Ior, accuse e baruffe continue
Le rivelazioni dell’alto prelato Nunzio Scarano continuano ad aprire scenari inediti all’interno dello scandalo finanziario che coinvolge lo Ior, una delle strutture strategiche del Vaticano.
Dal 28 giugno Monsignor Nunzio Scarano, ex capo contabile dell’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica, è in carcere per l’operazione sospetta di riciclaggio di venti milioni d’euro, frutto di una evasione fiscale di 41 milioni di euro degli armatori D’Amico, che dovevano essere trasferiti dalla Svizzera a un conto Ior. Ed è proprio sulle operazioni di riciclaggio effettuate attraverso i conti aperti presso l’Apsa che si stanno muovendo i magistrati romani.
Le prime ammissioni di Monsignor Scarano con la Procura risalgono all’8 luglio scorso quando assistito dal suo avvocato Francesco Caroleo Grimaldi, rispose alle domande dei pubblici ministeri. Rivelazioni che questa mattina occupano intere pagine dei maggiori quotidiani in edicola con tanto di retroscena di svariate operazioni.
Dal 28 giugno Monsignor Nunzio Scarano, ex capo contabile dell’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica, è in carcere per l’operazione sospetta di riciclaggio di venti milioni d’euro, frutto di una evasione fiscale di 41 milioni di euro degli armatori D’Amico, che dovevano essere trasferiti dalla Svizzera a un conto Ior. Ed è proprio sulle operazioni di riciclaggio effettuate attraverso i conti aperti presso l’Apsa che si stanno muovendo i magistrati romani.
Le prime ammissioni di Monsignor Scarano con la Procura risalgono all’8 luglio scorso quando assistito dal suo avvocato Francesco Caroleo Grimaldi, rispose alle domande dei pubblici ministeri. Rivelazioni che questa mattina occupano intere pagine dei maggiori quotidiani in edicola con tanto di retroscena di svariate operazioni.
I conti laici
Il Corriere della Sera racconta di depositi non riconducibili ai religiosi utilizzati per “schermare” passaggi illeciti di soldi. “Noi come Apsa non potevamo avere clienti esterni – sono alcune delle dichiarazioni di Scarano riportate dal Corsera – ma pur non potendo in realtà ‘facevamo banca’, nel senso che avevamo una raccolta di risparmio e forme di reimpiego con corresponsione di interessi ai depositanti”.
E Scarano fa alcuni nomi: “C’erano anche conti di cardinali, gestiti da Giorgio Stoppa, precedente delegato dell’Apsa. E c’erano anche altri conti. Ma non ricordo alcun nome specifico se non quello della Duchessa Salviati, benefattrice del Bambin Gesù”.
Il Corriere della Sera racconta di depositi non riconducibili ai religiosi utilizzati per “schermare” passaggi illeciti di soldi. “Noi come Apsa non potevamo avere clienti esterni – sono alcune delle dichiarazioni di Scarano riportate dal Corsera – ma pur non potendo in realtà ‘facevamo banca’, nel senso che avevamo una raccolta di risparmio e forme di reimpiego con corresponsione di interessi ai depositanti”.
E Scarano fa alcuni nomi: “C’erano anche conti di cardinali, gestiti da Giorgio Stoppa, precedente delegato dell’Apsa. E c’erano anche altri conti. Ma non ricordo alcun nome specifico se non quello della Duchessa Salviati, benefattrice del Bambin Gesù”.
Scheletri nell’armadio
La Stampa, che parla anche di uno Scarano tenuto all’oscuro di alcune cose e che insoddisfatto di come andasse la gestione all’Apsa aveva chiesto anche udienza al Santo Padre, tira fuori anche alcuni scheletri nell’armadio. Con esattezza quelli lasciati da Paolo Mennini, ex numero uno di Apsa: “Il Mennini era arrivato quando Giorgio Stoppa andò in pensione e si trattava di trovare qualcuno che si occupasse anche di coprire gli scheletri da lui lasciati in armadio. Il Menniti portò con sé il De Angelis. I due avevano uno stretto rapporto con Marco Fiore, che lavorava per i D’Amico a Montecarlo. Stoppa gestiva in maniera padronale e opaca il suo settore. Mennini gli riconobbe un trattamento pensionistico molto lauto. Mennini si era portato anche una certa Maria Teresa Pastanella che godeva di un trattamento privilegiato pur non avendo alcun titolo di studio”.
La Stampa, che parla anche di uno Scarano tenuto all’oscuro di alcune cose e che insoddisfatto di come andasse la gestione all’Apsa aveva chiesto anche udienza al Santo Padre, tira fuori anche alcuni scheletri nell’armadio. Con esattezza quelli lasciati da Paolo Mennini, ex numero uno di Apsa: “Il Mennini era arrivato quando Giorgio Stoppa andò in pensione e si trattava di trovare qualcuno che si occupasse anche di coprire gli scheletri da lui lasciati in armadio. Il Menniti portò con sé il De Angelis. I due avevano uno stretto rapporto con Marco Fiore, che lavorava per i D’Amico a Montecarlo. Stoppa gestiva in maniera padronale e opaca il suo settore. Mennini gli riconobbe un trattamento pensionistico molto lauto. Mennini si era portato anche una certa Maria Teresa Pastanella che godeva di un trattamento privilegiato pur non avendo alcun titolo di studio”.
L’incontro
Le nuove verifiche condotte dagli specialisti del Nucleo valutario della Guardia di finanza si concentreranno sulle indicazioni di Scarano ai magistrati che durante l’interrogatorio gli avevano chiesto se avesse parlato con le gerarchie vaticane di quanto accadeva all’interno di Apsa. E Scarano ricorda molto bene un incontro: “Di recente mi recai dal cardinal Filoni (Fernando, prefetto di Propaganda Fide) al quale dissi dei conti ‘laici’. Dato l’incontro nel 2010 e in seguito a questo, in effetti, alcuni funzionari furono allontanati da Apsa”.
Le nuove verifiche condotte dagli specialisti del Nucleo valutario della Guardia di finanza si concentreranno sulle indicazioni di Scarano ai magistrati che durante l’interrogatorio gli avevano chiesto se avesse parlato con le gerarchie vaticane di quanto accadeva all’interno di Apsa. E Scarano ricorda molto bene un incontro: “Di recente mi recai dal cardinal Filoni (Fernando, prefetto di Propaganda Fide) al quale dissi dei conti ‘laici’. Dato l’incontro nel 2010 e in seguito a questo, in effetti, alcuni funzionari furono allontanati da Apsa”.
In quell’episodio il prelato dichiara di aver riferito a Filoni di un’operazione fatta dal banchiere Nattino, della famiglia fondatrice della banca Finnat, che secondo le parole de La Stampa sarebbe quella “temuta dal finanziere Stefano Ricucci che, in un interrogatorio davanti ai pm, disse agli inquirenti che chiedevano lumi sui Nattino: «Ma lei vuole che a me mi uccidono stasera qui»”.
Su Nattino Scaroni racconta che “aveva un conto all’Apsa (poi chiuso) e un figlio di Mennini (Luigi) lavorava nella banca da lui diretta. Fece una operazione di aggiotaggio di cui si parlava nei corridoi e che riguardava titoli della sua banca che subivano oscillazione e che venivano comprati e venduti, di fatto, sotto mentite spoglie. A quanto ricordo i titoli erano stati fatti artatamente scendere di valore e il Nattino li riacquistò al momento giusto senza apparire e servendosi dello schermo dell’Apsa. Vi furono più operazioni simili”.
E l’incontro con il cardinale Filoni produsse i suoi effetti: “Quando il cardinal Filoni prese provvedimenti, la cosa scatenò il finimondo. Io fui promosso in seguito a questi eventi, anche se la promozione, di fatto, mi collocò fuori dal perimetro operativo”, ha dichiarato Scaroni agli inquirenti.
Chi paga il conto
Tra indagini e retroscena sullo Ior c’è però qualcun altro che ci va di mezzo. Piccoli e medi correntisti, tra cui preti, suore e vescovi che non ci stanno più a rendere conto delle loro operazioni presso la banca vaticana dove si recano sistematicamente per effettuare prelievi, bonifici, pagare bollette. La direzione dello Ior alla missione trasparenza intrapresa per rispettare le regole sulla lotta al riciclaggio ha aggiunto da qualche settimana un terzo grado ai clienti che si presentano agli sportelli della banca a cui sembra impossibile sottrarsi. Un interrogatorio che, come si legge in un articolo su Repubblica, avviene “senza rispetto della privacy davanti a tutti i clienti presenti”. Pena il blocco immediato dell’operazione.
Tra indagini e retroscena sullo Ior c’è però qualcun altro che ci va di mezzo. Piccoli e medi correntisti, tra cui preti, suore e vescovi che non ci stanno più a rendere conto delle loro operazioni presso la banca vaticana dove si recano sistematicamente per effettuare prelievi, bonifici, pagare bollette. La direzione dello Ior alla missione trasparenza intrapresa per rispettare le regole sulla lotta al riciclaggio ha aggiunto da qualche settimana un terzo grado ai clienti che si presentano agli sportelli della banca a cui sembra impossibile sottrarsi. Un interrogatorio che, come si legge in un articolo su Repubblica, avviene “senza rispetto della privacy davanti a tutti i clienti presenti”. Pena il blocco immediato dell’operazione.
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