ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 4 settembre 2013

Davanti alla storia

Davanti alla storia – La liberalità di san Pio V e l’intransigenza di Paolo VI

piov-paoloviAlla storiografia moderna – e, in modo precipuo, a quella post-conciliare – san Pio V e Paolo VI sono stati consegnati come due Pontefici in assoluta antinomia: intransigente, austero, inflessibile papa Ghislieri, il trionfatore di Lepanto, il “grande Inquisitore della Cristianità”, asceso nel 1566 al soglio pontificio; aperturista, tollerante, misericordioso papa Montini, così umano da autodefinirsi, in conclusione del Vaticano II,  come “il cultore dell’uomo” (7 dicembre 1965).

Questa opinione, molto parziale e faziosa, è smentita dalla realtà dei fatti, che meriterebbero una ben più ampia trattazione. Vogliamo soffermarci qui soltanto su un punto – tutt’altro che secondario – che può gettar luce e verità su questi due Pontefici, certamente antinomici, ma nel senso opposto all’opinione corrente.
I due Papi in questione sono accomunati da un atto di governo che li ha resi celebri e memorabili in tutta la cristianità. Si tratta della promulgazione di un “nuovo” Messale, che entrambi i Papi operarono in ottemperanza al mandato di un Concilio ecumenico: Tridentino, nel primo caso; Vaticano II, nell’altro.
Il contenuto delle due riforme liturgiche e le modalità della promulgazione dei rispettivi Messali sono quanto mai sintomatici dell’ideologia che sottendeva all’operato dei due Pontefici.
San Pio V operò una riforma in assoluta continuità con la Tradizione perenne della Chiesa. Nella bolla Quo primum, che sigilla il Messale del 1570, papa Ghislieri spiega di aver affidato la “difficile incombenza” dell’edizione emendata del Messale a “uomini di eletta dottrina”. I quali “dopo aver diligentemente collazionato tutti i codici raccomandabili per la loro castigatezza e integrità — quelli vetusti della Nostra Biblioteca Vaticana e altri ricercati da ogni luogo — e avendo inoltre consultato gli scritti di antichi e provati autori, che ci hanno lasciato memorie sul sacro ordinamento dei medesimi riti, hanno infine restituito il Messale stesso nella sua antica forma secondo la norma e il rito dei Santi Padri”. Nulla di nuovo, dunque, nel Messale di san Pio V, ma piuttosto una restaurazione “ad integrum”.
Paolo VI operò una riforma in assoluta rottura con la Tradizione in ossequio ad un malinteso desiderio di avvicinare i fratelli separati. Si trattò di una riforma “fatta a tavolino” (cardinal Ratzinger), in assoluta discontinuità con la prassi liturgica precedente che illustri studiosi, specie del mondo anglofono – Dietrich von Hildebrand e Michael Davies, solo per citarne alcuni – hanno dimostrato con copiosità di prove non esser altro che una ripresentazione della riforma liturgica di Cranmer operata in ossequio al mandato di Lutero. Non è certo senza rilevanza se uno degli osservatori anglicani presenti al Vaticano II, l’arcidiacono Bernard Pawley, lodò il fatto che la riforma liturgica che fece seguito al Concilio Vaticano II non soltanto corrispose ma addirittura superò la riforma di Thomas Cranmer.
La cosa è comprovata non solo dal fatto eclatante che 6 osservatori protestanti parteciparono alla stesura del nuovo Messale cattolico, ma anche dalle ancor più sorprendenti dichiarazioni di esimi rappresentanti del mondo protestante i quali dichiararono di poter concelebrare – ora sì, col nuovo Messale!  – con i cattolici, sollevando altresì il divieto imposto ai loro fedeli di partecipare alla Messa cosiddetta “papista”. Perché, evidentemente, papista più non era! Il teologo protestante Roger Mehl scrisse nell’edizione di Le Monde del 10 settembre 1970: “Se si tiene conto del cambiamento decisivo operato nella liturgia eucaristica della Chiesa Cattolica, della facoltà di sostituire altre preghiere eucaristiche al Canone della Messa, della soppressione dell’idea che la Messa è un sacrificio e della possibilità di ricevere la Comunione sotto le due specie, allora non c’è più motivo per cui le Chiese Riformate debbano proibire ai loro membri di assistere alla celebrazione eucaristica in una chiesa cattolica”.
A fronte di questa già sorprendente posizione antitetica dei due Pontefici, l’applicazione della legge da loro sancita suscita ancor maggior stupore. San Pio V con la bolla Quo Primum volle preservare tutti i libri liturgici che avessero oltre 200 anni di vita: “Non intendiamo tuttavia in alcun modo, privare del loro ordinamento quelle tra le summenzionate Chiese che, o dal tempo della loro istituzione, approvata dalla Sede Apostolica, o in forza di una consuetudine, possono dimostrare un proprio rito ininterrottamente osservato per oltre duecento anni”. Due secoli di storia convalidano una tradizione, secondo papa Ghislieri, che – in quanto tale – doveva “esser trasmessa”, tramandata ai posteri come parte del depositum fidei. A tal punto san Pio V volle che si mantenessero le antiche tradizioni, pur nella loro varietà, che – scrive nella Bolla – “se anche queste Chiese preferissero far uso del Messale, che abbiamo ora pubblicato, Noi permettiamo che esse possano celebrare le Messe secondo il suo ordinamento alla sola condizione che si ottenga il consenso del Vescovo, o dell’Ordinario, e di tutto il Capitolo”. Nell’applicazione della riforma liturgica post-tridentina san Pio V si mostra estremamente liberale, lungimirante e – si direbbe oggi – pluralista. Si mantengano ad ogni costo le tradizioni che abbiano più di 200 anni! Ma se si vuole abbracciare il dettame del Concilio tridentino, lo si faccia chiedendo il permesso! Tanto papa Ghislieri desiderava che le diverse tradizioni – purché fossero tali – continuassero a vivere.
Ben altra è la storia dell’applicazione del Nuovo Messale.  Esso, benché non accompagnato da una Bolla della portata legislativa della Quo primum, venne “imposto” a tutti i sacerdoti e a tutti i fedeli che, in realtà, non l’avevano affatto richiesto. Al di là della portata legislativa della promulgazione del Messale e della seguente pioggia di documenti – sui quali, dopo oltre 40 anni, si continua a discutere – emanati dalle Congregazione per il Culto divino e dalle sempre più potenti Conferenze episcopali, la volontà di Paolo VI era chiara: il Messale nuovo doveva sostituirsi all’antico, e questo doveva cessare di esistere. Nell’allocuzione al Concistoro Segreto del 24 maggio 1976 Paolo VI affermò: «Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II», e rafforza questa affermazione precisando che: «L’adozione del nuovo “Ordo Missae” non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli».  
Del resto, due anni prima, il 28 ottobre 1974, la Notifica Conferentia Episcopalium aveva affermato che quando una Conferenza Episcopale decreta che una traduzione del nuovo rito è obbligatoria, “la Messa, sia in Latino che in vernacolare, secondo la legge deve essere celebrata soltanto nel rito del Messale Romano promulgato il 3 aprile 1969 dall’autorità del Papa Paolo VI”. Gli Ordinari devono assicurarsi che tutti i sacerdoti e i fedeli di Rito Romano “nonostante il pretesto di una qualche consuetudine, anche di lunga data, accettino rigorosamente l’Ordinario della Messa nel Messale Romano”. La mens distruttiva ed antitradizionale di queste disposizioni – che tentano di gettare nell’oblio  quello che era il Messale ufficiale dell’intera Cristianità, Messale che, essendo stato solo “restaurato” da san Pio V, risaliva “almeno” a san Gregorio Magno – è diametralmente opposta a quella della Quo Primum che voleva ad ogni costo salvaguardare i riti che avessero anche “solo” 200 anni di vita.
Ma l’ingiustizia perpetrata con l’iniqua e coatta imposizione del nuovo Messale è stata smascherata nel 2007, quando Benedetto XVI dichiarò che il Messale di Trento non è stato “mai abrogato”.  
I Cardinali Bacci e Ottaviani, nel loro Breve Esame critico, asserirono che “l’abbandono di una tradizione liturgica che fu per 4 secoli segno e pegno di unità di culto […] appare, volendo definirlo nel modo più mite, un incalcolabile errore”. La storia ha dato loro ragione.
 Essi avevano tentato di sventare il disastro liturgico che è sotto i nostri occhi rivolgendosi a Paolo VI con queste vibranti parole: “Supplichiamo perciò istantemente la Santità Vostra di non volerci togliere – in un momento di così dolorose lacerazioni e di sempre maggiori pericoli per la purezza della Fede e l’unità della Chiesa, che trovano eco quotidiana e dolente nella voce del Padre comune – la possibilità di continuare a ricorrere alla integrità feconda di quel Missale Romanum di San Pio V … dall’intero mondo cattolico così profondamente venerato e amato”.
Quei pur illustrissimi Porporati rimasero inascoltati. Noi – dopo oltre 40 anni di universale smarrimento e di aberrazioni liturgiche – speriamo in miglior sorte, memori che – come ha sottolineato il regnante Pontefice – “C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire” (Angelus, 1° settembre 2013). (di Maria Pia Ghislieri)

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.