantita dai mezzi tecnologici corrisponde un minimo di comunicazione effettiva. 
Allora, se tutto è suscettibile di continui cambiamenti nei processi storici, che cosa resta del nucleo indistruttibile che chiamiamo tradizione? In definitiva,  a quale tradizione potremmo appellarci?
La domanda è affrontabile definendo che cosa dovremmo recuperare del passato, cioè che cosa appartiene piùradicalmente a una spiritualità europea.
Intanto lo spirito comunitario, minato dall’individualismo che è un portato della modernità.
Il senso del sacro, avvilito dall’antropocentrismo e dal materialismo scientista.
La valorizzazione di ciò che resta immutabile, contro la mentalità progressista che esalta la novità.
Questi ideali, o piuttosto questa mentalità antica, non si recuperano con le prediche e le belle parole. Possono rivivere solo dopo una rivoluzione politica, sociale ed economica che crei il terreno di coltura su cui possa rifiorire la nostra civiltà.
livello politico si tratta di recuperare un universalismo che è stato smantellato dagli Stati Nazionali, creazione moderna e non dato di natura come ci si vuole far credere. Un universalismo che non è certamente quello della globalizzazione né l’attuale UE, bensì l’ideale di un Impero europeo da non confondere con l’imperialismo, un Impero come lo intende A. de Benoist, altro riferimento per noi irrinunciabile,  che potrà nascere solo da un processo rivoluzionario di mobilitazione di passioni popolari, non dalle burocrazie esangui dei funzionari di Bruxelles.
livello economico è urgente uscire dalla forma capitalista, che nella sua logica di continua riproduzione allargata, di mercificazione di ogni rapporto umano e di ricerca ossessiva del profitto, è la perfetta estrinsecazione della modernità.
livello sociale si tratta di ripristinare il senso del radicamento, combattendo il nomadismo della civiltà orgiastica in cui viviamo.
A un livello sociale ed economico al tempo stesso si tratta di invertire il processo che con l’urbanizzazione ha creato mostruosi agglomerati, vera manifestazione del demoniaco, verso un ritorno all’agricoltura,all’artigianato, alla piccola industriaalle fonti energetiche diversificate e rapportate alle risorse del territorio, all’autoproduzione e autoconsumo.

Su questo impianto concettuale, che chiamiamo antimodernità, possiamo rivedere il tema del recupero della tradizione, strappandolo dalla nebulosità del mito. Anche l’antimodernità è un ideale, o addirittura un’ideologia, forse l’unico ideale nobile nell’epoca delle convulsioni di una modernità morente che minaccia di trascinare il mondo intero nella propria fine: una guerra catastrofica, una mischia generale di tutti contro tutti, è l’ipotesi più realistica.
In conclusione:
il concetto di tradizione comporta il recupero di un nucleo permanente ma deve ammettere che esistono svolte storiche che introducono elementi nuovi nel costume e nelle mentalità;
l’antimodernità comporta il rispetto della tradizione ma non si identifica con la tradizione stessa;
antimodernità non significa premodernità;
la difesa di presunte e mai verificatesi purezze etniche, nonché l’islamofobia, conducono a scivolare in una china che porta troppo lontano, in basso.
7 Settembre 2013
Luciano Fuschini

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